Disdetta

DISDÉTTA s. f. [der. di disdire]
1. Anticamente, con senso generico, il dir di no, rifiuto, ricusa. Oggi, dichiarazione di risoluzione di un contratto. Termine, tempo utile per disdire.
2. Sfortuna

11.12.2020

Non credete a nulla di quanto sentite dire e non credete che alla metà di ciò che vedete

La frase riecheggia nella mente di Vittoria. La donna è seduta dietro la scrivania, ha lo sguardo rivolto fuori dalla finestra e una tazza di tè a riscaldarle il grembo e le mani. Il fumo della bevanda si incrocia con i raggi del sole che attraversano i vetri. L’azzurro del cielo fa risaltare la prima neve sui monti in lontananza. Mentre il marito e la figlia stanno ancora dormendo, lei è sola e immersa nella pace; si è svegliata riposata, di buon umore e motivata. È pronta per un’altra giornata di lezioni a distanza. Ha quattro ore, dalle otto alle dieci e dalle undici all’una. Volendo, avrebbe anche il tempo di fare una passeggiata veloce.
È tutto perfetto. Troppo.
Ed è proprio quella perfezione a renderla nervosa. Una situazione del genere non è destinata a durare. Da sempre è convinta che il mondo si regga su un equilibrio ben definito in cui bene e male, giusto e sbagliato, gioia e dolore, debbano equivalersi. Dopo un intervallo di tempo in cui sembra che tutto vada bene, è inevitabile che arrivi un inciampo, un imprevisto, qualcosa che incrini la linea positiva o che la interrompa del tutto. Vittoria non è mai riuscita a liberarsi di questa convinzione. Spesso ha fatto finta di non crederci, o di parlarne ironicamente, ma in cuor suo ha sempre saputo che quell’idea era radicata e inestirpabile nel profondo di sé.
Come una conferma a quella convinzione opprimente, il computer davanti a lei emette un suono: Tlìn!
Nell’angolo sinistro, l’annuncio di un email in arrivo rimane in evidenza per un paio di secondi, poi viene risucchiato di nuovo nella colonna d’Ercole del desktop, ma tanto basta alla professoressa per leggere un nome: Berenice.

No, basta

All’improvviso il sapore del tè si fa rancido, qualche nuvola si affaccia a contrastare il sole splendente, l’idea di avere a che fare con una classe di venti alunni a distanza le fa perdere le forze. Apre la posta e la vede lì in bella mostra, nella prima riga e in grassetto: Comunicazione Berenice.
Clicca sull’email e legge:

Gentile Vittoria Bianco,
La informiamo che purtroppo il modulo da lei inviatoci non è conforme al regolamento previsto in relazione alla disdetta del contratto del cliente GIUSEPPINA BIANCO. Pertanto le alleghiamo il modulo giusto, da riconsegnare debitamente compilato in tutti i campi e con la firma della titolare del contratto.

Noi attendiamo,
Berenice – Compagnie Telefoniche

Vittoria sente il calore del tè risalirle lungo tutto il corpo. Il sudore nelle spalle le fa appiccicare la canottiera alla schiena.

Di nuovo. Non è possibile.

Guarda l’orario e si rende conto che mancano cinque minuti all’inizio della lezione. Il retrogusto del mal di testa che la accompagnerà per diverse ore si fa largo nel cranio, sugli occhi e alla bocca dello stomaco.

“Noi attendiamo”. Ma che significa? Che modo è?

