La fine ha una profondità confidenziale nell’assenza del suono
mentre una rotazione sta per terminare inalterabile
la notte debella i confini, silenzia le favole
CCCP, ma il Paese non c’è più
Mi chiedo spesso se sopravviverò. Non di rado dubito.
Quanto può essere lunga una coda per il pane?
Diciannove metri e la Mir si affolla
I muscoli avvizziscono in questa gravità indigente
che svago solerte, le mie passeggiate nello spazio
Limone e rafano sono, in assenza di miele,
l’omaggio all’ultimo homo sovieticus
Leningrad, se mi senti, raccontami
se, alzandoti sulle punte dei piedi,
vedi ancora gli alberi di Bojkonur
Li immagino allungati, all’alba, uno stiracchiarsi
che porta i rami più alti fin quassù
Scandisco la solita canzone che tu conosci
che io canto sottovoce per darmi un contegno:
И снится нам не рокот космодрома
Не эта ледяная синева
А снится нам трава, трава у дома
Зеленая, зеленая трава*
L’orlo della tuta è scucito via oltre l’orbita lunare
e l’esercitazione alla missione mi si slabbra di dosso
come un buio, una dimenticanza estintiva
Improvvisamente, tutto è più fragile
sono feto in gestazione di madre affranta
Questo amore non va da nessuna parte
rimane, senza possibilità di svanire
Potremmo anche essere un infinitesimo
ma siamo un tutto che si moltiplica
In quale universo, un santo salvatore,
accetterebbe di sporcarsi le mani
in questo cortocircuito?
Ascolta Homo Sovieticus letta dall’autore
(*) Noi non sogniamo il fragore del cosmodromo
Nemmeno questo blu ghiaccio
Sogniamo l’erba, l’erba di casa
L’erba verde
[Da Trava u doma, hit sovietica dedicata allo spazio dell’inizio degli anni ’80 cantata dal gruppo Zemljane, scritta dal compositore Vladimir Migulja e dal poeta Anatolij Poperečnyj]