Gabriele Bonafoni

Gabriele Bonafoni, classe 1982, scorpione, vive di qua e di là dell’Appennino. Attore e performer si diploma alla scuola di recitazione del Teatro Stabile delle Marche. Dal ’99 ad oggi collabora come attore, drammaturgo, insegnante e organizzatore con numerose compagnie in Italia e all’estero. Laureato all’Università di Firenze in progettazione di eventi culturali, dal 2017 legge le sue cose poetiche su e giù per l'Italia, nel 2019 è finalista al campionato nazionale di Poetry Slam LIPS e nel 2020 si classifica secondo al Premio Bologna in Lettere nella sezione ‘poesia orale e performativa’. Per Natale, anche quest’anno, non pubblicherà niente.

L’infinita

scritto da Gabriele Bonafoni

Sempre caro mi fu quest’e
lmo di Scipio, s’è cin
quantamila lacrime, non basteranno per
ché lo fai, disperata ragazza mia
nno visto bere, a una fontana che non ero
in, it’s my wife and it’s my life, because a mainline into my
più mi chinai, nemmeno su un fiore, più non arrossii nel rub
are un ramo fiorito, passeremo il muro, nelle tenebre del gia
vivo al guardo la tua man pingea un che in nebbia m’apparve all’intel
efonando io, potessi dirti addio, ti chia

ra come un’alba, sei fresca come l’aria, diventi ro
ma, Roma, Roma, core de sta ci
cale, cicale, cicale e la for
tuna aiuta gli au
tostrada, ci porterebbe senz’altro a una città, oppure prose
guitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bot
to, dov’è la strada, dove noi e la sera arriva presto, troppo pre
stormi di uccelli neri, com’esuli pensieri, nel ve
nto, sono la furia che passa e che porta con se
nza dire parole nel mio cuore ti porterò e non

sia grande più del nero, fatti grande, dolce Luna e riempi il cielo in
vano, per sempre tuo, per sempre tuo, per sempre tuo, Ci
vuole un fisico bestiale per fare quello che
mi spara sulla faccia ciò che penso della vi
ta, e la vita è la mia, amami ancora, fallo do
meniche d’agosto quanta neve che ca
vallo, il mio regno per un ca
pelli, ma nella fantasia ho l’immagine sua, gli eroi son tutti giovani e belli, gli eroi son tutti giovani e bell
a giovinezza che si fugge tutta via, chi
va dicendo in giro che odio il mio lavoro non sa con quanto amore mi dedico al tri

stezza, oggi mi godo la mia tenerezza, arrivederci amarezza oggi mi godo questa dolcezza e domani chi
ssà chi sa chi sei, chissà che sarai, chissà che sarà di noi, lo sc
accia scaccia satanassa scaccia il diavolo che ti passa, scaccia il male che c’ho dentro e non sto f
antastic, you can brush my hair, undress me ev
enne il cane che morse il ga
aaa, a far l’amore comincia tu, aaa
a stronza, sì, perché forse io ti ho dato troppo am
metto che la colpa forse è solo mia, avrei dovuto perderti invece ti ho cercato. Minuetto suona per n
o! E la luna bussò dove c’era il silenzio, ma una voce sguaiata disse non è più te
mpo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai, ti so

pra al suo viso, lo stesso sorriso che il vento crudele ti aveva rubato che torna fedele, l’amore è torna
re da te: ciao amore, ciao amore, ciao amore, ciao. Non
prometto che ti sposo e un sicuro futuro ma un letto senza riposo mattine a muso duro né villetta né camino m
a per uno come me, poveretto, che voleva prenderti per mano e cascare dentro a un
fuoco di gioia, e tu ubriaca viva, nuda nelle mie brac
c’ha visti stanotte, se vuole può venire qui a riempirmi di botte, però sono sicuro che saranno carezze se per avere t
e vivrò, sì vivrò tutto il giorno per vederti andare via, fra i ricordi e questa strana paz
za idea, io che sorrido a lui, sognando di stare ancora in
venteremo regole e ci sceglieremo i nomi, e certo ci ritroveremo a fare vecchi er
mo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.

Ascolta L’infinita letta dall’autore

C’eravamo tanto armati

scritto da Gabriele Bonafoni

Scaricammo canna da zucchero cubana
e caricammo quel mercantile battente bandiera albanese
con tonnellate di carne umana
quel Titanic in cerca del Lamerika con la cappa
quel Nautilus senza troppe inutili pretese
quel bastimento disperato di anime che scappa.

Capitan Nemo con occhi di bragia
lento si pasce tra le onde dell’Acheronte
e noi ammassati in fila
dalla sala macchine fino al ponte
saturiamo centimetri di questa bambagia
benedicendo il remo che ci malmena
stipati su quel cargo in ventimila
come le leghe c’abbiam sotto la carena.

Ma noi, che c’eravamo tanto amanti
nei bagni del liceo
tu immersa nel blu dipinto di pianti
ed io già qui a guardare il cielo sopra Barletta
da queste sponde, io sarò Romeo
e tu affacciata a quel barcone sarai la mia Giulietta
che non è già più una Capuleti
che sogna Caput Mundi
pregando tra le onde
che quella barca non affondi.

E non ci vinceran colera
tisi o tubercolosi
tu non Marguerite Gautier
ma noi, promessi sposi,
non sarà la peste nera
tu Lucia Mondella
ed io Renzo a fianco a te
facciamo rotta Gibilterra
o Ceuta, Cadice, Melilla
è lo stesso, la stessa guerra
noi a bordo di una bagnarola
con al timone don Rodrigo e le sue bravate
sarà a vincerci la spagnola
non l’influenza dico, ma la marina militare
voi, che v’eravate tanto armati
che ci guardate andare a fondo, nel vostro mare.

E se tu dovessi sprofondare
io ti vengo in cerca e ti riporto in superficie
quella terrestre, o quella lunare,
io sarò il tuo Orfeo e tu la mia Euridice,
la mia radice, la mia Musa,
la mia araba motrice,
il mio zenit verso Lampedusa

Noi stipati e costipati
in questa polveriera
in questa scatola senza bandiera

Noi che ce n’eravamo tanto andati
di frontiera in frontiera
coi nostri corpi arrovellati, crivellati di lamiera

Nel tritacarne di quest’orgia di speranze dantesca
io sarò Paolo e tu Francesca
da sempre costretti a inseguirci
le vite, cacciate, scacciate, schiacciate come insignificanti zanzare
ora possiamo fermarci ed unirci,
a fare l’amore, sul letto del mare.

Ascolta C’eravamo tanto armati letta dall’autore