Già sul giorno della sparizione ci sono perplessità.
Sua madre dice che è sparita il tre di giugno; che quel giorno, semplicemente, non è rientrata dal lavoro.
Noi colleghi invece non siamo convinti: c’è chi dice il sei, chi il dieci, chi addirittura il sedici di giugno. Poi ci sono io che potrei sbagliarmi ma sono convinta di averla vista allo stabilimento intorno al venti di giugno, potrei giurare che era proprio lei che si è messa pancia a terra insieme a me per pulire, quando per sbadataggine ho rovesciato un secchio di frattaglie di pesce – una colata scivolosa di intestini code teste e pinne.
E chi altri mi avrebbe aiutata se non Barbara?
Ma sua madre insiste: il tre di giugno.
E aggiunge che lei se lo ricorda bene perché era martedì, e Barbara ogni martedì esce un po’ dopo, perché c’è la pulizia dei macchinari.
Dice che per questo non s’è preoccupata: l’ha aspettata con la cena pronta nel terrazzino, mentre la strada si faceva scura e dal cortile in basso saliva il fumo di salsicce arrostite sulla griglia. Aveva rivoltato un piatto sulle zucchine fritte per non farci posare le mosche.
I carabinieri, nel dubbio, prendono per buona la versione della madre – anche se vatti a fidare di una che denuncia la scomparsa di sua figlia dopo tre settimane e che, interrogata su quel ritardo, scuote la testa dicendo: non volevo portare disturbo.
Fatto sta che cominciano a cercare Barbara soltanto alla fine di giugno, quando ormai Barbara era già bell’e andata, o bell’e sepolta, se stiamo a sentire quelli che pensano abbia fatto una brutta fine.
Noi colleghi siamo imbarazzatissimi, una cosa da grattarsi la faccia proprio.
Quando vengono i carabinieri a chiedere le solite cose che si chiedono in questi casi – che rapporto avevate che faceva frequentava degli uomini – qualcuno dice di aver notato sì qualche cosa di strano allo stabilimento negli ultimi giorni, una sensazione insolita, («una sensazione tipo? » – «mah, tipo quando tolgono un quadro dalla parete»).
Ma una cosa che era rimasta nell’aria, senza nome.
Barbara Abbadessa manca da diverse settimane da casa sua. Ha 31 anni, corporatura robusta, capelli biondi corti, occhi castani, altezza 1 metro e 60 centimetri.
Indossava presumibilmente un vestito di cotone a fiori colorati e scarpe nere aperte. La polizia chiede di chiamare il 113 a chi la incontrasse. Non viene escluso un allontanamento volontario.
Lavorava allo stabilimento per il confezionamento del tonno da che aveva sedici anni.
Mai un giorno di malattia, un permesso, una lamentela.
Il povero signor Gianpiero, il caporeparto della sezione sfilettatura, è il più imbarazzato di tutti: «sempre silenziosa, silenziosa» continua a ripetere ai carabinieri.
Poi cerca di buttarla sul ridere: Come un pesce, aggiunge.
Ma quindi lei, se un suo dipendente manca per più giorni, non si accorge?
Ma sì, ma certo. Ma Barbara Abbadessa … Lei non mancava mai. Non ti veniva certo in mente di sta rla a controllare. Guardi, si sarebbe tagliata una mano piuttosto che fare la cresta sulle ore di lavoro. E allo stesso tempo sembrava stare su un altro pianeta. Una volta – un disguido per carità – saltammo per tre mesi di darle lo stipendio. Che lei disse qualche cosa? Niente. Piuttosto sarebbero morte di fame, lei e sua madre, piuttosto che dire qualche cosa.
Intanto, resta il fatto: nessuno di noi si è accorto che era sparita.
Eppure sottile non è, Barbara, come sottolinea un appuntato dei carabinieri sventolando una fotografia.
Di sicuro non sta nascosta dietro a un frigo, no?
Comunque. Adesso avete chiamato qualcuno per sostituire la signorina Abbadessa?
Be’, no veramente.
Il signor Giampiero si impappina di nuovo.
