Mal dei giardini

Premessa della notte tra il venerdì e il sabato

Nella notte, due uccelli cantano poggiati su un ramo di castagno, e due bambini stanno stesi alle sue radici, morti, anche se ancora non lo sa nessuno. Il fiume scorre accanto loro. L’assassino corre lungo l’autostrada. I corpi dei due bambini distano poco dalla casa dell’anziana. Lei dorme mentre gli uccelli cantano.
In un altro nido, su un faggio del bosco che cinge la cittadina, un altro omicidio, di diversa natura, viene consumato. Due dei tre pulcini che abitano il nido vengono portati via dalla faina. La faina scappa tenendoli stretti in bocca. Finalmente qualcosa da mangiare dopo il lungo inverno. Il terzo pulcino cade dal nido, e questa è la sua storia. La storia di un complemento di modo o mezzo, che lega soggetti e verbi con altri soggetti e verbi.

Sabato

Ore 6.
Nella mattina appena nata, l’anziana appoggia alcune briciole sul davanzale.
Il pane che compra è impastato da un ragazzo cresciuto nel deserto.
Nella mattina appena nata, il ragazzo cresciuto nel deserto si sveglia di soprassalto: ha sognato i propri fratelli. Beve il tè, prepara lo zaino e si incammina verso il sentiero di montagna che inizia poco lontano da casa sua.

Ore 13.
Il ragazzo cresciuto nel deserto si avvicina a un albero, lascia lo zaino, beve dalla borraccia. Si siede appoggiando la schiena al tronco. Prega per i suoi fratelli, mangia il proprio pranzo, si alza, si stira e prosegue. Dopo pochi metri trova il ruscello e vi immerge i piedi. Ripensa a ciò che ha sognato, ripensa alla sua famiglia. Ora che ci fa caso, non ricorda il nome delle sue zie, ricorda solo il nome dello zio. Osserva: colore e calore del Sole non trovano reciproca corrispondenza: così intensa la tinta che il Sole sparge sul mondo, come una vernice, così fredda l’energia dei suoi raggi. Gli uccelli cantano intorno. Un pigolio sembra provenire dal terreno umido. Nel muschio, un pulcino. Lo osserva. Prende il suo scalda collo, vi ripone il pulcino. Lo osserva ancora, con attenzione. Prova ad accarezzarlo: il piccolo animale si scosta muovendosi nervoso a destra e sinistra, barcollando. Per un attimo il pulcino si ferma, sembra riflettere — poi, stremato, ruzzola in una piega del tessuto. Pigola piano. Il ragazzo cresciuto nel deserto mette lo scalda collo con il pulcino affossato nella piega in cima allo zaino aperto e non chiude la cerniera. Torna sui suoi passi. Ad ogni passo verso casa, il cielo si riempie di sempre più grandi nubi a chiudere la valle.

Ore 18.
L’appartamento del ragazzo del deserto è a piano terra, ha un giardino di dimensioni modeste, ha muri bianchi e arredi bianchi ed è privo di tappeti, di quadri e di qualsiasi altro oggetto che sia di per sé d’arredo, non essenziale. Tra il letto e il bagno, sul comodino, si trova una lampada che il ragazzo del deserto lascia accesa ogni notte tutta la notte. Mette lo scalda collo con il pulcino sotto la lampada, la accende per tenerlo caldo e cucina del riso. Cerca su Internet cosa dare da mangiare al suo nuovo inquilino. Bolle un fagiolo e lo pressa fino a renderlo una crema grumosa. A fatica, sfama il pulcino con il manico di un cucchiaino da caffè. Fuori inizia a nevicare, l’ultima nevicata dell’anno. Ecco il perché di quelle lente ma inarrestabili nuvole pomeridiane.

Ore 22.
Il ragazzo del deserto si stende a letto e osserva il pulcino che si muove scomposto sullo scalda collo, pensa a tutti i pulcini del bosco immersi nella coltre di neve. Lascia la lampada accesa e si addormenta mentre il pulcino continua a emettere il suo pianto.

