I.
Sono le 19:30, a Bruxelles, e una ragazza ha appena finito di aggiustare la sua percezione del denaro all’inflazione. Si toglie i pantaloni e si mette in tuta comoda. Stretch-pants blu scuro della Nike, un maglione qualsiasi sopra. Per tutto il giorno il cielo è rimasto letteralmente nero.
Al bordo del quartiere europeo i palazzi hanno più vetrate che muri. Gli uffici restano illuminati anche di notte, pare costi meno che spegnere e riaccendere le luci ogni volta. La ragazza ha lavorato in remoto ma per staccare la testa deve chiudere il laptop.
Non ha mai saputo mantenere in ordine il proprio ecosistema digitale. Prova a chiudere il calendario e le saltano fuori una decina di pop-up, richieste di aggiornamento, verifiche a due fattori. Ignora tutto, tiene premuto a lungo il tasto I/O e spegne.
Ha iniziato a chiedere più soldi alla sua azienda prima di altri, per conservare il potere d’acquisto cui è abituata. Due ragazze 25enni che chiedono più di lei, per meno ore di lavoro, si sono affacciate ai colloqui la settimana scorsa. Così — col tempo — arriveranno le prime 20enni e i 6.400,00€ al mese che le versano sembreranno appena sufficienti a campare. Un telefono normale costerà due volte mille euro, il leasing di un’auto tedesca quanto l’affitto di una villa in Italia, un filetto quanto una cena intera, un mese a Courmayeur quanto il lordo di una carriera, solo la pulizia dentale e la palestra continueranno a costare uguali perché in convenzione. Questo non deve succedere, o almeno non deve succedere a lei.
Pesca il telefono senza guardare, lo mette in modo aereo. Il suo capo è in viaggio per lavoro e si sono sentiti dopo pranzo, non richiamerà.
La camera da letto si affaccia nel cortile interno di un grande palazzo in acciaio e vetro. Sono uffici di private banking, consulenti, terziario avanzato. Fanno trading finanziario non romantico — senza coca, senza adrenalina, in silenzio, senza riunioni notturne col CFO, o Jeremy Irons che arriva in elicottero per capire cosa succede come in Margin Call. Anche i computer lasciano fissi accesi oltre le luci, in quell’ufficio. Ha sempre avuto paura di vedere qualcuno aggirarsi tra le scrivanie di notte a controllare le mail.
In casa il riscaldamento è alto. Il vento gelido non riesce ad infilarsi sotto il doppio infisso, pure insistendo. Le lenzuola sono pulite e il letto è ben fatto. C’è un mucchio assurdo di vestiti gettati sulla poltrona. Le ragazze sono pulite ma spesso disordinate.
Nelle lenzuola pulite e bianche — col cielo nero e il vento freddo, dopo il lavoro, alla fine dei nervi, affacciata sugli uffici sempre illuminati di una banca — ci si vorrebbe solo mettere a scopare. Comoda a scopare senza musica, seduta sopra. Una cosa reciproca, non romantica — come il private banking — fisica, autoevidente. Mezzo bicchiere di vino bianco freddo, a stomaco vuoto, 6 minuti prima di iniziare a baciarlo, basta questo, è collaudato. Venire una volta e riposarsi. Forse una seconda appresso, se gli regge. Lasciarlo finire in bocca, lasciarlo fumare in casa. Dopo andrà via, dopo si può guardare una serie coi sottotitoli e si può dormire soli.
Riaccende il telefono.
Scrive:
19:54 “Hey”
19:59 “Ehi tu”
19:59 “Che fai”
20:03 “Finito adesso lavoro tu?”
20:04 “Pure io sto distruttaq”
20:11 “Vuoi passare da me?”
20:35 “Mi dai un’oretta?”
20:36 “Daiii anche prima”
20:36 “sto KO non voglio fare tardi”
20:37 “senno domani dai”
20:37 “Venti minuti sono là”
Registrato l’accordo spegne il telefono. Si lava i denti e si lega i capelli, niente altro. Non c’è bisogno di altro.
La familiarità come moltiplicatore erotico invece che accollo ingestibile, succede una volta su un milione; con questo tizio è successo. Si diventa sempre fratelli stando bene assieme, attenzione, sempre e comunque, non c’è scampo. Ma c’è una ragione profonda per cui step-sister resta la quinta categoria più cercata al mondo su Pornhub, e questi due l’hanno interiorizzata, costruendoci sopra la piattaforma di una politica di coppia.
Lui è sotto casa di lei alle 21:00 spaccate. Ha l’ADHD e può solo arrivare ad orari tondi o non arrivare proprio. Citofona.
