Shampoo anticaduta

scritto da Chiara Cerri

La incontri al supermercato, neanche a farlo apposta, davanti al reparto shampoo. Quando Giulia si toglie il berretto ci sono pochi capelli da guardare, troppo pochi per una trentenne; avrà l’alopecia, ti dici, proprio davanti allo scaffale degli anticaduta. Neanche a farlo apposta. Lui le toglie il berretto di mano e comincia mangiucchiarlo, e mentre ciuccia la lana, un filo di bava cola per terra; lei ci passa sopra la suola delle scarpe e sorride imbarazzata, ma neanche troppo.
Eh, questi esserini ti cambiano la vita – dice – si chiama Edo.
Tu e Giulia, eravate amiche amiche fino a qualche anno fa, poi vi siete perse. Fa la ricercatrice, è brava, sempre stata molto più brava di te a tenere le fila delle cose. Tu invece, ti sei persa innumerevoli volte. Fino ad un certo punto è andata anche bene: laurea, master, sei finita a Berlino a fare uno stage e poi, non sai neanche come, ti sei ritrovata nell’India del sud a dare da mangiare alle vacche, lavoro importante lì sono sacre. Ti piaceva quella sensazione, sentirti straniera, fuori luogo, perderti dentro le cose insignificanti. Tutto questo, mentre lei teneva per bene le fila, iniziava il dottorato e scopriva di rimanere incinta. Ti ha pure mandato quel messaggio con la foto dell’eco e la faccina sorridente. Non ti ricordi neanche se le hai risposto. Continua a leggere

Marella

scritto da Silvia Penso

Attraversavamo scheggianti il sottopassaggio e il rumore del treno che sferragliava sopra i corpi sincopati, di corse e pedali, esplodeva nelle orecchie, quasi fosse lì, nelle nostre cavità, nelle pieghe dei canali uditivi, ululante di stridii meccanici dentro la testa. Le due bici, la mia, la sua, sfrecciavano ondulando oscillatorie contro ogni legge di gravità, contro la curva a gomito del sottopasso, presagendo talvolta una caduta che non avveniva. Forse, sarei potuto andare più veloce, passare avanti, fare quello più bravo. Ero tentato, ma mi piaceva sbirciarla sulla Graziella sbilenca in corsa, con i capelli al vento, Marella, con la maglietta con su scritto in vellutino rosso Marella. Disordinata, lentigginosa, occhi blu, si muoveva sempre veloce, scattosa. Parlava come una macchinetta. Era in perenne mobilità dinoccolata. Era la mia amica, eravamo inseparabili.
Era al bagno 39 che eravamo diretti con le bici, ogni giorno d’estate. Ci sentivamo sfrontati e liberi, e il futuro era pieno di promesse, come il mese di luglio, che non è maggio, quando tutto deve ancora delinearsi, e non è agosto, che è una fine. Una volta arrivati, i piedi nudi, le ciabatte in mano, buttavamo le bici sul marciapiede sterrato, correvamo con ginocchia alate lungo la linea mattonata, per fiondarci, conquistata la riva, nelle onde, catapultandoci, in perenne battaglia di braccia, dagli scogli che a Misano Adriatico se la filavano in verticale, sospesi sul mare, come linee di fuga ai lati della spiaggia infinita. Saltavamo, all’ultimo appacificati, mano nella mano, mentre intorno i ragazzi più grandi pescavano i baganelli. La trascorrevamo così, ogni calda stagione, da sempre, io, lei, e pochi altri satelliti amici. Il fulcro era lei. Il fulcro ero io. D’inverno ci riconsegnavano alla città bigia, ognuno la propria, agli antipodi dell’Italietta craxiana. Continua a leggere

Il cacciatore Popotin

scritto da Stefano Marinucci

Il cacciatore Ernesto Popotin è pronto. Il bazooka l’ha piazzato sul colle che sovrasta il camposanto del paese, circondato da fittissimi cespugli infestanti cresciuti senza ordine sulle tombe. È stato anni ad aspettarla, a studiarne le mosse, i percorsi, le mimetizzazioni nella terra e sotto al sole. Finalmente è arrivato il suo momento. Potrà dire ai compagni di classe e ai professori, quando stasera tornerà dopo la battuta di caccia, che il suo metodo innovativo funziona davvero, mostrerà la testa dell’animale ai parenti, la farà imbalsamare come ricordo di questa memorabile battaglia.
La vede uscire da una tana stretta, nascosta vicino a una lapide in terracotta, senza fiori né fotografie. Sono a dieci metri, l’uno dall’altra. Continua a leggere