Domenica

Ore 6.
Nella mattina appena nata, l’anziana appoggia alcune briciole sul davanzale.
Nella mattina appena nata, il ragazzo cresciuto nel deserto fa una doccia.
Sente il buio lasciarlo. È quasi certo che il pulcino non abbia mai smesso di piangere durante la notte. Non ne è sicuro, ma, dormendo poco e male, ha constato che quantomeno dalle 11 alle 00.30 e dalle 2.30 alle 4 era sveglio anche il pulcino.
Esce dall’appartamento e citofona all’anziana signora. Le chiede se abbia qualche informazione riguardo ai pulcini e se lei sappia come prendersene cura. L’anziana signora gli dà un sacchetto di briciole di pane, anche se lui a casa di pane è pieno, gli dice che a marzo può essere solo un merlo, e di spegnere la lampada se vuole che il pulcino dorma. Il ragazzo del deserto si stupisce che lei sappia della lampada accesa tutta la notte tutte le notti. Si dice che deve soffrire di insonnia pure lei. Se la immagina appoggiata al davanzale nel buio, suppone fumando, a guardare l’unica luce del vicinato, che sta come un faro oltre la betulla che si frappone tra le loro finestre. L’immagine lo rassicura. Il ragazzo del deserto decide che il giorno seguente comprerà una gabbia e del mangime. Si incammina sulla neve sottile e crepitante, il Sole ormai splende.

Ore 12.
La montagna è soleggiata, il bosco freddo e scuro e ricoperto dallo strato bianco della neve, a tratti sciolta a tratti indurita. Siede contro un albero, sugli aghi asciutti, controlla il cellulare e legge dei due bambini trovati morti la mattina in cui ha trovato il pulcino. Prega e immerge i piedi nel ruscello. Si guarda intorno. Nessun pulcino quel giorno. Dunque, pensa, quella notte dovrà spegnere la luce.

Dalle ore 21 di domenica alle ore 5.50 di lunedì.
Quella notte il ragazzo del deserto si addormenta per la prima volta nel buio, il pigolio ad accompagnarlo.

«Ma tu Kathleen, non sarai una star ma ci interessi comunque — risata sommessa, Kathleen alza gli occhi al cielo e sorride sarcastica — come hai scelto il tuo look?»
«Ehm… ho assunto una squadra per sceglierlo!». Risate.
«Ma non hai freddo?»
«Soffrirò un po’ per gli Oscar, è il mio sacrificio.»
«Cosa ti aspetti di vedere sul red carpet quest’anno?»
«Beh, quello che ho intuito è che quest’anno tutti vogliono esprimere se stessi attraverso il loro stile. Non è più solo cosa vesti, chi indossi, è più perché lo indossi. Sai, tutti vogliono apparire belli e glamour, ma vogliamo anche esprimere un’opinione.»

Lo spettatore si stende meglio sul divano e guarda l’ora. È così presto, e lui è così annoiato. Constata che è meglio ascoltare il tutto in lingua originale piuttosto che con la sovrapposizione della traduzione in diretta.
«… io spero davvero vinca per la miglior attrice non protagonista, è già l’attrice afro americana con più candidature.»
«Non posso che essere d’accordo con te, Kathleen. Torniamo tra poco, dopo la pubblicità, qui in diretta da Dolby Theatre, Hollywood. Non perdevi la meraviglia che i nostri insaziabili occhi stanno affrontando!»

Fumando quella che giura sarà l’ultima sigaretta della serata, lo spettatore fa qualche passo sulle piastrelle antistanti la porta finestra. Non si addentra in giardino, non vuole bagnare le pantofole. Sente uno strano canto d’uccello.

In un film dai colori antichi e aranciati, una donna scende le scale con eleganza e plateale distacco.
Lo spettatore torna sul canale degli Oscar.
Attore: «… abbiamo girato solo un paio di ciak da due differenti angolazioni e avevamo finito. Sapevamo tutti cosa volevamo ottenere e come volevamo che risultasse.»
Intervistatore: «Immagino l’immenso lavoro del regista. Ma parliamo del tema del film. Credo che il viaggio in cui viene accompagnato lo spettatore riguardi il non giudicare. Il non giudicare qualcuno solo perché non appare come noi…»
L’intervistatore attende un commento. L’attore si guarda in giro distratto. Il silenzio prosegue. Lo spettatore sente in sé tutto l’imbarazzo di quel silenzio. L’attore, probabilmente accorgendosene a sua volta, torna a guardare l’intervistatore e annuisce in attesa che venga rimbeccato.
Intervistatore: «… quindi… come ti sei sentito nell’interpretare questo ruolo, voglio dire, rispetto a tutto il viaggio che proponete agli spettatori?»

Lo spettatore si alza dal divano ed esce a fumare un’altra sigaretta: l’imbarazzo è stato il suo imbarazzo. «Che lavoro del cazzo quello dell’intervistatore, che incarico di merda farlo sul red carpet.»
Il vento è freddo, le mani sono intorpidite. La luna sparge l’ombra degli alberi. Lo spettatore rientra sentendosi fuori luogo.