Scorre nell’email e va a trovare in fondo alla pagina il riquadretto con i contatti. Compone il numero e chiama. Dopo qualche squillo, dall’altro capo del telefono si sente uno scatto e comincia il suono piacevole di un’arpa. L’effetto si fa ancora più straniante quando alla dolce melodia si sovrappone una voce fredda e robotica.
«Siete in linea con Berenice. A breve una delle nostre operatrici si metterà in contatto con voi.»
L’arpa continua.
Vittoria avverte una vaga sensazione di malessere, di nausea, come se stesse cadendo in una blanda illusione. A intervalli regolari il messaggio vocale si ripete. Poi risale il volume dell’arpa. Voce. Arpa. E così via.
In alto a sinistra sullo schermo del computer, nel frattempo, è comparsa un’altra casella. La lezione nella III A sta per iniziare e Camilla, senza alcun dubbio la migliore alunna della classe, ma anche la più faticosa, complicata ed estenuante, ha già cominciato a scrivere nella chat. Puntigliosa ai limiti della psicopatologia, il ruolo di rappresentante di classe affidatole a inizio anno ha autorizzato il suo assedio esagerato e perpetuo ai danni della classe e dei docenti. Un martello continuo e implacabile: compiti, verifiche, appunti, date, orari, precisazioni; il suo universo comincia e finisce con la campanella.
Vittoria resiste qualche altro secondo, ma quando i messaggi cominciano ad arrivare anche sul gruppo WhatsApp deve cedere. La vibrazione, l’arpa e la voce robotica le fanno chiudere la chiamata con una veemenza e una pressione esagerate, tanto da farle scheggiare lo schermo. In corrispondenza della crepa, appare il messaggio di Camilla: “Buongiorno prof, noi siamo pronti”.
La donna fa un respiro profondo e si collega. La classe comincia ad apparire, riquadro dopo riquadro.
«Good morning, guys», dice tentando di simulare tranquillità e aspettando che l’incazzatura svanisca. Ma non c’è verso. A differenza di alcune persone, che riescono a ricavare dalla rabbia l’energia necessaria per essere risolute e fattive, la sua è invece una rabbia ottusa e autolesionista che la confonde, la agita e la rende un ammasso di carne senza scopo.
Parte da una cosa semplice. L’appello.
«Caricati, Conte …», legge l’elenco dei nomi e controlla sullo schermo l’effettiva presenza, ma lo fa annebbiata, avvolta da un alone di ebete convalescenza. «Morella».
«Presente», risponde Camilla.

Camilla Morella
lla lla

Vittoria finisce l’elenco ed è sul punto di cominciare a spiegare, ma tutta la lezione che aveva preparato sembra essere volata via insieme al suono dell’arpa.

Forse è anche colpa del nome se è diventata così, la stronzetta.

«Allora, eccoci qui». Vittoria prende il libro di testo e lo sfoglia, ma senza sapere dove andare a parare, orfana di qualsiasi orizzonte.
«Edgar Allan Poe», la anticipa Camilla.
«Come, prego?» chiede Vittoria, con il tè che ribolle nelle viscere.
«Il prossimo argomento è Poe, naturalmente.»
Pur di non darle ragione, cambierebbe argomento, cambierebbe materia, diventerebbe una negazionista delle linee temporali o della storia della letteratura, ma la ragazza ha ragione e lei ha preparato proprio una bella lezione su Poe. Suo malgrado, deve darle ragione, rossa in viso per la rabbia e l’imbarazzo.
«Esatto, Edgar Allan Poe…»

*

Sono le tredici. Vittoria aspetta che gli alunni dell’ultima ora escano dalla lezione, poi sprofonda nella sedia e si strofina gli occhi stanchi con le mani.

Non portate le mani agli occhi
Non portate le mani alla bocca

Si fa coraggio e apre di nuovo l’email. Legge meglio. Vede che i bastardi le hanno allegato il modulo giusto da compilare. Quando apre l’anteprima, la rabbia figlia dell’assurdo e dell’incomprensibile le risale di nuovo. È il modulo che aveva compilato la prima volta, rifiutato poiché non conforme al contratto stipulato da zia Pina.

