L’alfabeto

Dolores è davanti allo specchio. Ha sfilato le ciabatte dalle suole rialzate, reggendosi alla sponda del letto. È avanzata a piccoli passi, con le braccia incurvate da gara campestre e i gomiti a sfondare l’aria. Si guarda. Si fa scivolare di dosso il vestito nero con i fiori viola. Lo lascia cadere in terra, ai suoi piedi e i fiori si sgualciscono nel buio del tessuto. Resta nuda, glabra, affonda gli occhi nelle pieghe della pelle afflosciata sul manichino del suo scheletro. I suoi sguardi sono frecce, i secondi le ferite. Gocce di sangue rosso trasparente macchiano le piastrelle in grès e il tappeto bianco che resta bianco. Il corpo di Dolores adesso è steso a letto. Il ventre ondeggia, si tende del respiro come la vela di una barca al vento favorevole. Ha un’ora di tempo. Poi tocca a Lola uscire.
Non possono lasciare la casa contemporaneamente, spiega Lola la prima volta che arriva al bar in ritardo. La nonna non vuole. Dice che i ladri sono in agguato e che nessuno darebbe l’allarme se servisse, i loro vicini sono tutti morti. La casa è l’ultima della strada, di fronte al cimitero. Accanto ai campi e al sentiero che porta a Milano.
Lola apre le braccia, alza le spalle. I suoi occhi scuri sono velati di stanchezza, nonostante sia soltanto una ragazza. Il proprietario del bar le crede, sa già tutto. È una delle storie più raccontate del paese. Sa anche che Lola non è capace né di leggere né di scrivere, perché la vecchia non l’ha mai lasciata andare a scuola. Non c’è bisogno, diceva alle maestre, penserò io alla sua istruzione. Ma quale istruzione. La sua voce è nota solo per le bestemmie che grida dietro alle pareti della casa. Ai visitatori del cimitero che la sentono scoppiano piccoli scandali nel petto, che si placano al pensiero che la vecchia vive accanto nello spazio quanto nel tempo alla sua prossima dimora. Entrano dal cancello in ferro con l’accendino e la candela già pronti nelle mani. Bruceranno per un minuto la distanza dei tumuli, parleranno con voce lieve da infermieri. Siamo i sopravvissuti, si diranno con sollievo. Non sopravvivremo, suggerirà loro la fiammella consumata nella cera liquida.
Con uno sguardo Lola sa far sentire i clienti accolti. Finge di scrivere le ordinazioni sul foglietto bianco del bloc-notes, che resta bianco. La sua memoria non cade mai in errore. Se ne è accorto da qualche tempo un giovane studente universitario che di mattina, prima di prendere la strada per Milano in bicicletta, si siede a uno dei tavoli del bar e ordina sempre qualcosa di diverso per metterla alla prova. La penna non scrive niente, scivola con il cappuccio in testa sulla carta in greche circolari. La ragazza aggrotta la fronte concentrata nella sua finzione e poco dopo serve quanto richiesto. Il ragazzo la ammira, pensa che Lola è bella e che potrebbe insegnarle l’alfabeto. Così anche lui prova un suo trucco improvvisato. Per una settimana ordina ogni giorno pietanze che iniziano tutte con la lettera a: ananas tagliato a rondelle fini, albicocche sciroppate, anicetti, albumi sbattuti e zuccherati. Ogni volta scrive su un tovagliolo di carta la lettera e lo lascia sul tavolo appoggiandoci sopra le monete del conto. Le prime volte Lola non se ne cura, pensa che siano scarabocchi senza senso. Il terzo giorno inizia a sospettare che ci sia qualcosa sotto e decide di portare il foglietto a casa.
La settimana successiva il ragazzo passa alla lettera b: brioches alla marmellata, biscotti, bocconcini alla banana, baci di dama, bignè alla crema. Lola ogni volta finge di scrivere e serve il cliente correttamente. Quando lo vede alzarsi, si avvicina al tavolo e raccoglie le monete e il tovagliolo. Scopre la soluzione dell’enigma alla lettera f, il giorno delle fragole, ma non dice niente al ragazzo. Quando torna a casa si siede in cucina, si mette i foglietti davanti e ripete le lettere a voce alta. Dolores le copia su un quaderno più volte, per memorizzarne le forme. Alla lettera s di sorbetto il ragazzo offre agli altri clienti un bicchiere di spumante perché si è laureato. Alla z di zabaione sul biglietto che lascia aggiunge una frase: Accettereste di bere un bicchiere in mia compagnia? Lola se lo mette in tasca come sempre e a casa lentamente traduce le lettere in suoni. Quando ne scopre il senso scoppia a piangere e Dolores prepara la cena per entrambe.
La settimana trascorre, la zeta si spegne sul tavolino in legno del bar. Il lunedì successivo il ragazzo non si siede, resta in piedi appoggiato a una colonna dei portici, accanto all’edicola. Guarda Lola che serve i clienti e scansa il suo sguardo. A mezzogiorno il giornalaio gli porta uno sgabello. All’una un panino e una pacca sulla spalla. Il ragazzo aspetta fino a sera. Quando i tavoli sono vuoti Lola pulisce in terra, aiuta il proprietario con le serrande e fa qualche passo in direzione della sua casa. Poi si ferma. Si volta di nuovo e gli si avvicina. La sua boccuccia si apre, una voce acuta, che si increspa per la secchezza della gola, sussurra: Va bene, uscirò con te. Il volto del ragazzo si distende, i suoi occhi diventano mezze lune. Afferra le mani della ragazza, sente la pelle ruvida grattare sulla sua pelle liscia e si vergogna dei suoi privilegi. Domani sera, ai campi. Porto io qualcosa da bere e da mangiare. Raggiungimi dopo il lavoro. Lola annuisce e corre via.