Mal dei giardini

scritto da Paola Marcolini

Premessa della notte tra il venerdì e il sabato

Nella notte, due uccelli cantano poggiati su un ramo di castagno, e due bambini stanno stesi alle sue radici, morti, anche se ancora non lo sa nessuno. Il fiume scorre accanto loro. L’assassino corre lungo l’autostrada. I corpi dei due bambini distano poco dalla casa dell’anziana. Lei dorme mentre gli uccelli cantano.
In un altro nido, su un faggio del bosco che cinge la cittadina, un altro omicidio, di diversa natura, viene consumato. Due dei tre pulcini che abitano il nido vengono portati via dalla faina. La faina scappa tenendoli stretti in bocca. Finalmente qualcosa da mangiare dopo il lungo inverno. Il terzo pulcino cade dal nido, e questa è la sua storia. La storia di un complemento di modo o mezzo, che lega soggetti e verbi con altri soggetti e verbi.

Sabato

Ore 6.
Nella mattina appena nata, l’anziana appoggia alcune briciole sul davanzale.
Il pane che compra è impastato da un ragazzo cresciuto nel deserto.
Nella mattina appena nata, il ragazzo cresciuto nel deserto si sveglia di soprassalto: ha sognato i propri fratelli. Beve il tè, prepara lo zaino e si incammina verso il sentiero di montagna che inizia poco lontano da casa sua. Continua a leggere

Lontano da casa

scritto da Margherita Maggi

“When the jaintor returned with the two other man, the whale was no longer there. Neither was the small boy. But the seaweed smell and the splashed, brakish water were there still, and in the pool were several brownish streamers of seaweed, floating aimlessy in the chlorinated water, far from home”
Walter Tevis – Far from home

Mentre si accorgeva di sognare il sonno si era sfilacciato e si era dissolto.
Si era svegliato sommerso dallo stesso chiarore lattiginoso che aveva cercato di arginare prima di addormentarsi: il vento aveva aperto la finestra e tirato via il telo che aveva incastrato intorno all’infisso, come tenda di fortuna, per trovare almeno il sollievo della penombra. La sveglia accanto al letto segnava le tre e dieci del mattino: l’allarme doveva essersi inceppato, o forse aveva funzionato, ma era così stanco che non lo aveva sentito.
Già un istante prima che l’immagine compatta della sua stanza di bambino perdesse consistenza, si era chiesto come potesse essere di nuovo in quella casa. Poi, mentre la luce gli apriva gli occhi, aveva creduto di essere ancora sulla nave. Alla fine aveva ricordato che era nella baia, da tre giorni, anche se in fondo non faceva nessuna differenza: sulla terra ferma o in mezzo all’oceano, era comunque lo stesso identico giorno artico, la stessa notte senza notte che si ripeteva ormai da un mese.
Si era alzato e aveva iniziato a vestirsi in fretta. Portava ancora addosso la felpa che aveva usato nell’ultimo turno, ne aveva cercata una pulita rovistando nello scaffale che avevano trasformato in armadio. Marta doveva avere fatto la stessa cosa prima di uscire, perché c’erano vestiti sparpagliati ovunque nella stanza, sprazzi di colore che galleggiavano nel bianco della luce e il bianco delle pareti, dei pochi mobili, delle assi di legno del pavimento e del soffitto: ogni cosa era bianca dentro quella specie di cottage dove li avevano sistemati. Continua a leggere

Il tempo insieme

scritto da Umberto Morello

Beati i poveri di spirito. Pagheranno meno tasse sulla propria anima.
Imposte, albe, emozioni, bollette, e aspirazioni. Io sto nel mezzo: le rateizzo. Ma anche fatto come sono, che farci se stamattina, arrotolato in macchina, con il maglione sotto al culo e un cuscino improvvisato dietro la cervicale, l’unica cosa che mi manca è lui?
La pianto con gli eccessi. È che tira vento nella Panda da quando non c’è più. Mi restano solo le mie nuove libertà, come quella di non impazzire per le briciole, gli affettati, le patatine frantumate o gli stralci di formaggio sparsi tra i sedili; tutta roba che in teoria lo avvelenava, e in pratica era la sua festa.
Basta pensarci. Incastro la chiave e la metto bene obliqua. Tento giusto un paio di volte, poi la macchina mi asseconda. Fa sempre così. Il motore grida trafitto il solito lamento. Allento il pedale e recupero la frizione.
«Andiamo indietro, okay?» Continua a leggere

Il senso della fine

scritto da Marianna Crasto

Quello che segue è il primo capitolo di Il senso della fine, il romanzo scritto dalla nostra Marianna Crasto in uscita per effequ (e già finalista al Premio Calvino 2022). Ringraziamo di cuore l’editore per la gentilezza e la possibilità di pubblicare il capitolo in anteprima.

