Alfredo Giacobbe

Scrive per l’Ultimo Uomo, ha scritto per Skysport e minima et moralia. Lo trovi su Twitter.

Le foto di papà

scritto da Alfredo Giacobbe

Melina gira la chiave nella toppa. La pesante porta dello studio si apre con una spinta leggera, burrosa sui cardini. Ha scelto dal mazzo la chiave giusta al primo colpo e pensa che oggi le accadrà qualcosa di bello. Alza tutti gli interruttori nel quadro elettrico e apre le finestre per far cambiare l’aria. Al mattino è sempre la prima ad arrivare. Lavora come assistente in uno studio di avvocati, nel quartiere Vomero di Napoli. Sa già che allo studio ci passerà molte ore. Sarà l’ultima ad andare via, ma non le pesa. Vive in un piccolo appartamento nelle vicinanze e alla sera non l’aspetta nessuno. Poco tempo prima ha ricevuto una copia delle chiavi, come se fosse uno dei soci. Quella consegna l’aveva riempita di contentezza, ma anche di una responsabilità talmente grande da metterle paura. Felicità e paura si mescolavano sempre in Melina, al punto che ha iniziato a pensare che siano le due facciate dello stesso sentimento. Continua a leggere

Tredici di agosto

scritto da Alfredo Giacobbe

Mio fratello mi aspetta in stazione. Quando scendo dal regionale, Massimo è in testa al binario, oltre la piccola folla dei pendolari che si assembrano intorno alle porte del treno per andare verso il mare, dalle loro famiglie. Non sapevo che Massimo fosse in città, ma non mi spaventa vederlo, immobile tra la gente che si affretta, e illuminato da un raggio di sole tardo pomeridiano che attraversa una crepa nella pensilina malridotta. Ogni anno, il tredici di agosto, i morti ritornano per passare un’ora con i loro cari. Quando raggiungo Massimo e gli sono di fronte, il suo viso di quindicenne è calmo come non lo è mai stato. Non ha né il sorriso forzato che vendeva a nostra madre, né l’ombra dell’inquietudine che lo ha tormentato da vivo. A parte questo, Massimo non è cambiato in niente. Ha la pelle trasparente intorno al naso screziata da una miriade di efelidi rugginose, ha capelli dello stesso colore che s’increspano sopra la testa. Appese al collo ha ancora le inseparabili cuffiette con la spugna gialla e il cavo che gli scende lungo la maglietta, fino a infilarsi nella tasca dei jeans macchiati di sangue scuro. Erano trent’anni che non lo vedevo, in tutto quel tempo Massimo era tornato solo per la mamma. Oggi è qui per me. Continua a leggere