La sveglia di Ernesto suona alle 7, dopo meno di un minuto suonano anche le campane della chiesa dietro casa. In quei sessanta secondi Ernesto fissa il vuoto senza parlare, non si muove nemmeno, si alza solo quando hanno smesso di suonare le campane. Ogni volta la schiena gli fa male, lui se la massaggia col dorso della mano e va ad aprire la finestra.
Simona resta ancora a letto, ruba altri cinque minuti di sonno a una giornata senza scopo. Quando Ernesto apre la finestra la giornata è limpida, la luce entra prepotente nella stanza. Simona si copre gli occhi con la mano, dice a Ernesto che quella luce è strana, portavano maltempo. Ernesto va in cucina, accende la macchinetta del caffè, prende una tazzina, la posiziona sotto la bocchetta del caffè e preme un tasto. Mentre la tazzina si riempie lui conta fino a dieci facendo delle flessioni sulle gambe, ha le braccia tese in avanti. Simona è ancora a letto, aspetta di sentire il rumore del secondo caffè per alzarsi. Ernesto ci mette un cucchiaino di zucchero di canna, l’altra ha il caffè amaro.
Accende la radio, tra una canzone e l’altra parte il giornale radio, mancano due giorni alle elezioni, la prima notizia è di politica interna, poi subito le notizie sull’allerta meteo. Ernesto guarda di nuovo fuori dalla finestra, il cielo è per lo più sgombro, ci sono poche nuvole all’orizzonte. Comincia a vestirsi mette le sue gocce negli occhi, poi si lava la faccia e i denti. Mentre si fissa allo specchio si chiede che senso abbia tutto questo. Sputa nel lavandino il dentifricio si asciuga ed è pronto ad andare. Cerca Simona, si danno un bacio e si dicono ci vediamo stasera. Ma stasera è tra un sacco di tempo pensa lui, e in mezzo c’è una giornata che è un viaggio il cui unico senso è tornare.
Sotto casa controlla la cassetta della posta, non c’è niente, ha sempre paura di trovare qualche bolletta da pagare, qualche multa o qualcosa che nemmeno sa. Ha paura di ricevere lettere che non arrivano mai. Se ne trova una è quasi contento che la sua profezia di sventura si sia adempiuta. Si dirige verso la macchina, mette in moto, guarda il quadro, tutto è al suo posto. Nessuna spia accesa, anche lì Ernesto teme sempre che succeda qualcosa, ogni nuovo giorno è una lotta contro l’imprevisto, contro gli accidenti che capitano e che anche se non capitano, lui comunque si prepara a farli capitare. Passa a prendere i colleghi, è in ritardo, loro lo guardano male, sono sempre precisi e lui non lo è quasi mai. Loro sempre operativi lui sempre fuori posto, parlano di lavoro ed Ernesto guarda fuori dal finestrino, parte una vecchia canzone inglese, lui si ricorda di quando ha conosciuto Simona ed erano ancora studenti, che la cantavano insieme quando tornavano dall’Università, la canzone corre spedita e lui vorrebbe cantare, guarda i colleghi e non hanno nessuna reazione. Ernesto si sente molto triste. Pensa a quel racconto che ha lasciato a metà, che non riesce a continuare. I giorni lo spingono a muoversi e lui vorrebbe solo stare fermo, il tempo volge al peggio e lui vorrebbe solo rimanere sotto le coperte, il governo sta per cambiare lui vorrebbe solo piangere.
Quando esce dall’ufficio è sera, il cielo è coperto, accende l’auto e l’occhio gli cade come al solito sul quadro, tutto a posto. Prima di salire a casa controlla la cassetta della posta, non c’è niente. Ogni tanto Ernesto si chiede come si fa a trovare qualcosa che non si sa cosa sia, che forma abbia, che odore. Come la tristezza o la felicità, come la noia o la gioia. Ernesto sa solo cercare, guardare nella cassetta della posta, controllare il quadro di accensione dell’auto, sa consultare il meteo e confrontarlo con quello che vede dalla finestra quando si sveglia. Ernesto vive nella ricerca di qualcosa che non c’è. Qualcosa che sciolga quel nodo allo stomaco che si porta dentro. Ernesto guarda fuori e non vede il groppo alla gola.
