Ed è così che sono diventata una bestia

Davanti alla fattoria c’è una rotonda piena di galline, escono dal cortile e attraversano la strada. Chi arriva da fuori frena bruscamente pur di non investirle, le macchine si accartocciano in tamponamenti a catena che accadono con frequenza regolare. A Francesco poco importa, se qualcuno preferisce rimetterci il paraurti per salvare la vita di una gallina, sono solo fatti suoi.
Da lontano prima di arrivare, vedo un enorme pioppio sovrastare la campagna. I pavoni ci trascorrono la notte, le code pendono dai rami: quello è il mio albero magico. Quando chiedo a Francesco di poter entrare, lui mi dice che posso visitare la fattoria tutte le volte che voglio, basta che non faccia la schizzinosa: le sue sono bestie, mica animali.
C’è odore di capra, fieno, ruggine, primavera, fango, mangime, piume, legna, erba, fuoco, glicine, carogna.
Mi viene sempre da vomitare, all’inizio. Poi smetto di badarci. I pulcini pigolano in continuazione inseguendo le loro madri. Il tetto della stalla è cosparso di colombi grassi, si alzano in volo pigramente per brevi ricognizioni circolari. I galli mi intimoriscono, fanno la ronda sui bordi dei letamai. Le uova si schiudono sotto i cespugli, ce ne sono dappertutto, di diversa grandezza e colore. Francesco le raccoglie verso sera, quando rabbocca gli abbeveratoi nelle conigliere.
Il primo animale che ho visto morire è stato un cocorito azzurro, stroncato da un infarto la notte di capodanno. Gli ho costruito la bara con una scatola da scarpe, quando mi sono addormentata mia madre l’ha buttato nell’umido. L’ultimo è stato un cane enorme, spirato tra le braccia di mio padre un mattino di ottobre. Tutta la famiglia si è riunita per il funerale. I nostri cani sono sepolti in giardino, potrei costellare una mappa di croci, ne abbiamo pianti molti.
Francesco lascia le galline marcire in mezzo alle ortiche. Le bestie che non passano attraverso il suo corpo le dà da mangiare alla terra. Qualcuno che non capisce la vita e accosta, pensando di trovare soltanto animali da carezze, riprende la strada chiamandolo macellaio. Francesco però è un uomo gentile, nessuno dei suoi uccelli è mai voluto scappare.
Ho sempre creduto che la morte dei miei animali mi avrebbe preparato a sopportare quella dei miei genitori. Quando mio padre ha comiciato a dimagrire e ad avere paura, non è servito conoscere il gioco per accettarne le regole. Ho camminato spesso fino alla fattoria di Francesco, per sedermi sotto l’albero magico e lasciare passare il tempo. Un gatto rosso mi si stendeva accanto a patto che non provassi a toccarlo, io guardavo i fili d’erba muoversi e nient’altro. Francesco a metà pomeriggio veniva a portarmi una mela, gli bastava darmi un’occhiata per capire come stessi. Quando rimanevo fino al tramonto mi metteva sulle spalle una coperta piena di buchi, poi chiudeva i cavalli nella stalla. Le galline si sistemavano nei pollai, i prati sudavano fuori la sera. A poco a poco ho smesso di pensare al mio dolore ed è così che sono diventata una bestia.
Vado e vengo dalla fattoria quando posso, qualche volta manco per mesi. Le stagioni cambiano i colori delle frasche e ai cespugli dentro la rotatoria. Francesco riempie di letame il carrello del trattore e poi imbocca una strada sterrata che sparisce in mezzo agli orti.
L’hanno trovato col badile lungo il corpo e gli occhi spalancati, dentro il porcile. Dicono che le scrofe non l’abbiano toccato, sono rimaste tranquille nonostante non ci fosse più nessuno che portasse loro da mangiare.
Rimango coi miei pavoni finchè non cala la notte.