Casa, singolare – nell’accezione: unica nel proprio genere, diversa da tutti gli altri; inoltre femminile. Costruzione eretta dall’uomo nel millenovecento ottanta, venduta, comprata, complesso di ambienti che a distanza di vent’anni noi ancora sogniamo, mio padre, mia madre, mia sorella, tutti sognerebbero quella che è stata la mia casa se solo ci avessero vissuto per un anno, o tutti sognano le case della propria infanzia fino all’ultimo giorno? A grande distanza, la casa torna a trovarmi mentre dormo, non sono io a entrare ma è l’organismo architettonico rispondente alle esigenze particolari di me abitante, l’organismo a espandersi dal centro del mio corpo nel dormiveglia e a estendersi tutto intorno in una corazza, un satellite del ricordo e più spesso un vero e proprio pianeta.
Edificio in cui convivono o sono accolte, per limitati periodi di tempo e per motivi particolari, determinate categorie di persone – casa è pure un accadimento. Figurativo: riportare la pelle a casa, ritornare vivo dalla guerra, da qualche incidente o avventura rischiosa. A casa abbiamo avuto delle allucinazioni visive o uditive, ho elaborato una teoria secondo la quale eravamo noi stessi, tornati a trovarci da un futuro incerto, a dire a noi stessi, soprattutto di notte: per sempre ricorderai. A immensa distanza la casa non cambia anche se lo vorrei, un curioso fenomeno di replicazione del senso dell’olfatto e del gusto, dell’udito, una copia della prima registrazione mi riporta indietro fino all’origine.
Casa è eterna d’estate, condensata in una soluzione salina tra giugno e la metà di settembre, sole oleoso fermo nell’asfalto che si scioglie, l’inquietudine della sera e del mare nel buio. A testa sott’acqua si torna a casa del diavolo, che è piena di chiese, l’amore si fa dappertutto ma in questo caso specifico sulla riva bagnata delle spiagge. Abitare a casa del diavolo, fuori di mano, in un luogo difficile a raggiungersi una volta che si è abbandonato, impossibile da ritrovare se gli si volta le spalle. Fuori di mano, di senno, fuori dal cerchio magico e temporale in cui tutto il mondo cambia tranne la casa di bambola, costruzione in miniatura, fatta a imitazione delle reali case d’abitazione, e riproducente in scala la disposizione delle stanze, il mobilio e l’arredo in modo da completare il gioco di simulazione. Guardare il passato dentro a una sfera di vetro in cui non nevica mai, ridisporre le suppellettili – amici con i quali non si è più parlato, rocce dalle cui cime ci si è tuffati, padri che facevano gli allenatori delle scuole calcio juniores, la professoressa di francese, vesciche nelle caviglie, tramonti inclinati e accavallati.
Casa è la rappresentazione simbolica – si scopre nell’analisi e nel trattamento dei rifugiati – l’abbandono che accomuna indistintamente a un altro simile nella perdita delle fondamenta e nel tentativo di recuperarle. Si spiegano quindi le sovrapposizioni mnemoniche, guidare per una strada e d’immediato pensarla identica a un’altra, improvvise corrispondenze arbitrarie tra eventi, mangiare lumache da una grande pentola rotonda aperta nel mezzo del tavolo è identico a guardare il deserto che si estende oltre il limite dell’autostrada.
Talvolta con casa si intende il luogo degli affetti, con il sinonimo di famiglia. Famiglia di muri, di sabbia, padri e madri di processioni nei giorni dei santi, sorella è nuotare nudi fino alla boa più lontana, fratello il giorno in cui si sono tagliati corti i capelli. Il sinonimo del campo in cui è successo di fare radici che non si staccano, che ti chiamano indietro, talvolta con casa si intende singolare, unica nel proprio genere, un vero e proprio pianeta.