Visto che la sua mancanza non si è sentita tanto, abbiamo pensato che potevamo risparmiare questi soldi.
Più avanti, settimane dopo, sua madre ci racconta che in realtà lei dai carabinieri c’era andata già quella sera stessa del tre giugno. Solo che non l’avevano capita bene, le avevano detto vedrà signora che sua figlia è andata da qualche parte con il fidanzato, e poi le avevano fatto segno con la mano di fare silenzio, ché alla tv c’era la partita dell’Italia e Paolo Rossi era entrato in area di rigore.
E lei si era confusa e se n’era andata.
Si era detta: magari è andata via davvero con il fidanzato.
Ma perché doveva essere scappata con il fidanzato?
Ma ce lo aveva, Barbara, il fidanzato?
La madre non ci risponde, chiede se vogliamo altro caffè.
Per andare a trovare la madre alle case popolari ci abbiamo messo tutto il pomeriggio.
Portiamo un cesto di pesche – ce lo passiamo a turno perché è pesante e alle tre del pomeriggio si schiatta, a un certo punto Rosaria si pianta con le sue caviglie grosse in mezzo all’asfalto e non va più né avanti né indietro – dobbiamo metterci tutte a spingerle le mani sul culone per farla muovere.
Una giornata che piuttosto era cosa di andarsene in spiaggia.
Le case popolari sono uno di quei posti dove gli odori di dentro –di caffè, di candeggina, di sugo, di cesso – stanno fuori in mezzo alla strada.
La casa sembra una teca del sacro cuore di Gesù, tutta marrone e fiori finti, i mobili marrone e le piastrelle marrone.
Le pareti della sua stanza, la stanza di Barbara, sono piene di libri e riviste. Riviste di vestiti, di trucchi, di diete. Fotoromanzi.
Tu lo sapevi che Barbara passava il tempo a leggere?
Faccio no no con la testa.
Che forse Barbara ci diceva mai qualche cosa?
Dai retta a me, si sentiva superiore.
O le pareva di annoiarci, magari – azzardo.
Questo stabilimento per il confezionamento del tonno lo ha fondato il vecchio Manfrè, negli anni ’50.
Prima c’era un altro stabilimento, che confezionava sardine, e che fu centrato in pieno da una bomba degli alleati, era il maggio del ’43. Si dice che la pasta di sarde schizzò fino alla cupola della cattedrale, si dice che per tre giorni i gatti della città stettero lì a leccar via sarde dalle maioliche.
Il vecchio Manfrè è in pensione, ma viene sempre qui a ora di chiusura, si siede su quella sedia di paglia e fuma una sigaretta dietro l’altra. Ci racconta le storie di quando andava a lavorare stagionale nelle tonnare in Libia, su e giù per il Mediterraneo da una parte all’altra col peschereccio.
C’è un bello spirito, siamo tutti amici. Ci si conosce, si scherza.
Abbiamo una tradizione: ogni anno facciamo una grande festa per il quindici di giugno, l’anniversario dell’apertura dello stabilimento. Si beve e si balla, l’anno scorso Mattia ha ballato per tutta la sera con la testa infilata in una testa di tonno.
C’è una foto, scattata all’ultima festa, dove c’è una donna bionda che si copre il viso, e pare proprio Barbara.
C’è chi dice ridendo che Barbara c’aveva talmente marcato il senso del dovere che ha continuato a venire a lavoro pure dopo che era sparita.
Poi per un po’ di giorni circola in città la notizia che la donna sparita, cioè Barbara, in realtà sarebbe finita inscatolata dopo essere stata inghiottita dalla macchina per la pressatura del tonno. Questo perché una signora in città ha trovato un’unghia nella scatoletta presa al supermercato.
Una sciocchezza, anche perché il tonno, si viene a sapere, era di un’altra marca.
Allo stabilimento, in quei giorni, mettono una grata nuova attorno alla macchina per la pressatura.
Il signor Giampiero a un certo punto si scoccia a forza di vedere i carabinieri che vanno e vengono a ogni ora.
