Ceci d’estate [Ricettario]

4 spicchi d’aglio
300g di ceci
Un gambo di sedano
Una carota
Due rami di rosmarino
Una tazza di brodo

Un grappolo di pomodori tondi ramati maturi
Un peperone rosso
Un cetriolo
Mezza cipolla rossa
Due cucchiai di aceto
Tre cucchiai di olio extra vergine
Sale, pepe

Sei gamberoni del Mediterraneo
limone

Vera scola i ceci dall’acqua di ammollo per metterli a cuocere.
Butta nella pentola anche due spicchi d’aglio, senza sbucciarli, e un ramo di rosmarino strappato dalla pianta sul davanzale.
Jacopo è appena apparso sulla porta d’ingresso.
«Ah, ci sei!»
Poggia lo zaino sulla poltrona gialla e si leva le scarpe con un grugnito di sollievo. Due chiazze simmetriche si vanno formando sul cotone della camicia, a livello dei pettorali.
«A questo punto potremmo raggiungere Franca e Michael.»
L’acqua sul fornello bolle subito perché in casa, e fuori, fa molto caldo.
«Sì ma… Già gli abbiamo detto di no.»
«Pensavo avessi da fare, ma vedo che sei tornata. Facciamo ancora in tempo, il film è alle 21:00.»
«Ho messo su questi ormai.»
Vera indica la pentola con un mestolo, si asciuga il sudore sulla fronte con il dorso della manica.
«Possiamo mangiare più tardi, con loro.»
«Deve cuocere un’ora.»
Jacopo le si avvicina.
«Pasta e ceci.»
Vera fa solo un cenno con la testa, si muove veloce sopra al lavello, sciacqua le tazze della colazione.
Jacopo cerca di aprire di più l’anta della finestra, già spalancata al massimo.
«Vera, è luglio. Hai voglia di una minestra?»
«No, però… È buona. I ceci stavano per scadere.»
Jacopo torna in zona divano, si accascia sulla poltrona senza levare il suo zaino. Non la guarda, e il suo sospiro viene inghiottito dal rumore del tram sulle rotaie in strada.
Comincia a spippolare sul cellulare, ma non ha un intento.
Vera riempie la caraffa d’acqua e la mette in frigo.
Le piante dei piedi, a contatto con le mattonelle di cotto, sono l’unica sezione del suo corpo rimasta fresca. Si gira verso di lui, verso i tre quarti di spalle in camicia.
«Puoi mettere musica, se vuoi.»
Passa una pezzetta sul piano cucina cancellando degli schizzi rappresi di sugo.
Jacopo non vuole musica.
«Per sapere, cos’è che avevi da fare stasera?»
«No, niente di preciso.»
Jacopo irrigidisce il collo, deve fare una torsione completa per girarsi verso la cucina.
«Perché mi hai detto che non potevi uscire? Hai scritto “ho da fare”.»
«Nel senso, ho da fare in generale.»
Vera dà un’occhiata lampo al busto di lui, che torna a darle le spalle. La sua nuca sembra contrariata.
«Perché i ceci scadono. Capisco.»
Vera rimane in silenzio e inizia a lavorare il soffritto.
Una carota, una cipolla media e un gambo di sedano.
«Potevi dire che non volevi uscire, che non ti andava.»
Il vapore dei ceci è insopportabile, Vera scatta in direzione dell’altra finestra. Anche quella già aperta al massimo.
– Non l’ho detto perché non è vero.
Jacopo fa un risolino amaro, scuote la testa.
– Allora andiamo. Se saltiamo l’aperitivo hai tempo di cucinare, e andiamo diretti al cinema.
È di nuovo in zona cucina, in piedi, ha messo le mani sui fianchi ma le toglie subito.
Vera tira su col naso, gli occhi sono irritati dal siero della cipolla. Una goccia di sudore le carezza il petto e scivola nel solco del seno.
– Ma faremo tardi… In realtà non so quanto ci vuole qui, di preciso.
Jacopo fissa la finestra. In piedi in mezzo al salotto, le braccia discoste dal busto, un albero strano nella nebbia della cottura.
Ripesca il telefono dalla tasca e si mette a leggere qualcosa. Rinuncia, lancia il portatile sulla poltrona con un gesto definitivo.
– A me non va, la pasta e ceci.
Vera ha trasferito il trito di verdure in una padella con un filo d’olio. L’odore del soffritto si unisce al vapore. Prende uno strofinaccio e si asciuga le mani.
Si guardano.
– Ma ormai l’ho fatta. È un peccato.
– Ma perché “ormai”. Non è che l’hai cucinata per sbaglio.
– Ok ma è uguale, ho già tagliato tutto. Se vuoi vai tu…
– Se mi dici che non ti va di uscire rimango.
– Ma non…
Qualcosa scoppietta sulla padella, che ha i bordi alti, è quasi una casseruola.
Il fuoco è troppo alto, Vera scuote il manico e fa saltare gli ingredienti, poi abbassa il gas. Si torce le mani ancora nello strofinaccio, guarda un po’ a lato e si scrocchia le dita dei piedi anchilosate dalla danza schiacciandole sul cotto.
«E perché non avrei voglia di uscire, non ha senso.»
Jacopo stringe le labbra.
«Eh, se non lo sai tu.»
Si sbottona il collo della camicia.
«Hai questi tuoi modi assurdi…»
Alza una mano in un gesto, vuole illustrare qualcosa ma perde slancio.
«Questi modi di importi… A me la minestra non va. Fanno quaranta gradi.»
Vera alza le spalle. Apre il freezer e prende il brodo vegetale, l’ha congelato nelle formine del ghiaccio.
«Non posso obbligarti a mangiarla. Comunque non è una minestra.»
Ma Jacopo è già sparito in camera.
Vera sente lo scroscio dell’acqua della doccia. Si asciuga ancora il sudore, stavolta tra la bocca e il naso. Le sue mani sanno di cipolla.

