Giacomo Buratti

Giacomo Buratti una volta aveva un "blog collettivo" su cui scriveva solo lui con quattro pseudonimi diversi, eppure non è un baby boomer.

Campo

scritto da Giacomo Buratti

«Darò ai vincitori la manna nel segreto e un nome nuovo». Finché non ebbe accolto il nome designato dall’alto per suo figlio Giovanni e non lo tracciò sulla tavoletta, Zaccaria non ritrovò la parola. È Dio il battezzatore, e come sapere in realtà se il nome di Giuseppe significa la sua giustizia o ne è significato, se Lazzaro – Eleazar, colui che Dio soccorre – non ricevette il suo affinché in lui fosse pubblicata tacitamente, fin dalla nascita, la gloria dell’Altissimo?
(C. Campo, Il flauto e il tappeto)

«Francesco, ti posso chiedere una cosa?»
Mi volto verso Mino, sdraiato sul letto in canottiera e pinocchietto grigio, i dorsi delle mani sugli occhi. «Dimmi».
«Dove stiamo come si chiama?»
«Intendi il nome dell’albergo?»
«No, dico, stiamo a Bettelemme?»
Mino ha settantasette anni, è il più anziano del gruppo, cammina col bastone, indossa gli occhiali da sole dal sorgere del sole fin oltre il tramonto e non puzza di vecchio, ciò che temevo quando ho scoperto che avrei diviso la stanza con lui per una settimana. Piuttosto odora dell’odore gradevole e standard del deodorante stick che si spalma su quasi tutta la parte superiore del corpo, lucidando il linoleum senape che è diventata la sua pelle.
«A Betlemme ci stavamo ieri, questa è Gerusalemme».
«Dici?» Continua a leggere

Due gocce d’acqua

scritto da Giacomo Buratti

Francesco e Ferdinando sono gemelli cioè proprio identici. Li vedo sull’autobus. Li vedo bene perché piove il traffico è assurdo due gocce d’acqua e nessuno si muove c’è un gran casino io sono fradicio zuppo. L’autista accende l’aria condizionata perché fa caldo e adesso la pioggia mi si ghiaccia sulla schiena. Di sicuro mi becco la polmonite. Un’altra volta. L’autobus fa un passo alla volta e io nemmeno riesco a prendere dalla tasca dello zaino il lettore emme pi tre srotolare il filo delle cuffie infilarmele nelle orecchie accenderlo premere play sentire un po’ di musica. C’è davvero troppa gente siamo tutti ammassati uno sull’altro riesco a malapena ad aggrapparmi agli appositi sostegni figurati se riesco a fare tutte quelle cose per la musica. Al massimo mi guardo in giro. Ce n’è di tempo. Continua a leggere