Il refettorio era ancora vuoto. Era esposto a ovest e il sole del mattino non lo arroventava. L’aria sapeva di segatura e di brodo. A Palmieri quell’odore ricordava il refettorio delle elementari.
Erano seduti a un tavolo da sei. Palmieri davanti alle giacche da moto degli altri tre buttate sulla spalliera della sedia. Alla sua destra era Zio e di fronte Caciara. Ancora più a destra, a capotavola, sedeva il Vichingo.
Il Vichingo raccontò che lui, Zio e Caciara erano partiti il giorno prima, poco dopo l’alba, quando le strade della città erano ancora silenziose e fresche e l’unico suono che si sentiva era il canto delle cicale. Avevano fatto colazione alla cornetteria del cugino di Caciara e avevano preso una strada panoramica. Erano andati piano. Per godersi il paesaggio. Avevano fatto un sacco di soste per bere e farsi i selfie. Avevano pranzato da leccarsi i baffi in una trattoria dove mangiavano ogni volta che passavano da quelle parti e si erano pure fatti una pennichella sul divano. I tornanti li avevano presi a passo d’uomo. Tanto non c’era nessun altro che saliva dietro di loro. Erano arrivati all’abbazia in tempo per farsi una doccia e prepararsi per la cena.
Questo Palmieri già lo sapeva. Gliel’aveva raccontato il Vichingo la sera precedente e non capiva perché glielo ripetesse. La sera precedente Palmieri aveva detto qualcosa di quello che era successo a lui, ma gli era sembrato che gli altri tre non lo avessero ascoltato. Pensò che fosse il momento giusto di riprovarci.
«L’altro ieri ho accompagnato mia moglie a una pensione dove doveva incontrare le amiche che tornavano dalle ferie. Dovevo riprenderla ieri mattina».
«Lo sai che facciamo oggi?» lo interruppe il Vichingo e senza aspettare la risposta espose il programma del giorno: volevano fare un passo poco conosciuto da cui si vedeva il mare e poi raggiungere la costa. Il pranzo ancora non avevano deciso dove farlo, ma erano sicuri che la merenda sarebbe stata una piadina sulla spiaggia. E la sera, ovviamente, tutti e tre a caccia di tedesche.
Anche questo Palmieri già lo sapeva e aveva ripreso ancora una volta il discorso, poi si era bloccato. Che cosa voleva dire ai suoi amici?
La verità. Ma quale verità.
Avrebbe detto quello che aveva visto. Questa era la verità che poteva raccontare.
Che dalla casa al mare era andato a prendere sua moglie alla pensione dove aveva passato la notte con le amiche. Che era arrivato prima dell’ora stabilita perché i bambini volevano la mamma e che non l’aveva trovata a colazione con le amiche, ma con un uomo. Che l’uomo aveva detto che non era come sembrava e che invece la moglie aveva alzato gli occhi al cielo. Questo avrebbe detto.
Che l’uomo non era il tipo che si aspettava di trovare, ma un altro. Uno nuovo forse. Questo non l’avrebbe detto.
Che in quel momento aveva pensato ai bambini, che non dovevano accorgersi di niente. Questo l’avrebbe detto.
Che i clienti e i camerieri lo guardavano come se indossasse una cintura esplosiva e tenesse il detonatore in mano pronto all’innesco. Questo non l’avrebbe detto.
Che aveva riportato la moglie e i bambini alla casa al mare. Questo poteva dirlo.
Che durante il tragitto la moglie aveva messo le canzoni dello Zecchino d’oro a volume altissimo e che i bambini le avevano cantate con le loro vocine stridule. Questo no.
Che era partito subito per l’abbazia per incontrare i suoi amici. Questo sì.
Che era andato nella chiesa dell’abbazia per pregare, ma che non aveva sentito niente. Questo no.
Che si era messo a guardare gli affreschi. Questo sì.
Che aveva sentito la messa del sabato sera perché il giorno dopo non avrebbe avuto tempo. Questo non fregava a nessuno.
La notte aveva sognato che doveva andare in una biblioteca pubblica. Nel sogno viveva in un paese arroccato su una collina. La biblioteca era a valle e lui doveva scendere attraverso il paese, ma ogni volta che imboccava una certa via si accorgeva di avere i vestiti sbagliati. Una volta era uscito in pigiama. Un’altra volta indossava la vecchia tuta che portava a casa. Tornava indietro e si cambiava, ma quando imboccava quella via aveva sempre qualcosa che non andava e alla fine non era riuscito ad andare in biblioteca.
«Hai un paniere» disse il Vichingo a Palmieri.
«Un paniere?»
«Ne hai un paniere così.»
Il Vichingo allargò le braccia, come se volesse abbracciare il mondo intero.
«Ma di che?»
«Di corna. In testa.»
Palmieri si sentì come quando aveva trovato la moglie a colazione con quel tipo.
«Anche da voi…»
Caciara abbassò gli occhi e alzò leggermente le sopracciglia. Il Vichingo lo fissava senza muovere un muscolo e Zio teneva lo sguardo sul piatto, come se contasse una per una le briciole del pane tostato.
Palmieri pensò che fosse cosa buona e giusta perdonarli. Il Vichingo, di sicuro lo perdonava, perché tra i suoi amici era quello che gli voleva più bene. Proprio perché il Vichingo gli voleva più bene degli altri si poteva permettere quella sincerità. Anche Zio perdonava. Qualche mese prima gli avevano scoperto una malattia neurodegenerativa e quello era il suo ultimo viaggio in moto, fatto contro il parere del medico. Come si faceva a non perdonarlo?
Palmieri fiocinò Caciara con un’occhiata. Scommetteva che Caciara l’aveva fatto non per il piacere dell’atto, ma per quello di mettergli le corna. Chissà quanto si divertiva ogni volta che gli offriva i cornetti del cugino! No, lui Palmieri non l’avrebbe perdonato.
Il Vichingo si alzò e disse che era ora di partire. Anche Zio e Caciara si alzarono.
Palmieri tornò in camera. Controllò sullo smartphone se qualcuno gli avesse scritto, ma non aveva ricevuto nessun messaggio e nessuna mail, nemmeno in spam, e nemmeno un like.
Si stese sul letto e chiuse gli occhi. Si sentì come se il Vichingo, Zio, Caciara, la moglie e il tipo che aveva detto che non era come sembrava fossero tutti lì in quella camera e lui indossasse una cintura esplosiva e avesse in mano il detonatore e lo innescasse.
E facesse cilecca.