“Enola Gay
You should have stayed at home yesterday
Ah-ha words can’t describe
The feeling and the way you lied”
Enola Gay, Orchestral Manouvres in the Dark
L’acqua, a poco a poco, aveva formato una pozza al centro della cucina, come se il pavimento fosse inclinato. Ero già in costume da bagno e stavo cercando di asciugarla, quando mi è squillato il telefono.
L’ho messo sul tavolo col viva voce e il video acceso. A Sidney erano solo le sette, ed Ernesto aveva ancora l’aria addormentata.
«Ma è rotto rotto?» mi ha chiesto quando gli ho raccontato del frigorifero. «Hai provato a staccare la spina e riattaccarlo?»
«Sì» ho risposto, avvicinandomi allo schermo. «Morto. Caput. E comunque non è un computer. Non puoi riavviarlo.»
«Non si sa mai. Come hai fatto?» mi ha chiesto, come se c’entrassi qualcosa.
Al massimo, ho pensato, avevo ignorato i segnali di cedimento: da un paio di mesi si stavano formando delle lastre di ghiaccio sul fondo e quando mi asciugavo i capelli le scioglievo col phon. Poi, proprio negli ultimi giorni, il ghiaccio avevo cominciato a staccarsi da solo, come gli iceberg in Antartide, e lo avevo buttato direttamente nel lavandino, a pezzi.
«È stata una cosa improvvisa» ho mentito. Se c’era una cosa su cui non avevo dubbi, è che la morte ti prende sempre alla sprovvista. Che proprio mio fratello fingesse di non saperlo, un po’ mi scocciava.
«Che sfiga, Vi» ha detto sbadigliando. «Hai già visto per quello nuovo?»
«Sì, arriva mercoledì prossimo.»
«Solo? E nel frattempo come tieni la roba al fresco?»
Da quando si è trasferito in Australia, gli sbalzi di temperatura lo allarmano in maniera esagerata.
«Tranquillo. La metto sul balcone. Ci saranno due gradi.»
«Ah già che lì è inverno. Sennò come va?» mi ha chiesto.
Mi sembrava di continuare a spostare acqua avanti e indietro sulle piastrelle, senza riuscire ad asciugarla, e ho cominciato ad innervosirmi.
«Normale» ho risposto, aprendo un armadietto alla ricerca di uno straccio più grande.
«Comunque, a me il tuo ex non è mai piaciuto.»
Niente straccio. Ho lasciato sbattere l’anta e sono tornata davanti al telefono: «Me lo hai già detto. E comunque: neanche lo conoscevi.»
«Appunto. Pensa se lo conoscevo. Anzi, gli hai fatto un favore a mollarlo adesso, sennò quando scopriva che gli toccava passare le feste da solo…»
«Magari portavo anche lui, che ne sai?»
«No way. A proposito, hai preso il biglietto?»
«Sto guardando le coincidenze.»
«Madonna, compralo e basta. Non vorrai mica stare da sola. Ti prendi un ansiolitico.»
Il campanello ha suonato.
«Adesso devo andare» ho detto, «ci risentiamo.»
Mi sono vestita e sono andata alla porta.
Quando ho aperto, mi sono trovata davanti Olivia, la bambina che abita al primo piano. Ha credo sei anni, ma ogni volta che la vedo mi sembra più grande, per cui quel giorno poteva averne già, che ne so, sette?
«Ciao» mi ha detto con voce neutra, senza sorridere.
«Chi salviamo oggi?» le ho chiesto.
«Il pappagallo della Nuova Zelanda.»
«Cos’ha che non va?»
«Non può volare perché è troppo grasso. Non può difendersi. Bisogna adottarlo per salvare la specie.»
«O metterlo a dieta. O proibirgli di fare il pappagallo.»
«Puoi fare anche la donazione online» ha continuato Olivia, ignorando i miei commenti.
«Non possono farla i neozelandesi?»
«È una causa globale. Posso farti vedere sull’iPad.»
La settimana scorsa per colpa sua ho buttato via sei uova fresche, perché non erano di quelle prodotte senza uccidere i pulcini maschi. È stato stupido buttarle, visto che ormai li avevano uccisi, ma è riuscita a farmi sentire in colpa.
«Hmm. Vieni in cucina» le ho detto, «ma ho poco tempo. E stai attenta che il pavimento è bagnato.»
«Perché?» ha chiesto Olivia, attraversando l’ingresso con gli occhi puntati a terra.
«Mi si è rotto il frigo ed è uscita un po’ d’acqua. Niente di grave.»
«Adesso devi asciugare tutto. Sennò si scivola.»
«Sì, be’, lo stavo facendo.»
Olivia si è avvicinata al tavolo, ci ha appoggiato l’iPad e si è sistemata su una sedia. I suoi piedi sfioravano appena il pavimento. Pensavo che si sarebbe messa a raccontarmi del pappagallo, ma lei ha intrecciato le mani in grembo ed è rimasta lì a fissarmi.
A disagio, mi sono guardata intorno e ho visto la fila di bottiglie allineate sul davanzale.
