Adriano Cataldo

Fa il consulente assicurativo, scrive testi e li legge in pubblico. Ha fatto per due anni il vice-coordinatore del Trento Poetry Slam e attualmente appartiene al direttivo della Lega Italiana Poetry Slam e al CDA dell’Università Popolare del Cilento. Ha pubblicato due raccolte di poesie (Liste Bloccate, 2018, Amore, morte e altre cose compostabili, 2019). Alcune poesie sono state pubblicate su Poesia del nostro tempo, Charta Sporca, Digressioni, Lahar e Repubblica. Ha partecipato a diversi poetry slam e concorsi di poesia, perlopiù perdendoli. I suoi video sono su youtube.

Il nome della resa

scritto da Adriano Cataldo

Maschio Bianco Italiano
Radici giudaico-cristiane
Ogni giorno, un residente si sveglia
E sa che dovrà
Odiare più forte
Sognare più forte
Votare più forte.
Il residente è sintassi d’interessi
Sogna un cancello, che in principio era verbo.
Sogna una marcia, che in ultimo è aggettivo.
Il residente è complemento oggetto, soggetto al suo vuoto, soggetto al suo voto.
Sogna il residente, che il vuoto fuori sia quello dentro
Il buon degrado, suo malgrado.
Il vuoto che vuole: diritto di suole.
La lingua italiana batte dove il perdente duole
Percuote ciò che vuole
E più non dimandare.
Sogna il tragitto perfetto
Verso la pattumiera, la raccolta dei rifiuti e dei rifiutati
Il palese pulito.
Difendere e dipendere
Sognare le distanze.
Una nazione che non sia alienazione, inazione.
Possiamo oggi dire al residente che la patria è perduta
Che il nostro popolo è morto a Genova
Al residente ricordiamo di scegliersi bene la parte
Capire
Il limite tra cosa offende e cosa coraggio infonde
Il limite tra chi è più italiano tra i Marò e Giulio Regeni.
Scegliersi una sorte che possa dire compagna
Che la vita si sconta lottando.

Ascolta Il nome della resa letta dall’autrice

Europa

scritto da Adriano Cataldo

Ce lo chiede Europa,
il come da prede si viva.
Tu cantami, o diva
L’arte della fuga,
sudore non asciuga.
Padronanza, ci vuole padronanza
a sopportare l’agguato
un’indole funesta
una ragione di stato.
È tutto,
mani bocca gambe occhi
occhi gambe bocca mani
dita perlustranti
su volti silvani.
Se tutto il tempo è debito
se questo è il mio riparo
dal buco di bilancio
io muovo ogni respiro.
Niente di nuovo,
niente, niente di nuovo
sul fronte occidentale
dall’osso occipitale
Un tempo era tutta campagna elettorale.
Perdona questo corpo
quest’ombra verticale
se forse più non sono
materia per pensare.
Guardi signora che è dura per tutti
c’è solo da capire chi siano gli sconfitti
c’è solo da capire chi scriva la matrice
e quanto odio ancora
si pompa da Amatrice.
Di quanto odio ancora
faccia da cemento
a questa patria plastica
dal volto purulento.
Si teme il viceversa,
l’astuzia, pioggia tersa
si teme, che anche i rischi corrano
e che in futuro non occorrano
tutti questi italiani
a farne una nazione
Che sia soltanto il muro
la sua fondazione.
Possiamo dire infine
che la barca sia la stessa
noi siamo qui a fuggire:
un popolo che è massa.

Ascolta Europa, o l’arte della fuga letta dall’autore