Quando raccolse il libro che era caduto dal comodino di Gianni, notò che sull’ultima pagina bianca c’era scritto “B”. Lucia aveva visto Gianni tornare a casa con quel libro una settimana prima; lui le aveva detto che gli avrebbe dato qualche spunto per migliorare le sue chance con i clienti “grossi”. Lei pensò che non dovesse essergli piaciuto molto, perché l’angolo superiore di pagina dieci non sembrava piegato di fresco. Ma a cosa – o a chi – si riferisse “B”, Lucia non lo capiva, tant’è che se ne stette qualche minuto, istupidita, con il libro in mano.
Prima della scoperta, Lucia aveva trascorso il pomeriggio a sistemare biancheria pulita nei cassetti, come tutti i giovedì. Quella mattina, come tutte le mattine, si era svegliata dopo Gianni che era sempre il primo a uscire. Aveva preparato la colazione a Marco Mario e Chiara Stella, cinque e sette anni: latte e cereali per lei, pane e Nutella per lui. Lei bevve un caffè amaro. Era il quarto giorno dopo il rientro dalle vacanze estive, che avevano trascorso in una villetta di fronte il lido Poseidone – non troppo lontana dall’ufficio di Gianni, così che potesse raggiungerli ogni pomeriggio con soli venti minuti di auto.
Dopo la colazione, Lucia aveva attraversato il vialetto con la sua Mini bianca per far visita alla madre che abitava in centro. Cinque giorni su sette le portava la spesa o i detersivi o i giornali di gossip o tutto ciò che potesse essere utile a una settantenne incapace a muoversi senza un bastone. A giorni alterni, Lucia si serviva da quel macellaio che faceva quegli spiedini, da quel fruttivendolo che vendeva quel tipo di fragole, ma anche da quel giornalaio che le teneva da parte tutti i numeri di Case e Giardini. Il suo era spirito pratico: non c’era motivo di cambiare qualcosa che funzionava già alla perfezione e che rispettava i suoi standard di qualità. Questi ultimi, poi, non erano né vaghi né pretenziosi. Erano dettami familiari, il frutto di consolidate tradizioni tramandate dalla madre della madre di sua madre alla sua, di madre, fino ad arrivare a lei. Lucia non si era mai fidata dei consigli degli altri e quando l’aveva fatto aveva trovato un osso nel macinato o gli asparagi marciti in due giorni nel frigorifero. In quelle occasioni, sua madre mostrava il suo lato peggiore, un disprezzo speciale che riservava solo a lei. Perciò, Lucia si era promessa di non dubitare più del buongusto di almeno tre generazioni precedenti alla sua.
Quando arrivò, sua madre era in soggiorno. Il suo profumo al sandalo sovrastava, ad intermittenza, l’odore del posacenere traboccante.
«Lucia, vieni in salotto! Hai preso le sigarette? Zia mi ha portato una cosa ieri, guarda qua!»
La “cosa” portata da zia era quasi sempre un cimelio, vecchio o nuovo che fosse, purché si ergesse a dimostrazione di una qualità passata, presente o futura di figli e nipoti. Di solito erano fotografie, ma potevano essere bracciali o collane, racconti o lavoretti di creta.
«Vieni qua, guarda questa» disse la madre senza staccare gli occhi da un pezzo di carta. Una foto ritraeva due bambine in sella alle loro biciclette su un terrazzo largo, luminoso e pieno di piante.
«Questa qui» sottolineò lei premendo il dito grasso sul volto di una delle due bimbe, «questa qui è Concettina. Te la ricordi?» Lucia la riconobbe come la bambina in calzoncini a destra.
«Sì che mi ricordo, ma’. Che fine ha fatto?»
«Eh!» disse la madre, rantolando divertita. «Fa la bidella all’Istituto. Ti ricordi che poi aveva divorziato?» Si soffermò con gusto sull’ultima parola. «Il figlio è partito per la Spagna e non s’è visto più.» E poi non disse nulla, perché tutto ciò che esulava dalle strade che conosceva erano luoghi ameni in cui accadono cose inimmaginabili o che si possono solo tacere.
«Concettina è sempre stata strana» disse Lucia, fissando con disappunto la bambina che era stata. E più strano era l’ex marito di Concettina, se lo ricordava bene. Era quel tipo di uomo che lei definiva “cafone vero”. Al matrimonio di lei e Gianni era talmente ubriaco che aveva costretto zia Loretta a ballare l’Hully Gully. Poi venne fuori che la povera zia si era slogata la caviglia; se la sarebbe rotta del tutto, se non fosse stato per Gianni che prese in mano la situazione e allontanò quell’uomo fuori dalla pista da ballo. Non lo diceva mai, ma lo aveva sempre pensato: era fortunata ad aver sposato un uomo come Gianni.
Accanto alla cinquenne Concettina, una bambina con un vestito corto fin sopra le ginocchia e una spallina calata sul braccio la osservava, sorridente.
«Ma tu, invece! Eri proprio grassa» disse la madre, indicandola. Lucia dovette distogliere lo sguardo, perché quella bambina non voleva saperne di smettere di fissarla dal terrazzo di quella che era stata casa sua.