“Per ogni euro che ricevo me ne servono tre”. Una equivalenza rigida le si è formata in testa ma non reggerà alla realtà. 6,4k€*3 sono 19,2k€/mese — questa non è una cifra che si chiede ad un capo, è una cifra che si delibera, è una cifra che riguarda tutta la collettività. “Ma se spendo più di quello che guadagno devono darmeli per forza”, continua a pensare, rimuginando sul problema con una biro in bocca. Apre il portone.
All’esterno del palazzo, un grande infisso economico tenuto male — PVC a doppia anta, circa 3m*2,60m —, forse per il vento, si stacca dal muro perimetrale e piomba giù lungo la facciata.
Si schianta sull’asfalto di Rue de la Loi, davanti ad una Tesla blu, che inchioda. Il rumore del PVC accartocciato e le prime bestemmie in francese dei passanti arrivano fin dentro l’attico di lei, che ha la porta d’ingresso aperta.
Lui sente il boato, si ferma un secondo.
Lascia perdere, entra in ascensore, schiaccia il tasto 16.
Lei lo aspetta in piedi sulla soglia delle porte cromate, nervosa, pantaloni della tuta e cappotto. Ha in mano un assegno di Intesa Sanpaolo, filiale di Salerno, firmato e datato, intestato a lui, con un nominale di 31.500,00€.
In un singolo gesto fluido mette l’assegno in mano al ragazzo, rimasto impalato al centro dell’ascensore, e dà una palmata secca al tasto zero, l’unico colorato di verde, rispedendolo nella lobby. Mentre le porte si chiudono fa una specie di saluto militare carino e sdrammatizzato.
Nei pochi secondi tra il fracasso della finestra rotta e la consegna dell’assegno, nessuno dei due ha avuto un pensiero chiaro. La somma delle posizioni assunte da due corpi che scopano, alla fine di una relazione — lunga o breve che sia — è sempre un numero primo. Questa semplice verità appartiene al dominio dei misteri idioti, come alcune sequenze matematiche usate in finanza, come l’inflazione che corrode il capitale circolante, come la tendenza di una donna meridionale a rimettere i suoi peccati.
II.
Lui sconvolto.
Piantata davanti all’ascensore manco l’ha fatto parlare o uscire o ragionare un secondo. È nella lobby incredulo. In mano ha un assegno da 31.500€, letteralmente senza motivo.
Oltre il portone c’è Rue de la Loi, una strada larga, tre corsie, nel centro del quartiere europeo. Il traffico è fermo, c’è gente sul marciapiede che filma col telefono. Una signora con passeggino si sfila dalla ressa.
Il botto assurdo che ha sentito mentre saliva verso l’appartamento di lei era una finestra, una intera cazzo di finestra!, precipitata sull’asfalto tra le auto in marcia. Quasi irriconoscibile, adesso è un cartoccio di lamiera bianca e vetri polverizzati. Fosse in strada il ragazzo noterebbe anche il buco nero nel fianco del palazzo, che continua ad emettere fogli di carta e biglietti seminandoli nel vento sopra Bruxelles.
Una finestra si stacca da un grattacielo in pieno centro e non colpisce esseri animati o proprietà private. È un miracolo. Se la parola ha ancora un significato, questo è il significato.
Cresciuto a Canosa negli anni ’90, il ragazzo sa però che un miracolo è una cosa molto precisa. Un evento iconico, quasi ciclico, atteso ed accettato dalla collettività. Tra il ’92 e il ’96 ci sono stati almeno quattro miracoli nell’area del nord-barese. Uno — in Via Libertà a Barletta — fu l’irradiamento di schizzi sangue a partire da un quadro della Vergine appeso in una agenzia assicurativa. Muri, mobili e il pavimento in graniglia macchiati di sangue furono avvolti nel cellophane dal titolare, e l’ufficio aperto ai devoti e ai curiosi. La frequenza dei miracoli in senso stretto si è praticamente azzerata sul finire degli anni ’90, per qualche ragione.
Dopo altra procrastinazione, esce in strada. L’assegno ancora in mano, la mano ficcata in tasca. I primi trenta metri su suolo pubblico li percorre in pura paranoia. Si lascia alle spalle i curiosi della finestra, veloce, a costo di sembrare colpevole. Intercetta un paio di sguardi interrogativi. Gira a destra verso Saint Jos, in una strada in discesa e sempre vuota, di cui non ricorda il nome. Rallenta appena si accorge che gli sudano le mani.
