
Gli occhiali scuri di mia figlia parlavano chiaro. Se ne stava lì, con la sua vecchia camicia da notte, i suoi ricci biondi spettinati e sporchi, la testa bassa mentre mi apriva la porta. La vidi immensamente fragile. In qualche modo ricordai quando da bambina non si classificò al livello statale di un concorso di scienze e pianse di rabbia tra le mie braccia. Nel vederla così, svegliandosi a mezzogiorno prendendosi il viso tra le mani, la sentii ancora una volta impotente, solo che questa volta non trovai le parole per consolarla. Chi avrebbe potuto trovarle!
«Un’altra volta?»
«Sì. Sai come fa quando beve.»
«È una canaglia.»
«Papà…»
«È quello che è.»
«Vuoi entrare?»
«Se vuoi. Mi farebbe piacere.»
«Entra.» Continua a leggere