«Senti, ma’, vado di fretta» disse con le chiavi dell’auto ancora in mano. «Le sigarette te le lascio sul tavolo. E non ti scordare che domani c’è il trigesimo di zio Arturo, vestiti bene.»
Sulla strada del ritorno, Lucia proseguì le commissioni. Comprò le uova di galline ruspanti dalla zoppa al mercato dietro il cimitero. Ritornò in centro, per acquistare cinquecento grammi di salmone norvegese in pescheria. Il caffè lo prese nella torrefazione accanto, gioiellino locale che resisteva al cambiamento dei tempi “dal 1977”. Infine, ritirò un chilo di fichi e tre cespi di indivia dall’alimentari sotto casa. Queste tappe Lucia le compiva quasi ogni giorno. I suoi acquisti la definivano, i luoghi in cui li effettuava pure, la velocità con la quale svolgeva il tutto era cronometrata. Come un’atleta, non poteva farne a meno, si allenava per una gara che non arrivava mai.
Preparò un pranzo troppo speciale per un semplice giorno di scuola. Non era un caso che tutti, ma proprio tutti, convenissero nel dire che il miglior campo d’azione di Lucia fosse la cucina. Era scrupolosa nella scelta degli ingredienti (sempre i più freschi in circolazione), dei condimenti (abbondanti) e dei tempi di cottura (frutto di prove e riprove nel corso degli anni).
Verso ora di cena, Gianni sarebbe rientrato a momenti. Lucia attese, con il libro in mano, seduta nel suo lato del letto. La risposta al mistero di “B” non era piacevole, perciò capì che era vera. Dopo aver revisionato tre o quattro possibilità (Il libro lo aveva comprato al mercatino dell’usato? Gli era stato prestato da un collega? Lo aveva preso in biblioteca e qualcuno ci aveva scritto sopra?), la soluzione più plausibile fu che lui le aveva mentito e che “B” stava per “Benedetta”, la babysitter ventenne che avevano assunto per occuparsi dei bambini in spiaggia. Doveva essere così, perché Lucia era una che i tradimenti li subodorava. Con le sue amiche, perlomeno, ci aveva sempre azzeccato: si capiva da come i loro mariti tenevano in mano il cellulare. Eppure, anche sforzandosi, non riusciva a ricordare come Gianni tenesse il suo, di cellulare. Non ci aveva mai fatto caso, perché non ce n’era mai stato bisogno. Il loro era un matrimonio giusto e il matrimonio giusto è quello di una coppia che non si lascia.
Nell’attesa, la stanchezza le scivolò addosso come pioggerella, bagnandola dalla testa fino alle dita dei piedi. Le ultime energie della giornata si prosciugarono e le venne fame. Di nuovo quella cazzo di fame.
Un rumore di chiavi tirate fuori da una tasca e girate nel chiavistello del portone risvegliò Lucia dal suo torpore: era Gianni. Si tirò su e gli corse incontro in ciabatte:
«Tidevodireunacosa» gli disse affannata. «Vieni di là.»
«Oh, così, di botto, non mi dai nemmeno il tempo di entrare?»
«É importante» chiosò Lucia.
Gianni sembrava stanco, oppure preoccupato? Il suo era già uno sguardo colpevole?
«Va bene, andiamo di là… Che c’è?» disse lui, togliendosi le scarpe.
«Stamattina…» disse lei, ma poi esitò, rigirandosi i polsi fra le mani. Gianni sistemava le scarpe e il cappotto, senza guardarla.
«…stamattina. Sono stata da mamma e mi ha fatto vedere una foto di Concettina. Te la ricordi Concettina? Eravamo piccole così» disse allargando il pollice e l’indice di circa cinque centimetri.
«E per ‘sta cazzata mi hai preso d’assalto? Si, si, me la ricordo» disse lui, continuando a rimestare fra le sue cose senza voltarsi.
«Ho fatto le tagliatelle al salmone.»
«Domani c’è il trigesimo di zio Arturo.»
Gianni sembrava non ascoltarla.
«…ho letto un po’ del libro che hai sul comodino, sembra interessante.» Alla parola “libro”, le sembrò che Gianni si irrigidisse. Ma poi si voltò e tirò fuori dalla ventiquattr’ore due pezzi di carta.
«Piantala con queste scemenze. Guarda che ti ho portato?» disse lui, sventolandole in faccia due biglietti per la prima di Giselle a Roma.
«Mi ami?» gli disse Lucia all’orecchio per non farsi sentire dai bambini.
«Certo che ti amo.»
Lucia capì che non era vero. Lo immaginò a scopare con Benedetta, ma poi rispose solo:
«Anche io» perché non era proprio un argomento da discutere prima di cena.
A tavola, Gianni fu particolarmente dolce. Lucia non lo vedeva così da tanto tempo, sembrava un Gianni che non ricordava più; o forse era proprio il Gianni di sempre, Gianni suo, Gianni che aveva sposato. “Sì, hanno scopato di sicuro”, pensò Lucia, mentre guardava la sua famiglia godersi la cena.