Tu che ti svegli
tra le macerie della notte
stretto da pareti di fogli A4
imbrattati degli ultimi bisbigli di sogni
nascosti nel cassetto di qualcun altro.
Tu che ti addormenti scarafaggio
per risvegliarti uomo,
che lavi i denti dopo i pasti
per un sorriso seducente a questo specchio vuoto:
sei sia la gallina che l’uovo.
Sei nato prima di inventare te stesso
ma hai calato le braghe dopo esserti pisciato addosso.
Così non va sorella
e fratello, credimi, stai messo male.
Da animale a animale, di sociale hai solamente
la tendenza a fantasticare su quale sarà la prossima hit dell’estate,
finché non interviene la nobile arte del dissociare:
mente e mani, cervelli e peni, vescica e reni,
e allora dici bisogna fatturare
bisogna fratturare ulne tibie scapole omeri frantumare omero dante
e pezzo per pezzo piazzare dei bot dei bond gli stock la glock qui in front
Oh!
Mio nonno bracciante lucano smottava la terra
perdeva la guerra di troia contro la servitù della gleba
sopravvissuta zitta zitta nel sommergibile della storia.
Mangiava controfiletto di merda, direttamente dalla scodella,
finché non ha mollato la zappa ed è salito, su
dal battiscopa pieno di polvere all’aria pura della finestra.
Sul carro del venditore.
Sul: carissimo compagno lavoratore
eccoti un bel contratto, l’appartamento all’angolo nel palazzo, il conto in banca,
saluta il calanco e abbraccia il Nord Est che produce,
bacia la croce e saluta il duc…ssssssh!
Ma pensalo e basta, perché non si dice.
Ora addormentati e risvegliati
felice.
Ma non basta.
C’è nei tuoi occhi, sorella, la cresta di un’onda,
c’è nella tua pancia, fratello, una sorgente che sgorga,
c’è una vecchia favola che nel tramonto rimbomba,
un gigantesco drago addormentato
che sogna i suoi sogni di fuoco nell’ombra,
un gregge di pecore nere, smarrite nei crepacci del mondo,
che belano la loro rivolta
alla spalle indaffarate del roveto ardente,
finché non interviene la somma arte del sussurrare:
parole e voci, respiri e fedi, stanchezze e schiene
e allora dici bisogna complicare
bisogna compitare cifre, ore, notti, gradini, compilare bilanci e grafici
e pezzo per pezzo spezzare
il pane e rendere le disgrazie, realtà.
Occupare il nostro piccolo spazio.
Rimanere in silenzio.
Lasciando scorrere una poesia
accendersi, un istante poi via
nell’oblio dispettoso del fiume Lete
concedendo alle nostre orecchie, la libertà
di decidere se combattere
per la tempesta o per la quiete.
Ascolta Tempesta imperfetta letta dall’autore