Maria Pia Dell'Omo

È conduttrice e organizzatrice di eventi culturali a Caserta. Editor e curatrice di volumi di poesia e di narrativa gotica, ha collaborato con diversi lit-blog e testate online e cartacee. I suoi studi in recitazione l’hanno portata a sviluppare un approccio performativo alla poesia: è ospite presso mostre, festival, manifestazioni, residenze artistiche. Membro del collettivo poetico “Caspar - Campania Slam Poetry”, ha fondato assieme ad altri artisti il gruppo di poesia performativa “Voci Confinanti”, un progetto multiculturale di cui è la voce italiana e spagnola. Nel 2017 ha inaugurato come podcaster il programma RadioSonetto, con cui diffonde poesia in rete.



Creature

scritto da Maria Pia Dell'Omo

M’haje fatte a piezze
primme ancore‘e me fa nascere
m’haje sputate ‘mmocca
primme ancore ‘e me verè crescere.
“Cuore infranto” mi chiamavi,
ma io tenevo cinche anne – che ne sapevo che vo’ ricere
“cuore infranto”?
Me lo immaginavo, questo cuore, sotto una campana di vetro,
in mezzo alle rose
e con uno strano lucore aranciato
ppe’ fa’ luce dìnto a ‘stu cielo scuro e spezzato.
“Cuore infranto” mi chiamavi e
e nodi amari tessevi con le mani,
i legamenti prendevi,
come cavi, li annodavi;
le mie ossa le rubasti al camposanto
dal corpo di un farabutto, di un poeta, di un santo.
È per questo che il mio canto è un raschiare di gola
e il mio storpio cuore nessuna alba ristora.
In ogni posto in cui vado mi sento marcio
il tuo sguardo nella memoria è
uno squarcio in quest’animo guasto.
Ogni mio passo è sghembo, padre demonio,
e cammino sbilenco, in questo mondo-manicomio.

non c’è vittoria in questa storia,
né vinto o vincitore,
io sto parlando solo di persone sole:
tu, sconfitto dalla tua ossessione di perfezione
il tuo unico linguaggio è la prevaricazione
io, trafitto dalla tua presunzione;
mai davvero figlio, solo morta creazione
c’est fait mal, croi moi une lame
enfonceè dans mon ame; regarde en toi,
n’est pas l’ombre d’une larme.
Et je saigne encore, je souri a la mort
tout ce rouge sur mon corp…
(1)
e tutte ‘stu sanghe che me scorre pe’ cuollo
a’ carne acoppe, ‘e maccarune asotte.

Padre, perdono se ti ho rinnegato,
ma tu questo figlio non l’hai mai amato.
Ed è per questo che non so mai chi sono
e nemmeno ppe’ te je nun vaco maje buono!

Sogno albe di tigri e girasoli
voglio stare in un quadro di Van Gogh
in un campo di fiori
e campanili come lame nell’azzurro
a scampanare nel cuore di dio in letargo,
ché se io esisto,
è perché mi hai fatto tu, Victor.
Non sono passato dalla gonna di una donna –
tu non hai il cuore chirurgico delle madri:
loro non farebbero figli laceri
e se pure fossero a pezzi,
li farebbero sentire interi,
pronti a spiccare il volo come sparvieri
a salpare i mari come velieri

Invece tu senza parole mi hai voluto lasciare
ho spezzato la tastiera il giorno in cui eri in ospedale
a crepare male…
mi ha insegnato il balbettio la pioggia
che batteva un canto nel petto – lei alla finestra,
tu in cielo come il mio guasto dio
che il cuore protese a creare creature incomplete
destinate ad essere dal mondo incomprese

Io canto il salmo dei negletti,
degli imperfetti figli maledetti
di noi che, ricoperti d’insetti,
marciremo come i fiori più belli di questo molesto creato

Ascolta Creature letta dall’autrice


(1) Testo da “Et je saigne encore” di Le Kyo. Traduzione: E fa male, mi attraversa una lama conficcata come un pugnale, fin dentro l’anima: ti guardo, non vi è l’ombra di una lacrima (sul tuo viso). E sanguino di nuovo, sorrido alla morte, tutto questo rosso (sangue) sul mio corpo”…

Caro Maestro…

scritto da Maria Pia Dell'Omo

Alice – How long is forever?
White Rabbit – Sometimes, just one second.

Sono caduta, maestro,
e non mi sono più rialzata.
Giacendo bocconi per strada
ho visto cose piccole piccole,
diresti “minuscole”.
Ho visto case nei tombini
e fiumi impervi
e le buche nell’asfalto,
come cicatrici,
raccoglievano acqua,
si facevano lago.
Una varicella le coglieva,
ma nessuno lo vedeva
perché ribaltavano il cielo
nel loro essere più in basso
del basso,
più in basso di me.
Sono caduta, maestro,
e sono scivolata più giù.
Dicono che sia oltre il terriccio,
ho in bocca humus e qualche lombrico
– inizio a vedere qualche osso di pollo,
sarà il furto di qualche randagio.
Dicono che stia precipitando,
come Alice.
Ho attorno le formiche,
e loro scavano scavano
scavano,
nel silenzio scavano.
Nel buio, hanno una regina
gravida
che si gonfia come un teratoma
prima di dare alla luce
piccole creature centrifughe.
Avrei bisogno di pastiglie tossifughe
– ho terra ovunque:
nelle orecchie
nel naso
nel cervello.
Mi porto questo fardello
della grevità,
non è questione di gravità
ma di inadattabilità.
Sono caduta, maestro,
perché portavo un peso al piombo,
a filo dritto dallo sterno
fino a questo strapiombo.
E precipito,
precipito
ma forse è un ritornare
in un posto dove
non starò più male
anche se fa male cascare.
E precipito
precipito
con queste ali inette,
si sono trasformate
in due ferite infette.
E precipito
precipito
nel buio terminale
dispersa alla ricerca
di una pietra filosofale.
Mi diresti, maestro, che
è una cosa inattuale,
che ero una bambina sensibile
e non un animale,
mi diresti che è per questo,
con fare paternale,
che è un fatto manifesto
che io lassù sto male.
E qui cado ancora
mentre il caldo rincuora.
Sembra quasi il tuo abbraccio
di quando andavo a scuola.
Sono sola, mi dico,
in questa vacuità sonora
e i cancelli dell’inferno
tremano, una volta ancora:
è tutto così placido
questo piover cose ctonie,
magmatiche comete
rigano il nero
come lacrime.
Sono al centro, maestro,
il centro di tutto.
Vedo Ratatoskr addentare
le radici di Yggdrasil,
mentre la tua radio accenna
che ci governa Draghi,
ma io non la sento
nel pozzo disadorno
da cui non farò ritorno.
Sembrano luci al led
queste anime luminescenti.
Verrebbe voglia di afferrarle
come lucciole,
o come Exos lucius
a branchi,
che esplodono come petardi
dalle larve,
abbarbicate agli alberi
come gemme eleganti.
Ma un sonno da luminale
mi fa gentilmente ripiegare
in posizione fetale.
Sussurrano ai miei orecchi
diverrò uno strato germinale
e fiotterò sangue nelle linfe
di alti rami.
Sfiorerò il cielo,
ancora,
custodita come un segreto.
Sepolta come uno spergiuro obliato,
forse in osseto.

Ascolta Caro Maestro… letta direttamente dall’autrice