«Tutto ‘sto casino per quella deficiente» dice. «Quella se ne sarà andata con uno di quelli con cui si scriveva le lettere, uno di quei maniaci degli annunci sul giornale».
A noi sembra una battuta. Invece poi si scopre che la storia degli annunci sui giornali è vera.
Nella stanza di Barbara trovano tutta una serie di riviste di quelle che riportano gli annunci matrimoniali, bucherellate come centrotavola all’uncinetto, visto che tanti annunci erano stati ritagliati.
Ci immaginiamo i carabinieri messi lì, chini sulla scrivania, a confrontare le riviste di Barbara con altre copie degli stessi numeri, per capire che annunci erano stati ritagliati.
Farmacista 32enne, alto, serio, onesto, conoscerebbe donna affettuosa e sincera, anche ragazza madre, per amicizia ed eventuale futura unione. Noto (Siracusa)
42enne deluso, solo, divorziato, affettuoso, cerca persona sincera per serena unione. Sono artigiano restauratore disp. trasf. Firenze.
Separato 41enne, professionista, cerca per unione nubile o separata max 35enne, bella presenza e buone condizioni economiche. Sessa Aurunca (CE)
Cerco ragazza disposta a venire a lavorare in un circo, ev. unione. Sono serio 29enne. Villadosia (Varese)
«Pronto, siamo i Carabinieri, chiamiamo per l’annuncio che ha pubblicato su L’anima gemella anche per te. Conosce per caso una certa Barbara Abbadessa?».
L’unico che non riescono a contattare è l’uomo del circo, che risulta irreperibile in quanto – dicono i parenti – se n’è andato appresso agli zingari in Jugoslavia.
Così, ci resta a tutti in mente quest’idea che Barbara se ne sia andata in Jugoslavia.
***
Giuseppina ce l’hanno mandata i servizi sociali. Graduale reintegrazione nel mondo del lavoro, la chiamano. Praticamente ti mandano uno che ha problemi di alcol, di violenza, problemi con la vita in generale e tu lo metti lì a fare un lavoro meccanico e i servizi sociali gli firmano un foglio dicendo che la reintegrazione va a meraviglia.
Giuseppina parla e ride a sproposito, dice delle cose che ti fanno cadere la faccia a terra come «Madonna, il tuo culo pare l’impasto per la pizza», poi magari passa un secondo e si mette a piangere. E poi ti abbraccia.
L’assistente sociale si raccomanda solo di non farla bere. Ma come è stato come non è stato, una sera – è quasi l’ora di chiusura e ci stiamo bevendo due birre col vecchio Manfrè – la vediamo spuntare, ha una birra in mano tutta per lei e farfuglia cose, inciampa nei suoi piedi.
E insomma Giuseppina è sbronza e allora se ne esce con ‘sta cosa che lei lo sa che qualcuno lì c’entra con la scomparsa di Barbara, che noi lo sappiamo dov’è Barbara e che lei vuole sapere cos’è successo a Barbara.
E fa una cosa che ci lascia come rintronati, comincia a fare a pezzi un foglio e a distribuirne pezzetti in giro.
Che ognuno scriva secondo lui dov’è finita Barbara.
Ci guardiamo impappinati.
Poi, forse perché abbiamo bevuto pure noi, qualcuno comincia a scrivere.
– È andata in Jugoslavia con quello del circo
– C’entra uno importante dello stabilimento (l’ho sentito dire ma non so chi è)
– Non so niente
Foglio bianco
– Se n’è scappata per i fatti suoi e non vuole rotti i coglioni
Disegno di una faccina sorridente
– È morta per sbaglio e il corpo l’hanno fatto scomparire
– Sta nascosta qui da qualche parte e ogni tanto esce per lavorare
– Che cazzo ne so
– Se potevo scappavo pure io
– Chi era questa Barbara ancora non l’ho capito
Giuseppina ride, piange, non si capisce.
Qualcuno stappa altra birra, continuiamo a bere.
«A Barbara!» dice qualcuno battendo con la sua bottiglia su quella del collega vicino.
«A Barbara!» fanno eco gli altri.