In principio fu la pubblicità. La trovavi su Topolino e sembrava promettere grandi cose, poi chiedevi informazioni ai genitori (mia madre, ché mio padre su certe cose era deludente) e ti sentivi rispondere che non sapeva nemmeno che cosa fosse. Poi, dopo un certo calibrato numero di domande ripetute ossessivamente in una cantilena, veniva fuori che era un gioco “difficile”. “Per bambini più grandi”. Ah beh, certo. I bambini più grandi. Quell’astratta entità che veniva sempre raffigurata intenta a fare tutte le cose fighe che volevi fare tu. Altra raffica, un po’ meno calibrata, di domande ripetute ossessivamente in una cantilena e veniva fuori la verità: “Costa troppo!”. Evidentemenre i bambini più grandi, oltre a essere più grandi erano anche più ricchi. Ora non riesco nemmeno a immaginare come facesse mia madre a sapere che il Subbuteo era un gioco effettivamente molto caro per gli standard dell’epoca, ma di certo lo sapeva. Feci presto a mettermi il cuore in pace: ero abituato a NON possedere gli status symbol che tutti gli altri sembravano avere. Tipo Big Jim. Nel 1974 se avevi sette anni e NON avevi un Big Jim, eri un perdente. Io NON avevo Big Jim. Io avevo – pensate un po’ – “L’amico Jackson”. Me lo trovai tra i regali di un Natale – avevo chiesto ovviamente Big Jim e altrettanto ovviamente sotto l’albero c’era l’imitazione tarocca e tamarra di Big Jim. Un bambolotto simil-Big Jim ma colored. Cioè afroamericano. O, come si diceva allora, “negro”. Continua a leggere
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racconto
Tipo la Playstation
scritto da
Marco Drago