Ragiona un attimo. È evidente qui l’attivazione di un piano inclinato di eventi, che nel giro di quaranta minuti l’ha portato da uscire normalmente dal suo ufficio a squagliarsela per vicoli con trentamila euro in tasca; questo senza nemmeno menzionare il bordello della finestra. La donna che ha avviato questo meccanismo l’avrà vista un paio di volte al mese per circa tre anni, scopandola in via puramente esecutiva, su iniziativa alterna, con sempre meno cerimonie. Una tipa schermata, sbrigativa, vocata all’azione.
Controlla il telefono.
Prova a scriverle:
21:09 “Hey”
21:09 “WTF just happened?”
21:10 “Mi hai dato un pacco di soldi non sto capendo”
I messaggi restano appesi, una sola spunta grigia. Si ferma, accende una sigaretta. Rimette il telefono in tasca, controlla di avere ancora l’assegno. Rallenta. Al netto di cosa sia le sia passato per la testa, non si può girare per Bruxelles con un assegno da 30k€ in tasca.
Va depositato in banca, poi ci sarà il tempo di capire perché gliel’ha dato e che significa sto gesto.
Oppure no.
No.
Forse no.
Va stracciato in cento pezzi e sparso davanti alla sua porta. Ci aggiunge anche un biglietto con una roba forte tipo “all the money in the world can’t buy happiness”. Or something. Non è che può liquidarlo così, con un TFR.
Si mette a cercare la frase giusta da scriverle.
Prova con “sassy replies to when you’re treated like a gold-digger”.
Non trova nulla.
In generale, non sapeva granché del mondo degli assegni. Era forse la terza volta che ne vedeva uno. Avanzi del vecchio universo in chiusura.
La filiale ING Bank di Place Flagey ha due bancomat. Uno dei due ha uno sportellino apposito “Checks”. Ogni volta si è chiesto che genere di persona avesse un bisogno così impellente di depositare assegni da utilizzare lo sportello automatico. Ora è chiaro che quel genere di persona è lui. Neanche immaginava che l’accredito fosse immediato, fa un certo effetto.
Apre l’app ING sul telefono.
Saldo 37.892,13€
Esce dalla banca, altra sigaretta. Place Flagey è mezza vuota, come sempre a quest’ora. Sulla destra i soliti arabi che si masturbano a vicenda sulle proprie automobili tuned, quasi tutte tedesche. Tra la piazza e casa sua 300 metri in discesa. Abita al numero 93 di Rue Marie-Henriette, in uno studio bi-livello, piccolo, carino, col tetto spiovente. È ora di rientrare, farsi una doccia, resettarsi dopo questa giornata.
Le macerie arrivano fino alle ginocchia. Tre palazzi da quattro piani — uffici in cemento e vetro, nuovi — completamente collassati. Oltre le transenne della polizia un campo di detriti. Sassi, porte, divani, piante, computer, fascicoli, termosifoni, poltrone, stampanti, libri, lavagne, una doccia, caldaie, telefoni, fotocopiatrici, tutto saldato in un’unica massa di polvere e calcestruzzo. Dieci ambulanze al lavoro, quaranta auto della Gendarmerie, venti camion dei pompieri, sirene e fari alogeni, reporter ovunque, traffico paralizzato.
La città si sta ripiegando su sé stessa come un oggetto volumetrico programmato in CGI, una scena di Inception, un esperimento geometrico su calcoli errati. Per un attimo si parla di una fuga di gas, ma le autorità smentiscono. I tecnici incaricati della progettazione degli edifici collassati arrivano a bordo di un’auto aziendale, pallidi in volto, sui gilet catarifrangenti il nome una ditta scandinava.
Lui fuma la terza sigaretta.
Per miracolo, diciamo, il portone di casa sua è appena fuori dal perimetro evacuato.
Stonato dagli eventi, sale i tre piani di scale che lo portano al suo appartamento. Gli passa per la testa, casualmente, che Einstürzende Neubauten significa “i nuovi edifici collassano”. Si tatuò il logo della band sul braccio quando aveva 17 anni, un omino post-tribale. Ascoltati per i sei mesi successivi — il tatuaggio è rimasto, la musica è sparita. Appena ha un minuto se lo fa cancellare col laser. Entra in casa, mette Lose You To Love Me di Selena Gomez.
Bruxelles si sta sbriciolando.
III.
Il telefono è prima di tutto un regolatore dell’umore. Ficcato nello schermo scrollo fino alla morte, invito il sistema nervoso ad emettere dopamina di bassa qualità. Stessa dopamina di quando penso a un task invece che eseguirlo, racconto un progetto invece di lavorarci, fantastico invece di fare.
