Questo è quello che facevano: mostravano i loro documenti di identità e carte d’imbarco; rispondevano alle domande sulle loro destinazioni; si toglievano le scarpe; mettevano i loro effetti personali nei contenitori di plastica; rinunciavano ai liquidi sopra i 100 ml (o non lo facevano e venivano mandati a rispondere ad altre domande); riprendevano i loro effetti personali; attraversavano lo scanner; alzavano le braccia; stavano in piedi, congelati, come ballerini o criminali, mentre lo scanner li fotografava; superavano lo scanner. La luce, nella zona comune, era un blu acceso. Faceva sembrare tutti dei santi, o dei malati. Di solito ero la prima che incontravano. Ero su una postazione e facevo domande. Ero stata addestrata all’indagine comportamentale. Osservavo il rapido tic di un sopracciglio, la tensione di un labbro. Osservavo quanto a lungo si sfregavano le mani sui volti. Brevemente e con uno scopo, o più a lungo, per nessuna ragione. Mi dicevano dove andavano. A che scopo? Chiedevo. C’era sempre la speranza di scoprire qualcuno, il bugiardo, il criminale. C’era la speranza di trovare qualcuno che fosse pericoloso. Continua a leggere
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racconto
A che scopo?
scritto da
Karen E. Bender