La incontri al supermercato, neanche a farlo apposta, davanti al reparto shampoo. Quando Giulia si toglie il berretto ci sono pochi capelli da guardare, troppo pochi per una trentenne; avrà l’alopecia, ti dici, proprio davanti allo scaffale degli anticaduta. Neanche a farlo apposta. Lui le toglie il berretto di mano e comincia mangiucchiarlo, e mentre ciuccia la lana, un filo di bava cola per terra; lei ci passa sopra la suola delle scarpe e sorride imbarazzata, ma neanche troppo.
Eh, questi esserini ti cambiano la vita – dice – si chiama Edo.
Tu e Giulia, eravate amiche amiche fino a qualche anno fa, poi vi siete perse. Fa la ricercatrice, è brava, sempre stata molto più brava di te a tenere le fila delle cose. Tu invece, ti sei persa innumerevoli volte. Fino ad un certo punto è andata anche bene: laurea, master, sei finita a Berlino a fare uno stage e poi, non sai neanche come, ti sei ritrovata nell’India del sud a dare da mangiare alle vacche, lavoro importante lì sono sacre. Ti piaceva quella sensazione, sentirti straniera, fuori luogo, perderti dentro le cose insignificanti. Tutto questo, mentre lei teneva per bene le fila, iniziava il dottorato e scopriva di rimanere incinta. Ti ha pure mandato quel messaggio con la foto dell’eco e la faccina sorridente. Non ti ricordi neanche se le hai risposto.
In quella stanza ci sei arrivata tre settimane prima, su un letto a quattro ruote, attraverso un lungo corridoio di porte chiuse; la donna che ti spinge ha il viso tondo e rassicurante, è la stessa che ti ha passato il camice verde di tessuto leggero e gli zoccoli bianchi. Non puoi fare a meno di guardare i due grossi e spessi cerchi d’oro che penzolano dalle sue orecchie.
In quel corridoio non c’è niente da guardare, non come negli altri reparti in cui puoi appoggiare lo sguardo su fumetti, grafici nutrizionali e immagini di colline innevate. Quel corridoio, a ripensarci era d’un bianco feroce, così spoglio da non lasciare scampo ai pensieri.
Quindi Giulia con le braccia tese ti allunga Edo.
Lo vuoi tenere in braccio?
Lui che penzola, ride e sbava e tu di sguardo obliquo, dici no grazie, dici proprio così, santo cielo, come se ti avesse offerto una gomma da masticare di un gusto che non è di tuo gradimento. Fai un passetto indietro, ma Giulia non molla, fa un passetto avanti e continua a parlarti sorridente di lui, anche se tu non le hai chiesto nulla.
Bello vederti, scusa devo essere in uno stato pietoso, è un bambino bravo, ma dorme poco, poi del padre non sentono necessità a quest’età, che ci vuoi fare vuole solo me.
Vedi le lettere IVG impresse su un cartello giallo sbiadito, sempre più grandi, finché non le sfondi entrando nella stanza in orizzontale. E’ umida, piena di luci fluorescenti, il viso paffuto dell’infermiera dalla voce rassicurante inizia a perdere i contorni. C’è l’odore di quei luoghi dove vanno a marcire le cose abbandonate dal tempo.
Domande sottovoce, come saette: come ti chiami? Quanti anni hai?
Le risposte ti vengono fuori che vedi tutto sfumato, e dalle fessure degli occhi visualizzi i contorni di tre persone che si muovono intorno a te. Ti appoggiano i piedi sulle staffe assicurandoli con delle fasce nere, una infermiera ti infila due enormi calzettoni su fino alle cosce, così le uniche cose scoperte sono il viso e pube. Il tuo pube è così aperto da poterci guardare dentro.
Un’altra donna, una più anziana dalla faccia spigolosa, indossa un camice bianco con l’etichetta dell’ospedale, ti dice di stare tranquilla che va tutto bene, mentre tu vedi la luce esplodere, senti un formicolio impossessarsi della punta delle dita dei piedi e salire su, percorrere il corpo e portarsi via anche l’ultimo battito cardiaco che rimane. Sei già di là, dove i pensieri fanno a ping-pong tra passato e futuro e perfino il risucchio dell’aspirapolvere, perfino quello, ti fa venire la pelle d’oca.
Giulia ora dice, è stato bello vederti; gentile, anche se hai parlato poco di te, per tutto il tempo hai avuto una morsa allo stomaco, perché non può essere, solo dopo tre settimane, incontrare proprio loro due. Neanche a farlo apposta sei vestita come quel giorno, come quando ti sei rivestita dentro lo stanzino con la bocca impastata. Che tutto va come deve andare ti sei ripetuta e a che serve rimuginare, che tu madre, ma dai.
Non dovevo comprare niente, dice alla fine Giulia, solo un deodorante, era per fare un giretto perché senno chiusa in casa da sola con lui impazzisco.
E quindi tu, Edo e Giulia vi salutate davanti allo scaffale degli shampoo, vi dite quella cosa lì che si dicono le persone premurose, dovete rivedervi, ma magari più avanti, che la casa ora è un disastro. Mentre la guardi allontanarsi, provi un po’ di vergogna per non essere riuscita a tenere gli occhi su di lui per più di due secondi, chissà se Giulia se n’è accorta. Ti giri di scatto e senza neanche pensarci afferri uno shampoo anticaduta.