Sono le 23:56 e lui — il ragazzo— non prende sonno. Un po’ per il casino a poche decine di metri da casa sua, palazzi collassati, un bordello— un po’ per il pensiero di avere quasi 40.000€ sul conto senza averli guadagnati e senza averli vinti.
Apre l’app della banca, guarda ancora il saldo, scrolla.
In basso, un tasto dice: “Invest with one of our brokerage partners”. Strano accedere a servizi di private banking con così pochi soldi, relativamente pochi soldi. Ma investire è sempre una buona idea. Investendo si accumula, accumulando si comprano immobili, titoli di stato, asset vari, una lavanderia a gettoni, un supermercato, un self-storage, opere d’arte.
Attiva l’opzione, pieno di fiducia.
C’è un questionario da compilare sulla sua tolleranza al rischio. Yes a tutto, utilizzo di prodotti derivati, opzioni a scadenza giornaliera, contratti per differenza, qualsiasi cosa. Alla fine, il suo profilo di rischio è un tondo 10 su 10. “Get rich or die trying” diceva Kanye — crede lui.
Mattia Decollanz è un trader di 24 anni, bresciano, autodidatta, appena assunto da Oberheim Ltd. È una società che fa trading ad alta frequenza con strategie proprietarie, parte del gruppo ING. Mattia si è formato come trader nel 2020, in pandemia, durante la follia collettiva delle meme stocks. La saga di Gamestop gli ha lasciato una percezione del denaro completamente sballata, e una mentalità YOLO irrevocabile. Anche a livello biochimico, ormai, è totalmente dipendente dall’adrenalina rilasciata nel rischio abissale di perdere tutto o moltiplicare *x volte il suo patrimonio.
È tarda serata ed è ancora in ufficio, in Rue du Commerce, una traversa di Rue de la Loi, affacciato su un cortile interno. Una notifica lo informa che un nuovo cliente gli è stato assegnato random dal sistema.
From: donotreply@ingprivate.be
Object: New client ID 39985477
You have been randomly assigned to client ID 39985477 — who has just deposited 31.500€ into his investment account. Here is a summary of their requests.
> Risk profile: A10 — high
> Markets: stocks & bonds
> High-leverage instruments: YES
> Short-selling opt-in: YES
Please refer to your firm guidelines for operational purposes. ING does not assume direct liability for trades executed by their technical partners.
Intanto il pad thai che ha ordinato ci sta mettendo una vita ad arrivare. Dev’essere colpa del casino successo a Place Flagey, mezzo quartiere crollato, assurdo.
È in un gruppo Telegram con un ragazzo che fa lo stagista da Snøhella, la multinazionale dell’edilizia che ha costruito i palazzi venuti giù. Il cretino ha postato subito foto del cantiere in corso d’opera, mostrando lavori fatti a cazzo di cane, materiali scadenti, piloni arrugginiti, cose scollate, grande approssimazione. Ha pure scritto “oddio mi arrestanooooooo” come fosse tutta colpa sua, come avesse la minima voce in capitolo.
È una scossa, istantanea nella sua testa, un circuito neuronale spianato durante gli anni di trading pazzo, un pensiero che scivola liscio dalla corteccia al lobo frontale, senza resistenza, volando, senza giri di dubbio. Fare short-selling dell’azienda che ha costruito i palazzi, scommettere che il loro titolo vada giù in borsa. Ora. Subito. Coi soldi di questo tizio.
Questa che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, a Bruxelles, è la prima ed è l’ultima notte in un’altra piattaforma. È il culmine di un tentativo sprecato, solitario, basico, di organizzare le relazioni come fattori produttivi. È la miniatura di un incidente aereo, con i piccoli cadaveri martoriati dei passeggeri, la collina ricreata dal muschio, il fuoco di un led rosso, i soldi, i traumi, i messaggi fraintesi, riportati in formato economico. Il Belgio è diviso dal resto del mondo dal vento ghiacciato.
Per anni lui, lei, il trader — hanno avuto vite parallele. Ora coesistono in una sola versione dei loro mille piani, e delle strade che attraversano ogni giorno passando e ripassando sullo stesso marciapiede, sedendosi sulla stessa sedia a lavorare. Tutti con la propria traiettoria per tornare a casa dopo il lavoro chiara fino agli angoli, ai cordoli, al vetrice della curva che sfiora la ringhiera e fa il giro stretto attorno a un palo per attraversare sulle strisce.
