Piove tantissimo. La strada è così piena d’acqua che sono spariti i tombini.
È successo così: ieri faceva caldissimo e tutti pensavano che la primavera era iniziata. Invece, stamattina quando ci siamo svegliati, il cielo era tutto nero e il giardino era bagnato. Prima le gocce venivano giù fini e siamo usciti sul balcone a stendere le braccia fuori dalla ringhiera. La pioggia non si vedeva ma le nostre mani si bagnavano lo stesso. Poi, però, ha cominciato a scendere così forte che non riuscivamo a vedere nemmeno i palazzi dall’altra parte del giardino.
Quando piove non si può fare nient’altro che guardare il temporale. Volevamo andare in giardino a giocare ma per colpa della pioggia ce ne stiamo qui davanti alla finestra in cucina. Col naso respiriamo sul vetro; la nebbia sottolinea la tempesta.
Fa niente: ci piace il temporale. Tutte le volte facciamo così: ci mettiamo uno di fianco all’altro davanti alla finestra e guardiamo il giardino e la strada e ci mettiamo a ridere se c’è qualcuno che passa. Mi sembra che, una volta, un signore è caduto ma adesso no perché piove troppo forte e passano solo le macchine. Nel prato, i fiori stanno male. Da quando ci siamo messi davanti alla finestra hanno già perso tantissimi petali bianchi e anche i petali rosa, adesso, sono caduti. Se continua così, di certo rimarranno senza e moriranno. Gli alberi davanti alla casa del vicino, invece, ballano.
Sono solo le tre ma le luci in salotto sono già accese. La mamma ha invitato le sue amiche perché viene il signore che pulisce i tappeti. Ogni volta che viene, loro lo guardano in silenzio mentre fa la presentazione. E’ strano che non parlano; secondo noi il signore che pulisce i tappeti è l’unico al mondo che riesce a farle stare zitte. Mi ricordo quando la mamma ci portava in piazza a fare la merenda e c’erano anche le sue amiche: attorno al tavolo c’era sempre rumore e sopra tante borse e i pastelli che si mettono sulle labbra. Noi tre, invece, non abbiamo bisogno di parlare con la bocca per capirci: abbiamo gli stessi pensieri. Sicuro è una cosa normale fra fratelli siamesi.
«E guardate, signore, che di me vi dovete fidare: ma sapete quanti ne ho venduti da quando faccio questo mestiere?» Maria fa l’imitazione del signore che pulisce i tappeti; io e Zaccaria ci mettiamo a ridere.
«Io ve ne regalerei uno a testa, se potessi, perché lo so che vi serve. E come fa a non servirvi?»
Le nuvole, oggi, sono belle perché non c’è uno strato grigio di un solo colore ma sembra che quelle bianche e quelle nere fanno la lotta e in mezzo ci sono tutte le altre, di tutti i tipi di grigio. Adesso nel cielo c’è n’è una nerissima. Chissà che cos’è! Chissà perché rimane lì ferma e non fa la guerra assieme alle altre! Guardiamo dietro alla nuvola con la forza dei nostri pensieri. Secondo me è un ufo. La fissiamo per tantissimo tempo e, alla fine, mi sembra che si è spostata.
«Signore, non so più cosa fare. I vostri mariti la bevono, la birra? E allora ci aggiungo un apribottiglie in acciaio che ve li fa diventare matti. Matti! Vi faranno le pulizie per un mese.» Maria ci fa ridere ancora con la sua imitazione; la fa proprio uguale.
Penso che, di là, le amiche della mamma hanno già cominciato a fare sì con la testa e a guardarsi in faccia. Ci ricordiamo tutti e tre come fanno quando viene a parlare il signore che pulisce i tappeti: spostano sempre i capelli dietro le orecchie e continuano a accavallare le gambe.
Il giorno che ci hanno portato sull’aereo per andare all’ospedale era il contrario di oggi: faceva caldissimo. L’aereo luccicava così tanto, per colpa del sole, che non riuscivamo quasi a guardarlo. Aveva la coda rossa e faceva lo stesso rumore che fa il temporale. Quella è l’unica volta che abbiamo preso l’aereo; spero che non dobbiamo prenderlo mai più. Quando siamo arrivati all’ospedale ci hanno messo su un lettino e dovevamo per forza guardare in alto. C’erano la mamma, il papà e un signore che faceva le foto. Siamo rimasti sul lettino per tantissimo tempo. Quando ci spostavano, le luci del soffitto sembravano le strisce dell’autostrada. Zaca alzava le braccia e faceva finta di guidare.