Zia Pì, non me lo dovevi fare ‘sto scherzo

A quel punto ne aveva compilato un secondo. Ora hanno rifiutato il secondo, era il primo ad andare bene. Richiama il numero pronta alla guerra.
Di nuovo l’arpa, di nuovo la segreteria.
Attende senza molta speranza, ma poi c’è uno scatto, seguito da un fruscio costante. All’inizio non riconosce la voce dell’operatrice perché è identica a quella della segreteria.
«Pronto, qui è Berenice, come posso esserle utile?»
«Come?», chiede la professoressa, confusa.
«Pronto, è in linea?»
«Sì, sì, eccomi. Senta … sto chiamando per un’email che ho ricevuto stamattina dalla vostra compagnia telefonica.»
«Certo, il modulo di disdetta.»
«Ecco, sì, proprio quello. Il fatto è che io ho già compilato e inviato sia questo modulo che il secondo. Mi è stato detto che entrambi erano quelli giusti ed entrambi erano anche quelli sbagliati.»
«È l’ultimo quello corretto, quello di stamattina, signora Bianco.»
«Perfetto, allora lo avete già. Posso dirle anche quando l’ho spedito, se mi dà un secondo…»
«No signora, mi dispiace ma è il nuovo che deve compilare.»
«È lo stesso che ho già compilato!», sbotta Vittoria. «Non lo compilerò di nuovo.»
«Signora, mi dispiace, ma se non lo compilerà il contratto non potrà essere cancellato.»
«No, basta. Mi sono stancata di essere presa in giro. Compilerò questo e tra qualche settimana non andrà più bene, e mi invierete l’altro. E così all’infinito. Lei ora va a trovare il modulo che avevo già de-bi-ta-men-te compilato e userà quello. È chiaro? »
«…»
«…»
«Lei sa che questo non succederà, vero?»
Vittoria rimane in silenzio. All’improvviso la voce robotica si è fatta umana.
Poi l’ira riprende il sopravvento.
«Se domani non ricevo un’email in cui mi viene confermata la rescissione del contratto di Giuseppina Bianco, io mi rivolgo a un avvocato. È CHIARO!? Mi dica anche il suo nome per cortesia, così saprò dire con chi è avvenuta questa conversazione.»
«Berenice.»
Ora la voce è tornata alla sua algida normalità.
«No, il suo. Nome e Cognome.»
«Berenice.»

Stronza

«Non potete farvi scudo dietro l’anonimato. Siete colpevoli di prendere in giro la gente tanto quanto la vostra compagnia. Aspetto l’email di conferma per domani. Non un giorno di più.»

12.12.2020

«Professoressa?»
«Sì, Camilla», dice Vittoria, avvolgendo il nome con un sospiro spazientito.
«Senta, non gliel’ho detto ieri perché mi sembrava abbastanza stanca e stressata. Sappiamo che è un periodo difficile per tutti, ma …»
«Mi stai dicendo che sono vecchia? O boomer, eh?»
La classe è perplessa per il tono della risposta. Forse ha esagerato, forse era fuori luogo

Certo che sì

ma Camilla è quella meno colpita e va avanti spedita.
«No, vede, è solo che non abbiamo ancora avuto i risultati del compito della settimana scorsa. Ci chiedevamo se ha già cominciato a correggerli. Capirà che io, in quanto rappresentante di classe …»
«Camilla, tu pensa a studiare. Alla classe e alle verifiche ci penso io.»
Vittoria si barrica dietro questa risposta decisa e autoritaria, ma deve ammettere con sé stessa che quei compiti li ha chiusi in qualche cassetto della memoria e lì sono rimasti ad ammuffire. Mentre le altre parole di Camilla continuano imperterrite in sottofondo, sfumando in un tappeto sonoro pigolante, Vittoria si gira verso la porta di casa. Il marito entra, la saluta con un cenno e poggia sul tavolinetto alcune bollette. Neanche a farlo apposta, la prima della lista ha un logo inconfondibile, con una B in grassetto, appariscente e arzigogolata.
«Ok, sì», dice rivolgendosi a tutti e a nessuno in particolare, «Oggi finiamo un po’ prima.»
Il disagio della classe cresce. Qualcuno annuisce con poca convinzione, qualcuno distoglie lo sguardo, nessuno capisce cosa stia succedendo, nessuno esce dalla lezione.
«Buona giornata.»
Vittoria saluta e lascia la sua postazione. Torna poco dopo con una stampante vecchia. Comincia ad attaccare fili e premere bottoni, si siede, si alza e torna poco dopo con dei fogli spiegazzati. Respira pesante e borbotta. Ha una postura ricurva e gli occhi stanchi proiettati fuori dalle orbite. Le palpebre sono gonfie come tortellini, il costante borbottìo della pancia ha il tono di oscuri presagi, nelle ossa della schiena sente incisi i dieci comandamenti.
Combatte con la stampante. Combatte con tutte le sue forze. E perde. Ma perde anche la stampante, aggredita da una furia cieca, dai pugni e dai piedi di Vittoria, dalla forza di gravità, dalle scale esterne e dal marciapiede sotto casa.
Il marito prova a calmarla, a farla ragionare, ma a lei non interessa più il mondo che la circonda, gli impegni, la figlia, i diecimila passi,

che cucino stasera?