Non ci sono le tende nel nord Europa, nelle case ci si guarda dentro. Tutti seduti davanti al laptop. Ma qualsiasi cosa si faccia davanti a un laptop, dall’esterno non fa nessuna differenza. Dalla finestra si vedono i gesti ma non i risultati, il contenitore ma non il contenuto, l’azione ma non il pensiero che la sorregge.
Lei — donatrice di assegni — sente il citofono. Ore 00:34, il cielo letteralmente viola. È lui che vuole spiegazioni. Sale, stavolta lo fa entrare, si muovono molto lentamente entrambi, si siedono a parlare.
«Perché mi hai dato tutti quei soldi?»
«Volevo lasciarti qualcosa per ringraziarti di essermi stato vicino in questi anni, non fare drammi.»
«Scusa volevi lasciarmi qualcosa e mi lasci 30.000 euro? Non mi potevi comprare un regalo, una giacca?»
«Si lo so mi sono confusa, stavo facendo dei conti su altre cose e ho sbagliato» e continua «Me li puoi ridare almeno un po’ quei soldi?»
«No che non posso.»
«Come non puoi?!»
«Non ce li ho, li ho depositati in banca, li ho investiti, che dovevo fare?»
«No dai come li hai investiti sei scemo?»
I laici — fuori da mondo della finanza — non hanno una percezione chiara di cosa succede ai loro soldi comprando e vendendo derivati. Tendono a credere che moltiplicare per 2, 5, 10, 50 volte una somma di denaro nel giro di pochi minuti sia una cosa irrealistica, cercano la fregatura, la falla logica, l’errore. Si sbagliano forte.
Nei contratti di opzione, la combinazione di moltiplicatore (Δ) tempo (Γ) e decadimento (Θ), nelle giuste circostanze, crea risultati aberranti, anche nell’ordine di migliaia di punti percentuali di variazione sul valore dei contratti. Questo avviene peraltro in un setting di rischio controllato, poiché la struttura di questi prodotti finanziari rende impossibile perdere più del capitale investito. Queste operazioni, specie eseguite le prime volte, hanno sul cervello di un trader lo stesso effetto dell’MDMA, procurando rush di endorfine liminali e una sovreccitazione dell’insula.
Snøhella, la società edile che ha combinato il gran casino dei crolli, è quotata anche sulla borsa giapponese. Il mercato apre alle 09:00 Tokyo-time. Col fuso orario di Bruxelles, è l’01:00 AM. Manca meno di mezz’ora, ancora bassissimi volumi di contrattazione. Le dita di Mattia volano tra i menù:
Derivati > Opzioni e futures
Cerca azienda > Snøhella Inc. — current price 180.65$
Options chain > 1 day to expiry > Put contracts
OTM strike price 101.5, premium 0.021$ > Acquista
Quantità 13.180 contratti > totale 27.678,00€ excl. fee
Compra.
La borsa apre tra esattamente 19 minuti. Mattia ricarica il vape, si fa una sega veloce davanti al computer guardando “Step-sister begging for just the tip”, mette una playlist di A.G. Cook, PC Music.
All’apertura della borsa, tutto è subito chiaro.
Cambio % nel valore delle azioni SNO all’apertura: -43,81%
Cambio % nel valore delle opzioni acquistate: +3.051%
Vendi.
Valore attuale del portafoglio: 872.120,00€
Del tutto inconsapevole di essere in possesso di quasi un milione di euro, il ragazzo sta steso sul letto a farsi fare un pompino. La ragazza ha una massa di capelli ricci da prendere, i bracciali al suo polso destro fanno rumore. Ogni tanto si ferma e sputa.
D’altronde la serata era iniziata così, dovevano passarla assieme, prima dell’assegno di addio, prima della città che cade a pezzi, prima di investire soldi in derivati ad alto rischio.
Lei finisce il pompino e va alla finestra per fumare. Nel palazzo di fronte, per la prima volta, vede una persona seduta di notte al computer, davanti a grafici e schermate. Sta mangiando qualcosa con le bacchette, mentre scrolla il telefono.
Lui si rilassa un secondo, il braccio poggiato sulla fronte gli copre gli occhi. Sente un fruscio, intravede una variazione nella luce indiretta. Apre gli occhi, lei è ferma accanto al letto, immobile, le mani sui fianchi.
“È il caso che tu vada via”, dice.
Lui esegue.
Il rumore della porta chiusa alle sue spalle.
Lei inspira dal naso, si passa la manica del maglione sul mento.
Toglie il modo aereo dal telefono.
Chiama il suo capo.
Lui non risponde.
Sono le 2:10 del mattino quando il palazzo comincia ad oscillare.