«Vuoi del succo di frutta?» le ho chiesto.
«È biologico?»
«Sì» ho mentito, per la seconda volta in meno di dieci minuti.
Olivia ha annuito, seria. Ho preso un bicchiere dallo scolapiatti e le ho versato del succo d’arancia. Poi, prima che potesse chiedermi di controllare la provenienza, ho buttato il cartone nella spazzatura.
«È tiepido.»
Ho fatto finta di non sentire e ho strizzato lo straccio nel lavandino.
«Mio papà prima non la beveva mai, ma adesso la mamma gliela fa sempre. Per la vitamina C.»
«Ah sì? Tua mamma fa bene. A proposito, lo sa che sei qui?»
«Torna stasera. Ha detto basta che lo dico a mio fratello.»
«E lui ha detto che andava bene?»
«Aveva le cuffie.»
«Comodo. Finisci di bere adesso che devo uscire.»
«Per andare dove?»
«A nuoto, anche se non sono affari tuoi.»
«E la donazione?»
«Ci devo pensare. Andiamo che scendi con me e ti riaccompagno a casa.»
Nell’atrio ho incrociato Patti, la ragazza che sostituisce la portinaia. Arrotolava un festone color pervinca al corrimano delle scale. Si era iscritta a un concorso con gli altri condomini per le decorazioni più originali: avevamo alghe viola al posto dell’agrifoglio e autocollanti fluorescenti a forma di stelle marine. Sembrava la grotta della Sirenetta versione electro-pop.
«Ciao!» mi ha salutato, «Mm… Vieni a vedere…» mi ha detto masticando qualcosa. «Faccio pervinca e argento per voi della scala C e… hmm… indaco-oro per quelli di là. Che ti sembra?»
Mentre parlava, la gomma appariva e spariva, un guizzo blu in mezzo ai denti. «Interessante» ho detto.
Mentre mi avvicinavo, ho messo il piede su qualcosa.
«Oh, me ne è caduto qualcuno.»
Mi sono abbassata a raccoglierlo.
«Ricci di mare.» Patti mi ha guardato, continuando a masticare. «Per l’albero» ha aggiunto, come se avessi dovuto saperlo.
«Oh. Certo.»
«Avevi bisogno?» ha detto poi, allungando una mano per riprenderselo.
«Mi si è rotto il frigo. Dovrebbero portarmelo la settimana prossima. Se non ci fossi, potrei lasciarti le chiavi?»
«Contaci. Che sbatti, proprio sotto le feste. Vai via?»
«Per Natale? Non so ancora. Forse da mio fratello.»
«Beata te… con quel bel mare. Come mi piace il mare a me. Potessi me ne andrei pure io. Là è estate, vero?»
«Sì. Senti, un’altra cosa. Olivia, la bambina del primo piano. L’ho riaccompagnata a casa, ma com’è che sua mamma adesso fa sempre tardi la sera?»
«Eh, che Dio ce la mandi buona. Hanno ricoverato il papà. Tutto il giorno in ospedale sta la signora. Io quando posso salgo a dare un occhio ai ragazzi, ma lei, baby sitter manco a parlarne. C’è da dire che quei due lì… il ragazzo ancora ancora, ma la bambina è strana.»
«Ma è una cosa grave allora?»
Patti ha alzato le braccia, lasciando andare il festone. Stava per srotolarsi, ma lei lo ha afferrato al volo.
«E chi lo sa» ha detto. Si è tolta la gomma dalla bocca e l’ha usata per riattaccare il festone.
Non mi era chiaro se volesse dire che non lo sapeva nessuno, o che qualcuno lo sapeva, ma era una di quelle cose che non si potevano dire.
Da un mese facevo un corso intensivo di nuoto, anche se il motivo non mi era del tutto chiaro. Il mio ex era un nuotatore professionista, quindi forse dovevo convincermi che la nostra storia non era finita per via delle mie capacità natatorie.
Quando mi sono avvicinata alla vasca, Tommaso, il mio istruttore, stava chiacchierando con una ragazza del nuoto sincronizzato. Ci avrei scommesso che ci stava provando. La ragazza aveva i capelli lunghi, mossi e vaporosi, come quelli di Julia Roberts in Pretty Woman, e un costume nero con la scollatura di paillettes. Tommaso ha detto qualcosa. La ragazza ha riso e ha cominciato a raccogliersi i capelli, poi ha cambiato idea e li ha lasciati ricadere di nuovo sulle spalle. Mi sono aggiustata la cuffia e ho cominciato a scendere la scaletta. Ero già in acqua quando finalmente Tommaso si è girato dalla mia parte.
«Ciao. Fammi un paio di vasche per scaldarti. Arrivo subito.»
Ho guardato prima lui e poi la ragazza, senza dire niente.
Poi mi sono tirata giù gli occhialini, che hanno reso tutto un po’ offuscato, e ho cominciato a nuotare verso l’altra sponda, facendo più schizzi che potevo.
Ho alzato la testa e ho visto la sua sagoma camminare bordo vasca.