Vuole solo liberarsi di quel modulo e di quel contratto. Mette il file su una penna usb, indossa il cappotto e la mascherina. Esce e cammina a piedi per le strade deserte del paese. È mattina ma è come se fosse notte. C’è il sole ma il vento gelido ha un esercito di mille pugnali. C’è un corvo che si lascia trasportare dalle correnti

Nevermore
Nevermore

solo e perso.
Passa davanti a una vetrina che sembra rimasta mummificata lì dal Natale precedente. C’è una ghirlanda spennacchiata, avvolta da un fascio di luci funzionanti per metà. Anche la copisteria è vuota. Ma non solo di clienti. A mancare è anche il proprietario, che arriva dopo dieci minuti abbondanti e prepara tutto con l’accortezza di chi deve far decollare un missile. La stampante partorisce finalmente il foglio con il modulo, Vittoria lo compila, lo fa scannerizzare e inviare alla pendrive.
Esce a passo svelto per compensare la flemma dell’uomo. Ripassa davanti alla vetrina triste. Proprio in quel momento la ghirlanda decide di suicidarsi, rimanendo appesa per quattro tragici secondi, prima che tutto l’addobbo crolli al suolo. Oltre il vetro, Vittoria incrocia lo sguardo di un uomo appoggiato con i gomiti sul bancone. Un velo di barba gli copre le guance cadenti e rugose. Non sembra preoccupato per la ghirlanda. Ha uno sguardo talmente assente da sembrare assente egli stesso.
Vittoria riprende il suo passo veloce verso casa, ma poi rallenta. Sente tutta la turbolenza interiore allontanarsi. Non ritrova la calma; più che altro ha la sensazione di vedere tutto con chiarezza, un momento di lucidità nichilista in cui il mondo e tutto ciò che contiene si presenta nella sua sconfinata nullità.
Come se la rabbia della donna si fosse trasmessa all’ambiente circostante, un tuono rimbomba nel cielo. Quando arriva a casa, una pioggia leggera sta cadendo sul paese deserto.

*

Invio il modulo richiesto, sperando che sia l’ultimo, per rescindere il contratto intestato a Giuseppina Bianco.

Distinti saluti,
Vittoria Bianco.

Vittoria sposta la freccia verso la graffetta per allegare il file, ma dall’esterno la pioggia aumenta d’intensità e la distoglie dall’operazione. È un acquazzone così violento da sembrare quasi una grandinata. Le luci della casa tremolano come candele in un castello. Poi arriva il lampo e la corrente va via. A completare l’opera, un altro tuono sigilla la volontà del fato e fa tremare le finestre della casa e i suoi nervi. La professoressa comincia a ridere per non piangere. Prova a fare da hotspot con il telefono, ma neanche i dati funzionano. Si alza dalla scrivania e va in camera da letto, apre il cassetto più basso del comodino e prende il pacco di sigarette per le emergenze. Indossa di nuovo il cappotto, esce e si siede davanti casa a fumare, guardando il temporale o forse il nulla. Le risale il sapore delle prime sigarette, quella nausea esotica, stordente e piacevole, e mentre tira le ultime boccate pensa che il suo sguardo deve essere molto simile a quello dell’uomo nella vetrina.

*

È alla terza sigaretta quando sente provenire dall’interno i vari suoni che preannunciano il ritorno della luce. Butta via il mozzicone ed entra. Prima di andare alla scrivania prende il telefono. C’è un messaggio di Camilla. Non nella chat di classe, proprio un messaggio personale.

Questa è pazza

«Salve prof, visto che stamattina è andata via all’improvviso, le volevo chiedere se alla fine ha deciso di correggere i compiti entro oggi. Buona serata.»
Vittoria risponde: «Sì, hai avuto 9.»

