Carolina Crespi

Carolina Crespi (1985) è nata a Busto Arsizio e ha studiato Filosofia a Milano. Ha pubblicato due raccolte di racconti dal titolo Quello che mi rimane (Giraldi, 2008) e Il futuro è pieno di fiori (NoReply, 2012). Un suo racconto è stato incluso in Quello che hai amato (Utet, 2015), antologia curata da Violetta Bellocchio. Attualmente insegna italiano in una scuola media ed è responsabile del tavolo letteratura e teatro del Circolo Gagarin di cui è socia fondatrice.

El Chicho Y María

scritto da Carolina Crespi

El Chicho está listo. Pronto. Le braccia lungo i fianchi, tese, le ali serrate, El Chicho è l’Halcón del Rio Piura. Al fischio lui vola, rapace; allo sparo lui vince. Infilo le mani sotto il culo, il cemento è duro, non ci sono i cuscini o i sedili di plastica. Le mani rastrellano con le unghie la superficie liscia e mi tengono sollevata; sono io la più alta sugli spalti del Palaideal. La gradinata è decorata con un festone di serpente verdeoro che si aggrappa al soffitto e riluce, il suo corpo d’aria gonfio, allungato e curvo, pende sulle nostre teste, sulla mia, su quelle delle madri e dei padri, sulle teste di noi spettatori affezionati al campionato nacional. Continua a leggere

L’episodio del balordo

scritto da Carolina Crespi

Quell’estate andammo a Senigallia da mia nonna, tutti insieme con due macchine. Noi con la Ypsilon 10, i cugini e gli zii con la Passat. A dire il vero mio padre ci raggiunse solo l’ultima settimana con la Golf, perché la settimana in cui tutti avevamo deciso di partire, lui lavorava ancora. Ci rimasi male quando venni a sapere che non sarebbe sceso con noi subito. Di solito ci fermavamo all’Autogrill per comprare la borraccia della CocaCola. Bastavano un coupon che si trovava dentro Topolino, e diecimila lire – col passare del tempo quindici – per avere una borraccia di plastica enorme, ogni estate più grande, ingegnosa e ingombrante. Mia madre non era una da borracce: aveva il terrore di guidare in autostrada e centellinava le soste per tenere a bada l’ansia da ripartenza. Michela Hakkinen, l’aveva soprannominata mio fratello. A Senigallia alloggiavamo all’Hotel Excelsior, dove mia nonna aveva stretto amicizie con moltissime signore, soprattutto fiorentine. Avevamo stanze separate noi, i cugini e mia nonna, ma ogni tanto scendevo a dormire da lei, per stare alla larga da Michela Hakkinen e da suo figlio, e riposarmi nel suo letto fresco che odorava di lycra e Bilboa. L’episodio del balordo risale a una di quelle notti e insieme alla storia della villetta di Cogne, quello del balordo è un evento che la mia mente richiama in primo piano ogni volta che ha a che fare con delle porte. Continua a leggere