Ho sognato di giocare la finale Nba del 1991, la prima delle cinque sfide. Credo al posto di Byron Scott, dato che è l’unico che non vedevo in giro. Per il resto c’erano tutti, da Magic fino agli allenatori in seconda e i magazzinieri. Il bello è che ho sognato con assoluta chiarezza anche i giorni precedenti alla gara, quando hai la netta sensazione che l’America intera stia per fermarsi di colpo e che milioni di occhi saranno puntati su di te, sui tuoi tiri da fuori, sulla tua difesa nell’uno contro uno. E proprio lì, in difesa, si concentravano le aspettative maggiori giacché non poteva capitarmi cliente peggiore di un certo signor Jordan.
L’ingresso in campo è in assoluto il momento più elettrizzante. La chiamata dello speaker, i boati dagli spalti, il fomentarsi a colpi di pettorali con i compagni. Certo quando nel monitor gigante ho visto la mia immagine e mi sono reso conto che né la censura onirica né la dieta particolareggiata prescrittami dallo staff medico aveva sortito alcun miglioramento sui miei centodieci chili o sulla calvizie incipiente devo ammettere che sono andato un po’ giù di morale. Ho cercato allora di rimanere concentrato sulle urla della folla. In fondo ero lì, nel quintetto base, evidentemente coach Dunleavy credeva in me, l’America credeva in me. Non era il momento di crollare. Grazie a Dio il fischio iniziale ha spazzato via ogni senso d’inadeguatezza. Continua a leggere
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racconto
Il favore della notte
scritto da
Daniele De Serto