Quando Jacopo torna da lei frizionandosi i capelli con un asciugamano i ceci sono quasi morbidi. Vera alza il coperchio della pentola e libera una zaffata di rosmarino.
«A loro che dico? Franca vorrà sapere perché non ci sei.»
«Non credo. Salutameli però. Ti lascio un po’ di cena… È un peccato.»
«Sì invece, vorrà sapere in cosa sei impegnata. Ho detto che non mi va la minestra.»
Jacopo scompare di nuovo nel corridoio. Torna a torso nudo, in jeans.
«Le dico che avevi da fare. La pasta e ceci. A luglio.»
Vera ha tirato fuori il parmigiano, lo scarta dal cellophane e lo mette su un piatto con la grattugia, quello già comincia a traspirare. Cambia idea, lo rimette in frigo.
«Ma non c’è bisogno, che vuoi che gli importi, a Franca e Michael.»
«Ci hanno invitati.»
«Hanno invitato te.»
Non c’è intonazione in quest’ultima frase di lei.
«Cosa significa. Vuoi un invito personalizzato? Con ceralacca?»
Jacopo dà un’ultima strofinata ai capelli, lascia l’asciugamano sul tavolino vicino alla poltrona, va a scegliersi una maglietta.
Vera rimane sola. Ha unito i ceci al soffritto e li fa andare nella casseruola, ha aggiunto anche i due cubetti di brodo.
Poggia i gomiti sul davanzale per asciugarsi la faccia all’aria, ma non le arriva niente, solo l’odore della polvere intrappolata nella zanzariera. C’è il signor Bertucchi, affacciato alla ringhiera del suo ballatoio, di fronte a lei ma oltre al perimetro del cortile. Le sorride e raccoglie due sacchi di immondizia. Vera raddrizza la schiena e fa sparire i gomiti, fa un ciao con la mano anche lei, poi sparisce nel vapore della casa.
Jacopo è tornato in salotto, ha quasi finito di prepararsi, tra poco sarà pronto per uscire.
Vera continua a girare la minestra.
«Non ci hanno nemmeno chiesto che film preferiremmo vedere. È sempre così, come se ci volessero insegnare qualcosa. E da noi non vogliono prendere nulla.»
Jacopo smette di allacciarsi una scarpa. Rimane piegato sul pouf all’ingresso.
«Lo so.»
Resta ancora qualche secondo chinato sul proprio piede. Poi lascia perdere l’orlo dei jeans, guarda le spalle di Vera.
«Quindi non ti va di uscire.»
«Non ho detto questo.»
Jacopo sospira. Prende in mano i lacci della seconda scarpa.
Vera tira fuori dal frigo un pentolino di gamberi marinati nel limone e cotti al vapore, e una scodella di gazpacho.
Jacopo sente l’odore del pesce che si insinua tra l’aroma dei legumi.
«Cos’è?»
«Avevo cotto anche i gamberi, una nuova ricetta. Da unire ai ceci frullati, con una specie di riduzione di gazpacho, non ho capito in che senso riduzione perché in realtà il procedimento è lo stesso del gazpacho, pomodori freschi, cetriolo, aceto…»
Jacopo giocherella con le chiavi, si è tirato su e si è allungato con la schiena sul pouf, è una seduta molto comoda.
«Hai fatto tutto oggi?»
Vera frulla parzialmente i ceci nella casseruola, toglie il ramo di rosmarino stufato.
«Sì. Ho avuto da fare, ti ho detto.»
Prende due piatti piani e distribuisce la zuppa che in realtà è una crema densa.
Stende tre gamberi a testa su ognuno dei letti di ceci, con un piccolo imbuto fa colare le gocce di gazpacho come pois arancioni e spreme una fettina di limone sui crostacei, alla fine un filo d’olio a crudo.

C’è ancora luce e il vapore in cucina è meno denso.
Aspettano che il cibo si raffreddi e lo mangiano in dieci minuti, sulla tavola apparecchiata sommariamente.
Vera versa l’acqua nel bicchiere di Jacopo.
«Che film hanno visto?»