Il giorno che mio marito inizia a scorticarsi c’è il sole. Comincia come una leggera screpolatura sul naso, come per un’insolazione.
Che ti è successo?, chiedo.
A cosa?, mi risponde.
Non vedi che stai spellando?
Dove?, fa.
Dappertutto, faccio io, qui, e gli sfioro il naso, qui, e gli tocco le guance, e guarda, anche qui!, dico reggendo il suo bicipite da sotto.
Ah, fa lui, ma non si guarda da nessuna parte per sincerarsi di niente.
Hai preso un po’ di sole?, indago.
E dove dovevo prenderlo, risponde.
Taccio. Mio marito è curvo su un manuale d’istruzioni per il montaggio di un piccolo armadietto dove mettere gli utensili della sua nuova passione: il restauro di libri antichi. Dubito che abbia compreso le mie frasi; sospetto abbia utilizzato solo la sua parte di cervello che riesce a fornirmi risposte sensate anche quando non è in ascolto.
La screpolatura continua per qualche giorno e il viso gli si incartapecorisce sempre di più. Gli suggerisco di mettere una crema idratante, qualcosa, mi dice che lui quelle robe appiccicose manco le tocca. Te la metto io, gli dico, Macché, fa lui, e più che altro comprendo che lui sul serio non le vede quelle screpolature.
A distanza di qualche settimana ha il viso come di vitiligine. Ma no, sarà la luce qua in cucina. Insisto per scattargli una foto col telefono in modo che si riveda. La scatto, la riguardo: e sì che si vede. Si vede benissimo. Gli porgo lo schermo con la fotografia. Io non vedo niente, dice lui.
La pelle d’altra parte è sua, e non posso mica disperarmi per l’incuria che riserva a sé stesso. Decido di evitare ogni insistenza ma non posso fare a meno di guardarlo con una pornografia disgustata.
Una sera invitiamo Giovanni e Ludovica a cena.
Ma a voi non sembra che Luigi ha una pigmentazione diversa, qui?, chiedo toccando la faccia a mio marito, che si scansa scocciato.
I nostri amici mi fanno la cortesia di avvicinarsi al volto di Luigi, che alza gli occhi al cielo e si schiarisce la voce.
È fissata, dice.
Mi pare come sempre, interviene Giovanni.
Sì, aggiunge Ludovica, portando il collo indietro, come per aiutarsi con una prospettiva più ampia, è tutto a posto, dice.
Quella sera a letto mio marito dice che dovrei farmi vedere, che potrei avere qualcosa alla vista. Magari delle macchie alla cornea. A volte capita. La mattina dopo, al mio risveglio, provo ad accarezzargli il viso mentre siamo ancora sotto le coperte. La sua pelle è ruvida e le screpolature sembrano essersi cicatrizzate in croste più spesse.
Oddio!, dico.
Cazzo è!, risponde mio marito scattando sul materasso.
Hai tutte delle ferite, gli dico toccandolo.
Mio marito si passa la mano sul volto come se lo avesse di porcellana.
Agni, ma stai bene?
Inizio a preoccuparmi di avere qualcosa che non va. Perché non è solo mio marito che dice così e io colì. I pochi a cui ho osato chiedere – sempre in separata sede rispetto a Luigi, che si sarebbe spazientito – mi hanno detto tutti le stesse cose. Non noto nulla di diverso, A me pare come sempre, Ma la vista ce l’hai a posto?. Per loro è il Luigi di sempre.
Nel giro di qualche settimana mio marito si sveglia moro, con la barba scura e gli occhi nocciola.
Gigi, ma che hai fatto?
Che ho fatto.
Ma ti sei tinto.
Ma dove Agni.
Sei moro.
A passi stanchi, ancora in pigiama, mio marito ciabatta fino al bagno. Ritorna dentro la camera da letto, ancora nel buio pesto, sospirando.
Agni. Tu stai diventando pazza.
Mi fermo, mi schiarisco la voce.
Ma no, oh. Era uno scherzo, rido, e lo faccio passare come un errore mio.
Non è uno scherzo per un cazzo di niente, io me lo sono sposato biondo con gli occhi azzurri e adesso ‘sto moro con gli occhi nocciola chi è?
Mi guardo allo specchio. Io mi vedo come sempre. Invecchiata, sì, stanca, sì, con i chili flaccidi, sì, ma nel complesso sono quella che mi è sempre parso di vedere. Su di me non vedo macchie né niente. E pure i miei amici, i colleghi, li vedo tutti benissimo come sempre. Solo lui lo vedo diverso.
In un paio di giorni, mi gira per casa un estraneo. Balzo per la paura se me lo ritrovo tra i piedi dentro la lavanderia, mi spavento quando con la coda dell’occhio lo intercetto in un angolo del soggiorno a incollare coste di libri o sbiadire macchiette di caffè sulle pagine. Persino il suo profumo sembra quello di un altro e quando la notte mi impelago in un brutto sogno svegliarmi è un incubo peggiore, perché mi stordisce il pensiero di essere finita a letto con uno sconosciuto. Se siamo in giro per la città, a una sagra per dire, mi stupisco che questo sconosciuto mi porti una pinta gratis. Mi sembra pure che abbia cambiato voce, che sia più stonato nei vocalizzi e pure quello che dice – che ho sempre giudicato molto intelligente e ho sempre voluto ascoltare per ore – mi è estraneo.
Non ho molta voglia di riadattarmi. Perde peli scuri, mi pare di qualche centimetro più alto e di certo è più corpulento. Ma non si muove come quello di prima, non ha lo stesso odore, non mi attrae più, non mi interessa parlarci, niente, disgusto, basta.
La mattina dopo mi sveglio a fatica, apro gli occhi e sussulto nel vedere lo sconosciuto che mi osserva con dolcezza. Ha l’ascella piena di peli scuri poggiata sopra l’altro guanciale del letto. Si regge la testa con la mano.
Oh, Agni, mi dice spalancandomi i cavi oculari tra pollice e indice. Ti sono cambiati gli occhi.
Vado in bagno a controllare le mie iridi. Sono del verde di sempre.
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in racconto