La gonna strascica goffa lungo il red carpet e la posa che l’attrice assume per la foto è grottesca. Una volta scattate, le immagini sarebbero sembrate molto più naturali, pensa lo spettatore.
«A dopo la pubblicità, quando finalmente arriverà per l’intervista!»
Lo spettatore va in cucina, mette a bollire dell’acqua in un pentolino, inserisce nella tazza ancora vuota una bustina di camomilla e vi aggiunge del miele.
Vicino alla telecamera e pieno di un vasto e lucente sorriso, il viso è maschera tribale, e lo spettatore ripete a se stesso la necessità del rituale degli Oscar. «È un necessario rito contemporaneo», si dice, se lui davvero vuole capire l’arte, l’arte del cinema ma in generale tutta l’arte. Versa l’acqua bollente nella tazza.

Lo spettatore silenzia la TV. Porta la camomilla in giardino, la Luna è sempre più silenziosa nel cielo terso. Sapeva che sarebbe giunto a quel malinconico punto della serata, in cui né il Dolby Theatre né casa sua avrebbero rappresentato per lui luoghi adatti. I profumi sono quelli dell’umidità invernale, e la neve è compressa in piccoli mucchi grigi. Dai mucchi spuntano arbusti e spighe. Lo spettatore si abbottona la giacca e prende a calci un mucchietto di neve. Di nuovo, lo strano canto dell’uccello. Gli sembra che non canti a dovere, ma infondo, si dice, che ne sa lui? Sa solo che sembra non dormire mai.

Tornano gli abiti e le abbronzature dorate.
«Per mio padre è un grande onore essere qui.» Il premio alla carriera a un attore che fu celebre negli anni Settanta. Impossibile dire cosa ci sia dentro quell’anziano, impossibile dire che sentimento lo animi. Lo spettatore prova una grande pena.

Apre la porta finestra. Indugia sull’uscio. Tende il braccio verso il giardino da cui proviene il canto e fa un cenno di saluto con la mano. Il frusciare degli alberi che si allontanano dietro casa appare vicino. Lo spettatore sente la pena abbandonarlo.

Lunedì

Ore 6.
Ha vinto. Il suo regista preferito ha vinto. Più tardi avrebbe guardato due suoi film, così da completare l’annuale cerimonia. Oltre le tapparelle arriva l’alba, e l’uccello non è più un solitario cantore, ma una voce — seppur slegata — del grande e lieve coro. Per un attimo, ascoltando distrattamente, lo spettatore ricorda la sensazione di sollievo provata quella notte.

Ore 11.
Il ragazzo del deserto esce dal panettiere nella luce della giornata piena e guida fino al negozio di animali. Prende una gabbia, la più grande che vede, e il mangime.

Ore 12.
Il pulcino mangia per la prima volta nella gabbia, e per la prima volta si addormenta sullo scalda collo riposto al suo interno. Il ragazzo del deserto pulisce la gabbia dalle feci. Ricorda i due bambini morti lungo il fiume. Non ricorda il punto esatto dove sono stati trovati. Forse il giornale non lo diceva. Si stende sul divano e si addormenta, non sente più il pulcino piangere. Sogna. I due bambini giocano lungo il fiume. Un uomo è dietro i cespugli, sembra cercare qualcosa. I due bambini sentono un rumore, e i loro colpi galleggiano avanti e indietro in un’insenatura. Il ragazzo del deserto si sveglia.

Ore 15.
Esce a comprare altre due gabbie. Una volta tornato, le scarica dalla macchina e le poggia in giardino. Prende la sega dal capanno dell’anziana, a cui ha da sempre libero accesso. A ciascuna delle due nuove gabbie taglia un lato. Rientrato in casa, prende il pulcino dalla vecchia gabbia e lo chiude nella doccia. Porta quindi in giardino la vecchia gabbia e sega due lati. Prende una saldatrice e salda le tre gabbie sui lati aperti, così che formino un’unica grande gabbia.
Il pulcino si chiamerà Mal. Il Mali è la terra del ragazzo del deserto. La notte dormiva con i suoi fratelli sul tetto di casa. Il tetto era piatto e preservava un po’ del calore diurno. Anche lì si potevano sentire gli uccelli, e anche lì ne aveva cresciuto uno.

Ore 18.
La vecchia gli fa trovare un sacco di pane secco fuori di casa.
Lo spettatore rallenta la propria corsa in bici per ascoltare lo strano canto. Si convince sia un pigolio. Quella del pulcino gli sembra la giusta posizione esistenziale. Se solo potesse essere anche lui un uccello o un animale capace di cantare.
Mal cammina e prova a volare. Non lascerà mai quella gabbia, ma avrà un giardino da guardare oltre le sbarre, e un ragazzo che amplierà le sbarre costruendo una voliera tutt’intorno. Il ragazzo del deserto non si aspetterebbe nulla di diverso dall’amore di un fratello.