“When the jaintor returned with the two other man, the whale was no longer there. Neither was the small boy. But the seaweed smell and the splashed, brakish water were there still, and in the pool were several brownish streamers of seaweed, floating aimlessy in the chlorinated water, far from home”
Walter Tevis – Far from home
Mentre si accorgeva di sognare il sonno si era sfilacciato e si era dissolto.
Si era svegliato sommerso dallo stesso chiarore lattiginoso che aveva cercato di arginare prima di addormentarsi: il vento aveva aperto la finestra e tirato via il telo che aveva incastrato intorno all’infisso, come tenda di fortuna, per trovare almeno il sollievo della penombra. La sveglia accanto al letto segnava le tre e dieci del mattino: l’allarme doveva essersi inceppato, o forse aveva funzionato, ma era così stanco che non lo aveva sentito.
Già un istante prima che l’immagine compatta della sua stanza di bambino perdesse consistenza, si era chiesto come potesse essere di nuovo in quella casa. Poi, mentre la luce gli apriva gli occhi, aveva creduto di essere ancora sulla nave. Alla fine aveva ricordato che era nella baia, da tre giorni, anche se in fondo non faceva nessuna differenza: sulla terra ferma o in mezzo all’oceano, era comunque lo stesso identico giorno artico, la stessa notte senza notte che si ripeteva ormai da un mese.
Si era alzato e aveva iniziato a vestirsi in fretta. Portava ancora addosso la felpa che aveva usato nell’ultimo turno, ne aveva cercata una pulita rovistando nello scaffale che avevano trasformato in armadio. Marta doveva avere fatto la stessa cosa prima di uscire, perché c’erano vestiti sparpagliati ovunque nella stanza, sprazzi di colore che galleggiavano nel bianco della luce e il bianco delle pareti, dei pochi mobili, delle assi di legno del pavimento e del soffitto: ogni cosa era bianca dentro quella specie di cottage dove li avevano sistemati. Continua a leggere