Cado a pezzi

«Ecco, ti è caduta un’altra volta la mano» mi dice Fabrizio. «Non si può andare avanti così.» Carica il colpo tipo lanciatore di baseball e mi tira addosso quel moncherino.
«Non è colpa mia, succede e basta» mi difendo mentre cerco di riattaccare la mano al polso. «Che cosa ci posso fare?»
Da qualche settimana ho cominciato a perdere pezzi del mio corpo, e questa cosa a Fabrizio non va proprio giù.
«È tutta una scusa per non fare le pulizie di casa» attacca lui strizzando con forza lo straccio. «Oramai ti conosco bene.»

La prima volta è capitato sotto la doccia. Avevo appoggiato un piede sul tappetino ed ero crollato a terra come se fossi stato investito da un autobus in corsa. Quando ho alzato lo sguardo notai che l’alluce e il resto delle dita erano rimaste nella vasca, senza nemmeno una goccia di sangue. Loro fissavano me, e io fissavo loro.
«Guarda un po’ qua» avevo detto a Fabrizio mostrando quello strano mucchietto tra i palmi, muovendomi come un pinguino. «Bizzarro, no?»

Da quando ho mollato il lavoro passo le mattinate sul water a leggere fumetti che non sfogliavo da una vita e a fumare erba idroponica che il mio coinquilino ha imparato a coltivare da solo.
«Dovresti farti visitare da un medico» continua lui. «Che cosa faresti se ti succedesse quando sei con Alice?»
Mentre Fabrizio mi parla sento che il ginocchio sta cedendo, così mi siedo a terra e cerco di tenerlo saldo.
«Non saprei, con Alice non mi è ancora capitato» mento. Ieri sera al cinema ha appoggiato la testa sulla mia spalla, e proprio in quel momento ho sentito la punta della lingua staccarsi, tanto che non sono più riuscito a dire nulla per il resto della serata.
«Forse farei finta di niente, come se fosse tutto normale» aggiungo mentre le orecchie mi scivolano sul collo e rotolano vicino al frigorifero. Quando provo a girarmi per raccoglierle, anche le braccia e le gambe cominciano a staccarsi, crepandosi come vecchie chiese durante un terremoto.
«Lo vedi? Le cose non funzionano così.»
«Sei proprio il miglior coinquilino del mondo, dovrebbero darti un premio» alzo la voce mentre tutte le dita si sparpagliano a terra come grassi stuzzicadenti. «Perché non provi ad aiutarmi invece di rompermi le palle?»
«Perché non provi ad aiutarmi tu? Sono giorni che qui faccio tutto io» mi risponde lui mentre ruota l’indice sopra la sua testa.
«E mi spieghi come potrei aiutarti? Cos’è, sei diventato cieco?»
Un dito medio striscia nervoso in direzione di Fabrizio, issandosi una volta arrivato davanti a lui.
«Sei sempre lo stesso, non cambierai mai.» Scuote la testa e si avvia verso la porta di casa.
«Mi vuoi davvero lasciare così? Hai visto come sono messo?» mi scaldo mentre la testa rimbalza sul pavimento lucido.
«Dovresti vederti da dove sono io, una volta tanto.» Fabrizio scalcia il mio medio sul muro ed esce sbattendo la porta un attimo dopo avermi mandato a cagare.

Me ne sto così, solo, con tutte queste parti di me sparse in giro per la cucina. Visto da dove si trova la mia testa non sembro neanche così male. Ho due gambe magre ma toniche, braccia lunghe da giocatore di basket, e il cuore continua a battere come se nulla fosse. Dietro la coscia scorgo una cicatrice a forma di arco che non ricordavo più di avere: me l’ero procurata scavalcando una rete con il filo spinato per andare a recuperare un pallone, una decina di anni fa, quando ancora tutto questo non esisteva.
Provo un paio di volte a gridare aiuto, ma non c’è nessuno che possa sentirmi, e anche se potessero farlo non saprei davvero da dove iniziare a raccontare questa storia. “Sapete, ultimamente cado a pezzi”, cercherei di giustificarmi implorando che mi accendessero una sigaretta.
Ma nessuno starebbe a sentire le mie preghiere, si volterebbero tutti dall’altra parte come Fabrizio.
Chiudo gli occhi e non li riapro per un bel po’. Voglio sentire l’effetto che fa questa distruzione quando tutto attorno sembra stare in piedi. Le persone, i centri commerciali e le montagne, con le loro crepe esposte.
Dalla finestra si muove una brezza leggera, la posso sentire su tutto il corpo, la schiena si scuote per liberarsi di quel brivido preparandosi al prossimo sollievo.
Ripenso al calore di ieri sera sulla mia spalla quando Alice ci ha appoggiato la guancia sopra, al suo respiro sul mio collo, e a tutte le volte che mi dice “andiamo?” con quella sua curiosità da Indiana Jones.
«Non dimenticare di mettere i piedi, dentro le scarpe», scherzerà stasera dandomi una pacca sul sedere quando le spiegherò tutto questo casino.
Quando, almeno per una volta, non racconterò un’altra storia bugiarda.