Quello che segue è il primo capitolo di Il senso della fine, il romanzo scritto dalla nostra Marianna Crasto in uscita per effequ (e già finalista al Premio Calvino 2022). Ringraziamo di cuore l’editore per la gentilezza e la possibilità di pubblicare il capitolo in anteprima.
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Non appena ebbi cinque minuti per pensare alla fine del mondo, schiacciai muto sul telecomando e mi stesi sul pavimento. Quello che vidi: polvere a perdita d’occhio in morbide pianure di velluto e batuffoli grigi negli angoli.
Mi ero appena innamorata e pensai moriremo quindi, una constatazione che non mi turbò in sé, a eccezione della nostalgia per il nuovissimo amato che avrei perso presto. Pensai anche che pavimento sporco.
Sentivo trambusto al piano di sopra e voci per le scale trattenute sul pianerottolo dal tufo freddo e spesso dell’edificio. Ebbi paura di uscire e non uscii.
Poi scoprii invece che erano usciti quasi tutti, nelle ore successive vennero fuori dai salotti, giù per le scale e negli ascensori, oltre i portoni; si incontravano agli angoli delle strade tra sconosciuti ma come a un appuntamento.
Quello che vidi: il cordless nella mia mano. Lo accostai all’orecchio come una conchiglia: non produceva alcun suono. Le linee erano saltate come a capodanno.
Sullo schermo del televisore un uomo col nodo della cravatta lento aveva detto che nel giro di pochi mesi ci sarebbe stato caldo, poi ancora più caldo e poi non ce l’avrebbe fatta più: parlava della Terra come se fosse stanca. Aveva occhi azzurri pixellati. Appesa alle sue frasi, pensai sei il nostro Tito Stagno con questa notizia anche più grande della Luna. Ed ecco quando ho iniziato ad amarlo: quando gli diedi un nome. Fu come se averglielo dato e amarlo fossero causa ed effetto o addirittura la stessa cosa.
Quello è stato il momento giusto per venirlo a sapere, ma alcuni non lo seppero che giorni dopo. Qualcuno lo scoprì la mattina successiva in ufficio, soltanto perché la sera era andato a dormire presto. E chiunque non possedesse un apparecchio televisivo o una connessione a internet, paesi in cui gli anziani hanno cent’anni e vivono privi di queste cose. Chi era in ashram, in solitaria sulla barca a vela, chi scalava le montagne. La ricerca del contatto con la natura ha avuto una parte in tutti i ritardi. Alcune suore che praticano la clausura nell’Ordine dei Camaldolesi vennero a saperlo ventitré giorni dopo. A una troupe televisiva fu straordinariamente concesso di piazzare la telecamera davanti a una delle loro cellette. L’obbiettivo restituì l’immagine di una persona minuscola, in tasselli, ritagliata nella fittissima grata sulla porta. Un giornalista rigido e disinteressato le disse aggressivo Buon pomeriggio sorella, moriremo non più tardi di un anno sorella, ecco a lei gli studi inconfutabili delle ultime settimane, e spinse un plico di fogli contro la grata, come se potesse farli passare dall’altra parte. Lei si avvicinò alla porta e poggiò il dito contro uno dei buchi, e fu la prima volta che una suora di clausura dell’Ordine dei Camaldolesi mostrava un polpastrello in eurovisione. Poi tornò verso il fondo della cella, nella delusione di tutti. Non ho ancora capito cosa pensavano sarebbe accaduto, quale reazione si aspettassero da una donna che stava chiusa in una stanza in silenzio da quarantasette anni, lontanissima dal mondo, la donna più lontana.
Abbiamo iniziato a chiederci a vicenda dove fossimo quella sera e le risposte sono diventate una chiave di lettura della personalità, come si chiede il segno zodiacale. Dov’eri e con chi e a fare che. Non è la cosa più strana che abbia visto.
Abbiamo continuato a raccontarci per decenni dove fossimo l’11 settembre 2001, come i nostri genitori si sono raccontati per decenni dove li avesse sorpresi il terremoto del 23 novembre 1980. Ecco la storia di mio padre: i condòmini si ritrovarono tutti radunati sul marciapiede, in pigiama e pantofole, e aspettarono un po’. Ma presto i più anziani iniziarono a lamentarsi per il freddo e per il sonno e decisero di tornarsene a letto nonostante le scosse di assestamento e i pericoli di crollo che nessuno aveva ancora smentito. Ecco la storia di mia madre: in un altro quartiere, lei e i nonni passarono la notte in auto e la mattina dopo scoprirono che la statua della Madonna sul tetto della chiesa dell’Incoronata si era schiantata sul sagrato. Da allora su quel punto c’è una lapide, come se sotto ci fosse un morto.
Dov’eri, di che segno sei.
Non c’è niente di nuovo nella necessità di ognuno di mappare le coordinate scelte da tutti gli altri per la sera del 29 febbraio, perché è sempre stato il solo modo per capire il senso della tradizione in cui siamo gettati a forza, saggiarne la direzione emotiva, misurare il peso del nostro passaggio.
Il ragazzo di DolceKasa infatti continua a chiedermelo, e mi racconta i particolari del suo 29 febbraio sperando che io decida di raccontargli i miei, ma io ero solo stesa sul pavimento impolverato mentre le finestre dei collegamenti si moltiplicavano sullo schermo del televisore: un geologo, un astronomo, il cardinale di Milano, il capo della protezione civile, le tende rosse della balconata di San Pietro pesantissime e mute e sorde, e Tito Stagno con il collo piegato di qualche grado, una deviazione quasi impercettibile dalla formalità codificata del telegiornale, che però mi sembrava un abominio, l’evidenza bruciante che tutto stava perdendosi.
Una palletta di polvere e capelli se ne andò in giro in risposta a un sospiro rasoterra. Oltre i vetri, nuove voci e grida e sirene di ambulanze si aggiungevano a quelle nate solo un secondo prima, ma riuscivo ancora a percepire il bzzz elettrostatico della superficie dello schermo. Presto tutto si fuse in un unico indistinto fischio, un calo di pressione sanguigna che si fa udibile.
Mi addormentai come i miei nonni durante le scosse di assestamento.