Alice – How long is forever?
White Rabbit – Sometimes, just one second.
Sono caduta, maestro,
e non mi sono più rialzata.
Giacendo bocconi per strada
ho visto cose piccole piccole,
diresti “minuscole”.
Ho visto case nei tombini
e fiumi impervi
e le buche nell’asfalto,
come cicatrici,
raccoglievano acqua,
si facevano lago.
Una varicella le coglieva,
ma nessuno lo vedeva
perché ribaltavano il cielo
nel loro essere più in basso
del basso,
più in basso di me.
Sono caduta, maestro,
e sono scivolata più giù.
Dicono che sia oltre il terriccio,
ho in bocca humus e qualche lombrico
– inizio a vedere qualche osso di pollo,
sarà il furto di qualche randagio.
Dicono che stia precipitando,
come Alice.
Ho attorno le formiche,
e loro scavano scavano
scavano,
nel silenzio scavano.
Nel buio, hanno una regina
gravida
che si gonfia come un teratoma
prima di dare alla luce
piccole creature centrifughe.
Avrei bisogno di pastiglie tossifughe
– ho terra ovunque:
nelle orecchie
nel naso
nel cervello.
Mi porto questo fardello
della grevità,
non è questione di gravità
ma di inadattabilità.
Sono caduta, maestro,
perché portavo un peso al piombo,
a filo dritto dallo sterno
fino a questo strapiombo.
E precipito,
precipito
ma forse è un ritornare
in un posto dove
non starò più male
anche se fa male cascare.
E precipito
precipito
con queste ali inette,
si sono trasformate
in due ferite infette.
E precipito
precipito
nel buio terminale
dispersa alla ricerca
di una pietra filosofale.
Mi diresti, maestro, che
è una cosa inattuale,
che ero una bambina sensibile
e non un animale,
mi diresti che è per questo,
con fare paternale,
che è un fatto manifesto
che io lassù sto male.
E qui cado ancora
mentre il caldo rincuora.
Sembra quasi il tuo abbraccio
di quando andavo a scuola.
Sono sola, mi dico,
in questa vacuità sonora
e i cancelli dell’inferno
tremano, una volta ancora:
è tutto così placido
questo piover cose ctonie,
magmatiche comete
rigano il nero
come lacrime.
Sono al centro, maestro,
il centro di tutto.
Vedo Ratatoskr addentare
le radici di Yggdrasil,
mentre la tua radio accenna
che ci governa Draghi,
ma io non la sento
nel pozzo disadorno
da cui non farò ritorno.
Sembrano luci al led
queste anime luminescenti.
Verrebbe voglia di afferrarle
come lucciole,
o come Exos lucius
a branchi,
che esplodono come petardi
dalle larve,
abbarbicate agli alberi
come gemme eleganti.
Ma un sonno da luminale
mi fa gentilmente ripiegare
in posizione fetale.
Sussurrano ai miei orecchi
diverrò uno strato germinale
e fiotterò sangue nelle linfe
di alti rami.
Sfiorerò il cielo,
ancora,
custodita come un segreto.
Sepolta come uno spergiuro obliato,
forse in osseto.
Ascolta Caro Maestro… letta direttamente dall’autrice