Nicolò Porcelluzzi

Nato a Mestre nel 1990. Legge molto e scrive poco. Su Twitter è brillano.

Comunque (un estratto autosufficiente)

scritto da Nicolò Porcelluzzi

«Ecco le pratiche richieste, Vladimir Vladimirovich.»
Con queste parole, o qualcosa del genere, avrebbe dovuto iniziare un capitolo in terza persona onnisciente su Putin. Putin invece è nella sua dacia, seduto per terra, anzi su un tappeto, e sta accarezzando dolcemente il muso di un labrador. Koni.
È una femmina, un esemplare pregevole, il collo è un tronco, i denti forti e sani, il pelo nero e lucido come gli stivali di Volodja ai tempi del KGB, lì in giro per Dresda, a ingrassare di birra. Ecco, in Germania non era stato facile, soprattutto per Lyudmila. Comunque. Volodja ora è circondato da otto minuscoli cuccioli, miopi, zoppicanti, nati per ridefinire qualsiasi concetto di tenerezza. È la mattina del 7 dicembre 2003, ed era tanto, tanto tempo che il Presidente non si sentiva così. È giorno di elezioni della Duma: le schede sono ancora negli scatoloni, vicino alle matite che regaleranno pro forma 223 seggi su 450 a Volodja, sub forma di un controllo assoluto del potere legislativo. Continua a leggere

Questo mi fa molto piacere

scritto da Nicolò Porcelluzzi

Questo mi fa molto piacere è il titolo del racconto vincitore del concorso Fuorisededentrovenezia, e lo trovate qui sotto. Il fatto è che l’ho scritto io, ho vinto io i dollarz eccetera. Lo sto precisando perché lo scorso ottobre non l’avrei mai fatto: l’esperienza era stata fonte di buon guadagno sì, ma soprattutto di forte imbarazzo e disagio. Sarà che ora sono un inutile laureato triennale, sarà che il tempo sedimenta le minchiate, ma ho cambiato idea: è bello ricevere soldi per qualcosa di scritto, è giusto ricevere soldi per qualcosa di scritto.
Forse è un po’ troppo racconto-da-concorso, e forse c’è un groviglio di certe tematiche: però oh, è un racconto vincente!!1!!1!

Era il penultimo scambio del terzo set, quando sentì uno schiocco all’altezza della spalla. Cercando un gesto tecnico piuttosto spettacolare, aveva fatto uscire la palla dal campo, e la clavicola dalla sua sede naturale. Era doloroso. Comunque meno delle prese per il culo concretizzate – tutti i giorni – dal fratello laureando in medicina, Sebastiano, quando aveva saputo che Marco si sarebbe iscritto a Ca’ Foscari, per studiare la lingua dei segni.
La lingua dei segni italiana – che poi tutti chiamano LIS – è studiata a livello accademico solo dalla fine degli anni ’70, e dal 2002 è lingua di specializzazione a Venezia.
Martina invece era nata mentre buttavano giù il muro di Berlino, ma più che altro aveva degli enormi occhi verdi, delle dita sottili, e Marco non capiva bene perché pensando a lei gli balenavano in mente boschi di betulle.
Seba, davvero, non fa ridere cazzo.
Suo fratello trovava divertente l’esistenza di un indirizzo specialistico in lingua dei sordi.
Ehi! Anche le parolacce adesso, siamo grandi ormai! E le parolacce come si fanno? Come metti le mani per vaffanculo? E con le tipe si fa così?
Marco non vedeva quel gesto da almeno otto anni. Continua a leggere

Non è più divertente

scritto da Nicolò Porcelluzzi

(Questo è un racconto che ho scritto l’anno scorso. Ora non lo scriverei esattamente così, ma ho preferito non toccarlo, perché le fasi sono fasi.)

Prendili a calci quando cadono,
prendili a calci quando cadono


LA CANZONE

C’è un certo momento – in una certa canzone, di cui vorrei parlarti.
La canzone è That joke isn’t funny anymore degli Smiths, e il momento si colloca precisamente dopo un minuto e due secondi dall’inizio della traccia. Lì, in quell’istante – e non serve spiegarti che quell’istante diventa uno spazio concreto quanto un ferramenta o questa pagina, accade qualcosa. That joke si stacca da un inizio pensieroso, un po’ sommesso, sbocciando lentamente in qualcosa di cristallino, leggero, il suono della brina.
Però… In questo passaggio la canzone, come dire, si appoggia al mondo e lo blocca per qualche secondo. Già. Intanto Morrissey sussurra, e il cervello si prende i tuoi pensieri, e qualsiasi essi siano, li eleva, li sublima e li distilla.
Ascoltavo il disco, fuori nevicava: il giardino era in coma e guardavo la neve nuova appoggiarsi a quella vecchia. Ero in uno di quei momenti, quando è arrivata la telefonata. Continua a leggere