Altrimenti non me la tolgo più dai piedi questa maniaca

Si siede alla scrivania per riprendere da dove aveva lasciato, ma il telefono vibra di nuovo. Spera che si tratti di un messaggio di ringraziamento, o in ogni caso conclusivo. Non è così.
«Ah, mi pare strano. Pensavo di aver fatto tutto bene. Può dirmi cosa ho sbagliato?»
Vittoria stringe il telefono così forte da sentire altri pezzi dello schermo andare in frantumi, poi lo sbatte con violenza a terra, senza rimorso.
Torna al computer. La linea c’è. Clicca sull’icona degli allegati e, meccanicamente, sposta la freccia in alto a sinistra, dove si aprirà la cartella dei documenti. Peccato che in quel momento, proprio lì, appaia un messaggio privato dal sito della didattica a distanza. Le basta un’occhiata per leggere solo l’inizio, «Scusi prof, ho visto che ha visualizzato su WhatsApp», e, senza farlo apposta

o forse sì

clicca proprio sull’immagine del profilo di Camilla.
La pioggia ricomincia a scendere copiosa, iraconda, feroce. La luce trema di nuovo.
Vittoria vede la foto del profilo di Camilla attraversare lo schermo e andare a finire dritta nell’email. Di nuovo il lampo, di nuovo il tuono, di nuovo la casa che sembra sul punto di decollare. La corrente va via e ritorna in una frazione di secondo. Lo schermo del computer si annebbia come se fosse una vecchia televisione, poi si ristabilisce. Quando tutto ritorna normale, l’email non c’è più. O meglio, non c’è più la bozza, perché l’email è stata inviata. La apre e vede che l’unico allegato non è evidenziato in blu, come al solito, ma in rosso: Camilla Morella, III A.
Un presentimento folle e squilibrato comincia a farsi strada nella sua mente.
Prova ad annullare l’invio, ma non può. Prova a cancellare l’email, ma non riesce.
*Impossibile cancellare l’email*
Ne scrive subito un’altra, in cui spiega che la precedente non è da tenere in considerazione poiché inviata per sbaglio.

Perfetto, ora avranno anche la scusa per andare ancora di più per le lunghe, questi infami

Il telefono comincia a squillare. All’inizio non ci fa caso, ma poi ricorda di averlo fracassato pochi minuti prima.

Com’è possibile?

Va in soggiorno e afferra il telefono da terra. Lo gira dal verso giusto e, in mezzo alla devastazione dello schermo, riesce a leggere il numero di Berenice.
Fa scorrere il dito ripetutamente sul touchscreen frastagliato e si procura anche una piccola ferita. Una gocciolina di sangue scende tra le crepe e viene assorbita dallo schermo. Alla fine riesce a rispondere.
«Pronto?»
Di nuovo l’arpa, poi un’altra voce di donna, questa volta calda e rassicurante.
«Ciao Vittoria. Volevo informarti che l’operazione è andata a buon fine.»

E perché avete chiamato?

«Quindi … il modulo andava bene?» chiede timida, pur sapendo con certezza che non è merito del modulo.
«No, il modulo non andava bene. Quelli non vanno mai bene. La ragazza invece va benissimo.»

La ragazza invece va benissimo

«Che significa? Camilla è con voi?»
«In un certo senso, sì. Ma è inutile parlarne. Questo è. Il contratto è annullato e si può andare avanti, ognuno per la sua strada. Sia noi che te. E anche tua zia.»
Vittoria è confusa: «Mi dispiace ma non capisco. Cosa sta succedendo di preciso?»
«Cara Vittoria, non credere a nulla di quanto senti dire e non credere alla metà di ciò che vedi. Addio.»
La comunicazione si interrompe. Vittoria sposta il cellulare dall’orecchio e lo osserva. È spento, morto.

*

19.12.2020

Il sole è di nuovo alto nel cielo.
La tazza di tè è calda tra le mani di Vittoria.
La III A è già collegata per la lezione. C’è solo una casella vuota nel mosaico della classe, e tale rimarrà.

È tutto perfetto

«Good morning, guys. Allora, oggi concludiamo con Edgar Allan Poe e poi passiamo al prossimo argomento.»

Troppo perfetto


La citazione “Non credete a nulla di quanto sentite dire e non credete che alla metà di ciò che vedete” è tratta da Il sistema del dottor Catrame e del professor Piuma di Edgar Allan Poe.