Quella di Domenico non era una storia complicata: aveva perso le parole, e poi le aveva ritrovate. Le aveva perse senza neanche rendersene conto, come fossero la chiave della cassetta della posta o l’ultimo bottone della camicia buona, quello che non chiudi mai perché altrimenti ti manca l’aria. Le aveva perse in quella che poteva essere una domenica satura dell’odore del ragù, o nel tramonto denso che invade il porto. Le aveva perse così, senza preavviso, senza un segnale, prima ancora di capire che, senza, non poteva fare niente.
«Professò, si può? State dentro?» Continua a leggere