Il mattino seguente telefona al bar per dire che non si sente bene e che quel giorno resterà a casa. Dolores lo trascorre nel letto, Lola prepara il vestito per la sera e un telo per il prato. Preme un cuscino sul viso, le labbra si seccano contro la stoffa. Pensa a una biglia sbattuta in una scatola di scarpe da un bambino capriccioso; il vetro si attraversa di fughe scure. Pensa al suo corpo.
Il ragazzo la aspetta seduto al muretto con un libro aperto appoggiato alle ginocchia, la sigaretta accesa. Accanto sulla pietra una bottiglia e due bicchieri. Trovano un punto in cui l’erba è meno alta, il ragazzo fa domande, Lola gli risponde con una voce che trema per la vergogna. Se la sente nelle orecchie imperfetta e le sue parole, lo sa, sono tutte sbagliate. Il ragazzo le mostra una pagina con delle frasi che ha sottolineato a matita e le chiede di leggerle. Delle piccole rughe le si formano ai lati degli occhi. Mentre inciampa tra le lettere il ragazzo si avvicina, Lola curva la schiena e accoglie il bacio, ha la fronte che le scotta. Sente freddo dove le mani la toccano. Trattiene il respiro, stringe i denti e pensa che deve fidarsi. I loro movimenti fanno tana della terra su cui si sono distesi. Lola preme le dita sulle spalle del ragazzo, stringe il piacere nel suo corpo. Quando apre gli occhi subito si guarda le mani. Aspetta. Il ragazzo ha appoggiato la testa al suo petto, ha il respiro lungo, si è addormentato. Pensa che le basterebbe qualche ora, ma lui si sveglia poco dopo e vede gli occhi di Lola supplicanti incastrati nel corpo di Dolores. La spinge via da sé, grida, tende le braccia e scarica la rabbia nei pugni chiusi. Si riveste in fretta. La vecchia emette lamenti brevi, continui. Il ragazzo le tira un calcio a una gamba, le sputa addosso e scappa. Dolores striscia sul telo, indossa i vestiti, non riesce ad alzarsi. Usa il libro del ragazzo come cuscino. Verso l’alba Lola si alza e torna a casa zoppicando. Va al lavoro il pomeriggio, arrancando aiutata da un bastone. Il giornalaio le posa una mano sulla spalla, guarda la sua gamba, dice che il ragazzo se ne è andato al sorgere del sole. Lui stava sistemando gli strilli davanti all’edicola, lo ha visto con la schiena piegata sotto il peso di uno zaino, i pantaloni gonfi sui polpacci, il rumore delle ruote della bicicletta sull’asfalto.
Lola dopo il lavoro legge il libro, impara le parole e Dolores le bisbiglia nel buio della camera da letto. Quando lo finisce ne cerca un altro in biblioteca. La gamba non guarisce e Lola scopre che si può scrivere di ciò che accade nelle stanze chiuse delle case, nelle bocche chiuse della gente.
Dolores si alza sempre meno, non esce più di casa. Lola passa sempre più tempo al bar. Finito il turno si siede a un tavolo e rimane a leggere fino a che la luce lo permette. Ogni giorno che passa sul suo viso il tempo evapora e lei ringiovanisce. Dolores si guarda le mani e non le riconosce. Sorride.
Ombre scure scavano la pelle del giornalaio in sottilissimi fossati, si annidano sotto i suoi occhi, fanno schermo alla sua vista. Non ti ricordi di me? Chiede l’uomo che gli sta davanti. Si è tolto gli occhiali e ha liberato la fronte dai capelli ondulati color cenere di cui alcune ciocche sfuggono alla presa delle dita. Ha un anello all’anulare, gli occhi lucidi. Mi dispiace. Il giornalaio stringe le palpebre, allunga il collo, vede il volto dello studente sepolto nel volto di quello sconosciuto. Esce dal retro dell’edicola e lo raggiunge. Vorrebbe abbracciarlo. Si ferma. Gli stringe la mano e lo chiama professore. Perché siete tornato? Chiede. Mia madre è morta, sono stato al funerale. Si siedono al bar, ordinano un caffè. Il ragazzo diventato uomo guarda la ragazza che li serve e vede qualcun altro. Piega il capo verso il giornalaio, gli risponde che non pensa di restare per la notte. Il suo sguardo percorre i lineamenti dei tavoli, dei clienti. Non trova appigli. Si sofferma sul profilo di una bambina concentrata a leggere un libro. Osserva il barista portarle un bicchiere d’acqua. È sua figlia? Sussurra al giornalaio. La bambina si volta a guardarlo per un secondo, l’uomo spalanca la bocca, lei torna al suo libro. Si chiama Lola, dice il giornalaio.
Il professore paga il conto, posa le monete sul tavolo, sopra il tovagliolo che porta il baffo di caffè delle sue labbra. Stringe la mano al giornalaio e percorre la strada fino al cimitero. La casa di fronte ha i muri consumati, le imposte chiuse, l’erba alta tutto attorno. Prende dalla tasca l’accendino e una candela. Oltre il cancello accende la fiammella e Dolores gli soffia tra i capelli.