Adesso è andato in bagno, proprio mentre c’è una vecchietta che cammina per strada: ha sopra un impermeabile giallo e si aggrappa al muro per restare in piedi. Chissà perché è uscita proprio adesso che c’è il temporale! Finalmente è arrivata al cancellino di casa sua; si appoggia e prova a infilare le chiavi per aprire. Il vento la fa quasi cadere e deve tenersi con le mani per non finire per terra. Sale piano i gradini e arriva sotto il tetto della casa. Ora la pioggia non la può più inzuppare.
Zaca è tornato. Si lamenta perché quando schiaccia il pulsante del gabinetto non scende mai l’acqua. Maria dice qualcosa senza muovere la faccia.
«Piove tantissimo.»
«Si.»
Penso che mia sorella è più intelligente di me.
In salotto hanno spostato tutti i mobili: l’uomo che pulisce i tappeti sta per cominciare la presentazione. Le amiche della mamma, che hanno paura di stare in silenzio, si mettono a parlare tutte assieme mentre il signore monta la macchina per farla funzionare.
I fiori del giardino hanno perso quasi tutti i petali, ormai: finiscono nell’erba e spariscono come i cattivi quando cadono nelle sabbie mobili. La nuvola nera è ancora in mezzo a quelle che fanno la lotta. La pioggia scende dai muri come le cascate in montagna.
Anche quando ci hanno detto che dovevamo andare in Svizzera pioveva forte come oggi. Però non in giardino; nei nostri cuori. La mamma piangeva e noi provavamo a abbracciarla. Magari pensate che è stupido, ma non volevamo che ci separavano: eravamo nati assieme e avevamo imparato a fare tutte le cose come gli altri, non ci importava se era più difficile. Per lavarci i denti salivamo sulla panca e ci spostavamo come il rullo della macchina da scrivere. Io facevo il primo, Maria l’ultima.
Zaccaria è salito sulla sedia e si è messo davanti ai fornelli: vuole vedere cosa mangiamo stasera ma la luce sopra alle pentole non funziona. Io credo che è arrabbiato, anzi, sono sicuro. La mamma fa sempre così: si mette seduta sul divano con le mani davanti alla faccia e dice a voce bassa le cose che non dobbiamo sentire. Noi tre, invece, non abbiamo segreti.
L’uomo che pulisce i tappeti ha iniziato il suo spettacolo. Adesso apre le boccette e macchia il tappeto così, poi, può pulirlo con la sua macchina. La prima volta abbiamo guardato anche noi la presentazione. Se siamo fortunati dura ancora mezz’ora, così possiamo restare in cucina a guardare il temporale che annega Candia.
Prima il cielo era così buio che faceva paura ma, adesso, sembra che il temporale è quasi passato. Le nuvole sopra di noi sono diventate tutte dello stesso colore: il combattimento è finito.
Ci guardiamo riflessi sul vetro della finestra e ci viene da ridere.
L’uomo che pulisce i tappeti ha acceso la macchina e adesso in casa c’è tantissimo rumore. La tempesta è qui dentro, adesso. «Ve l’avevo detto che è un vero portento!» dice il signore dall’altra parte del muro. Sicuro che le amiche della mamma si stanno guardando con il sorrisino sulla bocca.
Maria va a chiudere la porta della cucina e poi torna davanti alla finestra. Mi tiene per mano. Mi dice di ascoltare il rumore delle gocce con gli occhi chiusi e di dirle quello che vedo lì dentro. Chiudiamo gli occhi assieme senza che diciamo una parola. So che vediamo le stesse cose. Riapriamo gli occhi e il temporale è finito. Gli alberi del vicino si muovono appena, i torrenti sui muri si asciugano e i petali tornano al loro posto sui fiori.
Mi piace tantissimo l’odore del prato dopo il temporale. Anche a Maria e a Zaccaria piace. Apriamo la finestra e corriamo sul balcone. Il vetro si sposta e l’immagine di Zaccaria sparisce dalla stanza.
Respiriamo fortissimo. Un raggio di sole buca le nuvole bianche. La luce nel salotto si spegne. Papà torna a casa fra pochi minuti.
Guardiamo in alto dove prima c’era la nuvola nera. Maria pensava che era un ufo e anch’io pensavo la stessa cosa ma, adesso che il cielo è tornato sereno, finalmente lo vediamo: è un aereo bianco con la coda rossa e non è vero che è fermo, un pochino si muove.
Ci avevano detto che non cambiava niente dopo che andavamo in Svizzera, ma non era vero: da quando Zaccaria è morto la mamma invita le sue amiche per le presentazioni. Di solito non comprano niente ma vengono sempre tutte a vederle.
Torniamo dentro e andiamo in camera a giocare. Il sole non è mai stato più giallo di adesso, nel cielo. L’aereo con la coda rossa si vede anche dalla finestra della cameretta. Piano piano, mentre giochiamo, scompare.