Chiamò quell’arte tedeschia. Le chiesi cosa significasse. Rispose: «Tedesca, ma con la i». Rompemmo le cornici, strappammo i dipinti dai loro telai. Lei raschiò via il colore e io lo mangiai. Bruciò quel che ne era rimasto e tenne la testa sospesa sopra al fuoco. La cenere le incrostava la faccia.
Facemmo a pezzi il museo nazionale. Le statue con le braccia? Gliele rompemmo. Le statue senza braccia? Gliene incollammo di nuove. Una Madonna con le braccia gonfie di Ercole, un nudo di Elena con i polsi sottili di Cristo. Strillammo avanti e indietro per i corridoi, urlammo ad ogni passo.
Quella notte, i dipinti rimasti divennero bianchi. Le sculture tornarono a essere blocchi di marmo. Nelle cantine trovammo una pila di dipinti a olio alta un metro. Il dipinto in cima stava cominciando ad asciugarsi. Lei infilò un dito nel colore, bucando la crosta, e lo estrasse imbiancato, con una punta di blu. La pila sembrava un mostro. Quando ci mettemmo sopra le mani emise un ronzio.
Lo prendemmo per un rifiuto e scappammo. Continua a leggere
German Plaza Work
scritto da
William VanDenBerg