Chiara Araldi

Chiara Araldi - poeta e performer - vive nella piccola città di Mantova, dove è nata il giorno del suo onomastico nel 1983. Dice sempre di volersene andare, ma non si sa bene dove. Non è questo il luogo (poema + tre tragedie) viene pubblicato nel 2009 dalla Biblioteca Clandestina Errabonda, nella collana Samiszdat. Nel 2018, Edizioni La Gru hanno pubblicato la raccolta di poesia: Poetry Is Not Dead (diversamente dal punk. A quello occorre dire addio). Una volta, con un racconto, è pure riuscita ad entrare gratis al MiAmi. Ad oggi, s'è convinta di avere avuto una bella vita.

A riveder le stelle

scritto da Chiara Araldi

– I –
Il dolore è la più dolce tra le droghe
tra tutte, la più potente
sottile si insinua nelle vene come danzano
i miei capelli al vento cambia il colore del sangue
livido sotto la pelle trasparente pulsano
i buchi neri come crateri tra i respiri irregolari comprime le ossa
e sfalda i muscoli fino a renderti vuoto involucro e dentro
il moto ondoso dei tuoi organi disciolti
smembra i ricordi e scarifica il senso
di tutto quello che c’era
prima del

Dolore

(lasciatemi qui, buttato negli angoli
come un ombrello rotto, o dimenticato)

Il dolore è il fiore di loto
da mangiare per non ricordare
la placenta
viscida dove non si sente il rumore
delle cose che attorno si sgretolano e rovinano
è il forno caldo
della coscienza a riposo

(non ho retta da darti, non vedi che soffro?)

Mi inchino a guardarti schiantata sul pavimento.
Non mi fai pena
Mi fai schifo.
Non è il dolore la tua casa.

– II –

Mi chiedi di dare un nome alle cose
anche se sai che soffro di sinestesia
direi che i tuoi occhi sono crudi
come il rumore verde delle cicale a mezzogiorno
direi della mia bocca sconsolata
come le ciliegie
a marcire tra le reti
direi di noi
ma tu non chiedi mai
di noi.

Ho capito l’odore della tua paura
mi rimane tra i denti, come la sabbia in una cozza mal lavata
ti guardo
ristagnare
dentro ai miei piccoli suicidi quotidiani
ondeggio il piede dietro alla curva di un’estate
che porta dietro
rumore secco di macerie
sediamo
sotto la notte, come gli indiani,
mentre intorno a noi si srotola
il nulla

– III –

Ti ho mai raccontato di quella volta che
mi sono aperta un braccio con un coltello da cucina
per osservarmi il colore delle ossa?

Era un mattino di caldo vestito,
dalle finestre entrava
fragile odore di pioggia,
io avevo perso il senso del disagio
e da un paio di giorni dormivo
sulle piastrelle del bagno.

Portavo sotto la pelle una polenta di frattaglie,
ed ero convinta
che mi sarei colata dagli occhi,
un giorno saresti entrato per trovarmi così
pelle di serpente
e tutto il resto sciolto.

Quindi, tra tutte le cose sensate da fare
avevo appunto scelto quella,
verificare empiricamente la persistenza del mio apparato osseo
e me ne stavo coi piedini nudi
dritta
davanti al forno
a sventrarmi l’avambraccio.
Ebbene, scavando con perizia da macellaio,
dietro ai fasci di muscoli rossi e al sangue solido
dietro ai nervi tesi e al grasso bianco ho trovato il mio Radio e l’Ulna,
nel loro confuso abbraccio,
si stavano accanto, vicini, toccandosi solo le estremità,
come noi,
ho pensato,
come noi.

E sai che cosa?
Luccicavano, nella chiara luce del giorno,
rifulgenti e gloriosi,
quello è il mattino in cui ho scoperto
di avere ossa di diamante
ed ho capito che il dolore non è la mia casa,
che il pavimento non è il mio letto,
che non posso indossare maschere per fare finta,
ma posso sopportare il veleno
senza spezzarmi.
Io sono una miniera, la mia bellezza è nascosta
e va estratta
con cura e pazienza.

Quindi ho riso, ricucendomi il braccio
con un filo di raso rosso fiammante,
sono uscita,
ho bevuto un caffè,
ho comprato tre gardenie
e le ho chiamate
Ulna, Radio e Noi.

– IV –

Le donne camminano coi tacchi alti e ondeggiano
come canne al vento,
io ti racconto delle mie resurrezioni
ma tu lo senti
che andrà bene, e guardi i fianchi passare senza ascoltarmi.
Così sorrido, perchè lo so anche io,
ti prendo la mano
come quella canzone di tanti anni fa
e ti porto con me
a rivedere le stelle.

Ascolta A riveder le stelle letta dall’autrice

Post fata resurgo

scritto da Chiara Araldi

Tu cammini annegato nei ricordi
– a guardarti li scorgi,
irradiati a raggiera oltre il crinale del cranio –
gli occhi
fredde fiamme di rasoi
tagliano il vuoto alla ricerca di un senso
Tieni il pugno lungo il busto
chiuso come se
a lasciare andare le dita
scivoleresti via anche tu
disciolto come ketamina
nelle vene della notte che sale.

Hai raccolto i tuoi castighi,
e hai chiesto almeno 813 volte perchè,
alle stelle
che schizzano improvvise lungo il cielo
apparendo come l’avvertimento di un collasso,
alla schiena
che se ne andava senza motivo
mentre tutto intorno
annichilendosi implodeva,
alla polvere
che dorme accatastata sul cuore
come una guardia ubriaca
in un gabbiotto congelato di gennaio.

L’hai chiesto a me
ma io non ho che palme aperte
e i miei capelli profumati,
oltre al cordoglio
ed una sconfinata resa.

Perchè mentre ti cammino accanto io vorrei dirti
che questa è l’ora di arrendersi
vorrei prenderti la mano e spiegarti
che questa è l’ora in cui si lasciano
dissolvere i fantasmi come meduse al sole
vorrei
toccarti con l’indice la fronte e
passarti la mia luce,
riempirti di luce fino a che
piegato sulle ginocchia,
prima di riversarti fuori come un urlo schiantato
tu non veda le margherite fiorire tra l’asfalto.

Soltanto questo siamo, fratello mio,
violenti specchi di inferno,
ognuno ad altri martirio,
ci picchiamo e ci feriamo e ci
lasciamo stremati e senza fiato
siamo una valanga di corpi impilati alla ricerca di aria
e per trovarla usiamo la bocca del corpo accatastato accanto
come scalino
ci siamo l’un l’altro velenosi e parassiti
siamo schegge di dolore precipitate
in mezzo
ad una incredibile
e fragile
bellezza.

Ricorda, è la bellezza a tenerci uniti
ed io ti auguro
di trovare la tua
negli interstizi delle cose,
cercala tre le rime delle parole,
dietro al bancone dei bar,
nelle foglie che si schiudono di crudo verde,
trovala, qualunque sia, e facci l’amore,
ridendo immergi le braccia
nella bellezza che rimuove i pensieri
lascia che lei ti trovi, e ti dia pace
non è il senso
che andiamo cercando,
fratello,
ma il sollievo
quell’attimo
di consapevole lucidità
in cui
non sai, ma senti
che il cielo è lì
e non risponde
ma cristo,
è così bello che
spezza il fiato.

Ascolta Post fata resurgo letta dall’autrice