Mio padre non è benvoluto nel quartiere. I poliziotti si piantano davanti a casa nostra ogni lunedì o martedì e lo osservano bere birra nel minuscolo quadrato di cemento che prima era un giardino. I vicini non hanno una recinzione a proteggerli, ma noi sì. Mio padre beve appollaiato su una panchina che dà giusto sulla strada, reato perseguito da queste parti con una severità degna dei maggiori crimini. Però i poliziotti non possono superare la recinzione e arrestarlo: si accontentano di guardarlo bere.
Neanche la nostra relazione è molto buona. Mia madre è morta e io devo occuparmi di tutte le faccende di casa. Lui è stato educato a non toccare una scopa, io, invece, sembro nata per usarla. Quando finisco di spazzare, spolverare, passare lo straccio e lavare bagno e cucina (il bucato, il giovedì e il lunedì), devo infilarmi la tuta e andare a piedi fino alla fabbrica.
Ero una studentessa tanto notevole da ottenere un lavoro non appena feci domanda, non brava abbastanza però per ricevere una borsa di studio e continuare. Lavoro in una catena di montaggio dalle tre di pomeriggio alle dieci di sera, insieme ad altre venti come me, indistinguibili. Viste dall’alto, attraverso la finestrella dell’ufficio supervisione, dobbiamo sembrare instancabili, tutte noi duecento o trecento che formiamo le quindici file sincronizzate della fabbrica durante i vari turni. Continua a leggere
L’oroscopo dice
scritto da
Antonio Ortuño