* * *

Non appena ebbi cinque minuti per pensare alla fine del mondo, schiacciai muto sul telecomando e mi stesi sul pavimento. Quello che vidi: polvere a perdita d’occhio in morbide pianure di velluto e batuffoli grigi negli angoli.
Mi ero appena innamorata e pensai moriremo quindi, una constatazione che non mi turbò in sé, a eccezione della nostalgia per il nuovissimo amato che avrei perso presto. Pensai anche che pavimento sporco.
Sentivo trambusto al piano di sopra e voci per le scale trattenute sul pianerottolo dal tufo freddo e spesso dell’edificio. Ebbi paura di uscire e non uscii.
Poi scoprii invece che erano usciti quasi tutti, nelle ore successive vennero fuori dai salotti, giù per le scale e negli ascensori, oltre i portoni; si incontravano agli angoli delle strade tra sconosciuti ma come a un appuntamento. Continua a leggere

Chiedere cerotti ai turisti

scritto da Barbara Antonelli

La prima volta l’avevo baciata alla festa di Gaia. La conoscevo da poco Lisa, da quando seguivamo insieme il corso di Storia dell’Arte. Un’ora pallosissima di slide sui realisti francesi che, voglio dire, a parte L’origine del mondo, nulla da segnalare.
Alla festa, Lisa mi era quasi saltata addosso. All’inizio aveva cercato la mia mano. Che io, a furia di tener le mani a posto, le ragazze dovevano venire a stanarle da dentro le tasche.
Comunque, quella sera ero lì per Gaia, che le sbavavo dietro dall’inizio delle lezioni, che pure lei seguiva i realisti francesi con entusiasmo, mentre io nel buio dell’aula provavo a ridisegnare il suo profilo sul taccuino. E Gaia seduta accanto a me, perché il minimo che potevo fare era tenerle il posto, rideva divertita dei miei scarabocchi e alla fine dell’ora mi passava gli appunti come un’elemosina.
Insomma, ero convinto di essere trasparente. Senonché alla festa, mentre stavo seduto a fumare sulla soglia della finestra che dava sul campiello, Lisa si era fatta stretta stretta per condividere la stessa soglia e infilarmi la mano nella tasca del giacchetto. Perché io, manco me l’ero tolto il giacchetto, sembrava che stavo all’asilo ad aspettare l’ora che tornava la mamma.
Con la mano di Lisa che mi frugava nella tasca, le avevo chiesto se voleva una sigaretta, ma lei no, non era quello che voleva. Continua a leggere

L’incrocio

scritto da Davide Borgna

«Lui ne ha sentite tante. Non farci caso se ti sembra distratto».
Comincia così, con Andrea che mi parla dopo una cena al Covo, l’enoteca con cucina a due passi da casa. Stiamo bevendo l’amaro. Andrea mi parla a voce bassa. Fa così quando è serio, si irrigidisce tutto e ti guarda quasi in cagnesco.
«Bella cazzata», dico.
«No!» Ingolla il braulio e sbatte il bicchiere. «Ho provato. C’era».
«Ma dài».
Andrea è un tipo quadrato. Uno che schiaccia le fantasie come si spiaccicano le zanzare d’estate. Eppure, Andrea punta il dito e fa: «Vacci».
Non riesco a capire se ha bevuto troppo o se mi sta prendendo in giro.
«Sì, vabbe’». Faccio oscillare il mio amaro del capo, ne osservo i riflessi ramati. «Dove hai detto che sta?»
Andrea si china verso di me, abbassa ancora di più la voce e comincia a spiegarmi dove posso incontrare il Diavolo. Continua a leggere

Soriano

scritto da Carmine Bussone

Prima o poi ti capita. Anche se guardi nei posti dove mai penseresti di vederlo, alla fine il pezzo, l’editoriale, il racconto sul calcio te lo trovi sempre. E io provo una grande invidia per coloro che sono capaci di scriverne. Il campione che viene dalla povertà, il genio che si distrugge con droga e donne, il terzino che fa la sua dignitosa carriera in una grande squadra e poi si dedica alla famiglia, sono tutte cose delle quali non riuscirei a parlare con passione e a illuminare nella maniera giusta.
Dovrei premettere che nella mia vita il calcio non ha mai occupato una posizione di rilievo. Dovrei premettere che non ha mai occupato una posizione e basta.
Il calcio, come tanti altri sport ma forse un po’ di più, è una cosa che o hai la giusta scintilla o è meglio che non ti ci accosti proprio. Quel tipo di attaccamento, quelle cose che solo qualcuno appassionato può comprendere, conferisce l’autorità necessaria a raccontarne, altrimenti qualunque cosa potrai dire o scrivere saranno parole l’una di fianco all’altra. Continua a leggere