Quando entra in casa trova Simona sul divano, le chiede com’è andata la giornata. Lei si gira dall’altra parte. Lui si spoglia, poi beve un bicchiere d’acqua e si siede sul divano con lei. Fissano la televisione, c’è il telegiornale e in casa l’atmosfera è pesante. L’allerta meteo è diventata la prima notizia. C’è un’immagine di una nuvola enorme che copre la città. Ernesto si alza e va alla finestra, non la apre ma appiccica la fronte al vetro per guardare meglio fuori senza proferire parola. Torna sul divano, è davvero enorme dice a Simona. Passa qualche minuto, Ernesto chiede di nuovo com’è andata la giornata, lei dice che non è uscita. Come mai le chiede Ernesto, non avevo voglia, mi sono data malata, non voglio più uscire risponde lei. Ernesto non reagisce, beve un altro bicchiere d’acqua. Nemmeno per andare a votare chiede, non lo so risponde lei. E fino a quando vuoi restare in casa, incalza lui. Non lo so risponde Simona. Voglio restare qui, sto bene qui, fuori non c’è niente che mi interessi, la vita fuori è grigia, e questa nuvola mi fa paura, sto bene sul divano, sto bene sul mio letto. Sto bene se ci sei anche tu qui, basta. Ernesto la guarda interdetto, Simona continua.
A cosa serve fare, correre, uscire di casa, lavorare e fingere che ci interessi qualcosa. Tutto il tempo che passiamo fuori di qui è finzione e fingere mi sfinisce. Questa stanchezza parte dalle gambe ed arriva fino allo stomaco trasformandosi in disperazione. Una disperazione che mi risale lungo il corpo, dalle vene fino al cuore, la digerisco come fosse un cibo necessario e diventa parte di me, parte di noi. Siamo disperati ma non lo ammettiamo, lì fuori è pieno di disperazioni che si scontrano con la nostra, colpiamo per primi per non essere colpiti a nostra volta. Siamo personaggi usciti dalla penna di uno scrittore triste. Per questo resto qui, resto distesa e lascio che le cose accadano senza di me. Lascio che la nuvola mi prenda e mi renda parte di questo mondo in perenne allerta meteo.
Ernesto non risponde, si alza dal divano, va nell’altra stanza e torna con una coperta. Si siede vicino a Simona, l’abbraccia e copre entrambi. Si addormentano. Manca un giorno alle elezioni e la nuvola minaccia di spazzare via ogni cosa con una pioggia torrenziale. La paura non vede l’ora di inondare le urne e Simona ed Ernesto si tengono stretti. Dentro casa tutto è possibile, il mondo si muove lento come i pensieri, come i sentimenti come le mani.
La sveglia suona alle 7, come sempre, dopo un minuto suonano anche le campane. Ernesto si alza, si massaggia la schiena dolorante. Va alla finestra, apre le imposte per vedere meglio, la nuvola entra anche in casa. Ora il temporale è parte della casa, le loro ansie si mescolano a quella medusa d’aria che ricopre i corpi e gli animi di tutti quelli come loro. Ernesto torna sul divano, sotto le coperte, abbraccia Simona più forte. Ha deciso di restare a casa, di dimenticarsi della cassetta delle lettere, delle gocce negli occhi, di fare gli esercizi per la schiena. Le spie nel quadro della macchina possono anche accendersi senza di lui. Se non si muove quelle spie non fanno male, non fa male il mondo se quel mondo non lo prendi in considerazione. Fa bene quello che puoi stringere, che puoi afferrare. Simona ed Ernesto fanno l’amore e la giornata finisce lì.
Il giorno delle elezioni Ernesto viene svegliato dal rumore della pioggia, sente le gocce picchiettare sul tetto, sul pavimento della casa. L’acqua entra dalla finestra, Ernesto chiude di nuovo gli occhi e spera che quella pioggia diventi un’alluvione che cancella tutto. Un flusso di acqua violenta capace di spazzare via le elezioni, la paura e anche lui. Col passare delle ore la pioggia si porta via anche la nuvola.
Ernesto allora cucina qualcosa, mangia sul divano insieme a Simona. Quando hanno finito si appoggiano l’uno alla spalla dell’altra e si tengono stretti, Simona si addormenta di nuovo, Ernesto torna a tavola, ha dei fogli tra le mani e un racconto lasciato a metà. Si mette a scrivere. C’è una sveglia che suona alle sette del mattino, poco prima del suono delle campane di una chiesa poco lontana. Un uomo si alza, ha mal di schiena, va ad aprire le finestre e c’è il sole che entra nella stanza, la sua compagna si copre gli occhi con una mano. Lui si gira, la guarda poi va a fare il caffè. Hanno dato maltempo ma ancora non si vede una nuvola.