«Ancora non ci vogliamo tuffare?» ha detto Tommaso a voce alta, «guarda che prima della fine del corso lo fai.»
Vuole fare il maschio dominante e usa me come cavia, ho pensato.
Sono arrivata in fondo e mi sono aggrappata al bordo con le mani, facendo finta di riprendere fiato.
«Sei in ritardo, oggi» mi ha detto Tommaso, inginocchiandosi di fronte a me.
Non mi sembrava che si stesse annoiando, ma non erano affari miei.
«Scusa, un imprevisto» ho risposto, tirando su gli occhialini. Poi, senza pensarci, ho aggiunto: «Mi si è rotto il frigo e ho dovuto prendere un pappagallo.»
«Al posto del frigo?» mi ha chiesto, sorridendo.
Non assomiglia per niente a Paolo, ma qualche volta, quando mi parla e sorride, mi viene voglia di toccarlo. Sto cercando di farci attenzione, perché ho paura che sia tutto un grosso equivoco.
«È una storia lunga» ho detto.
«Ok. Pronta? Oggi lavoriamo sullo stile libero.»
«Cos’ha che non va?» ho detto.
«Trattieni troppo il fiato. Devi respirare a ogni bracciata.»
«Ma non mi viene.»
«E noi apposta lo facciamo.»
L’ho guardato. In quel momento non mi piaceva per nulla, e ho provato un certo sollievo. Ho sciacquato gli occhialini e me li sono rimessi. Poi ho puntato i piedi contro la parete della vasca, mi sono data una spinta e ricominciato a nuotare.
«Respira a-ogni-bracciata» mi è arrivata la voce di Tommaso.
Non era per niente semplice. Ogni volta che giravo la testa per respirare, mi sembrava di perdere il controllo del mio corpo. A metà dell’ultima vasca, ho bevuto e mi sono messa a tossire.
Ho finito nuotando a rana.
«Non riesco» ho detto fermandomi a qualche metro dal bordo, davanti a lui.
«Non dire scemenze.»
«Hai visto che se faccio così, bevo.»
«Ci stai pensando troppo e ti blocchi. Sono gli stessi movimenti di prima.»
«No, se devo anche respirare.»
Con su gli occhialini e cercando di tenermi a galla, non riuscivo a metterlo a fuoco, il che, in un certo senso, mi faceva sentire libera di dire quello che mi pareva.
«Lo sai che ogni tanto rompi» ha detto Tommaso, come se fosse un’affermazione. Poi si è tolto la maglietta e si è tuffato.
«Cosa fai?» ho detto allarmata.
Tommaso è riemerso di fianco a me.
«Nuota, che ti tengo.»
«Come, mi tieni? Come faccio a nuotare se mi tieni?»
«Appoggiati» ha detto aprendo le braccia verso di me. Mi sono protesa in avanti e, quando le mie mani hanno sfiorato l’acqua, Tommaso le ha strette nelle sue. Le ha afferrate proprio all’ultimo momento, come se, finché erano fuori dall’acqua, non sapesse come si faceva.
Sono scivolata in avanti, pensando che qualcosa al centro del mio corpo si sarebbe scomposto, le gambe e le braccia sarebbero andate per conto loro e mi sarei ritrovata ad annaspare. Ho pensato che sarei andata in pezzi.
Tommaso continuava a tenermi e io continuavo a scivolare.
«Uno. Due. Respira, accidenti a te. Brava. Adesso ti lascio e provi da sola.»
Col cavolo, ho pensato.
Quando sono rientrata, ho trovato Olivia seduta in cima alle scale.
«Ciao» le ho detto mentre tiravo fuori le chiavi dalla borsa. «Sei stata qui tutto il tempo?»
«Sono scesa a fare i compiti.»
«Erano difficili?»
Olivia ha alzato le spalle, come a significare che non poteva farci niente. «Dopo ho fatto un po’ quelli di mio fratello.»
«Pensavo fosse più grande.»
«Sì. Ma disegno non gli piace.»
«Fossi in te mi farei pagare. Tirati su, prima che ti si congeli il sedere. La tua mamma non è ancora tornata?»
«No. Ma abbiamo le lasagne da scaldare se fa troppo tardi. Hai deciso per il pappagallo?»
«Sì, entra un attimo.»
Stavo ancora pensando a Tommaso. Mi sembrava che tutto quello che provavo nei suoi confronti avesse a che fare con l’acqua e il nuoto, e la cosa mi irritava. Avrei voluto che arrivasse Mosè e aprisse le acque, per vederci chiaro.
In cucina, Olivia si è seduta al tavolo, mentre io ho tirato fuori il costume bagnato e la cuffia e ho cominciato a sciacquarli sotto al lavandino.
«Hai ancora i capelli umidi» mi ha detto Olivia.
«Lo so, in piscina è complicato asciugarli.»
«Non hai paura che ti venga il raffreddore?»
«No. E se mi viene, poi mi passa.»
«Potrebbe degenerarsi e diventare una polmonite.»
«Hmm» ho detto, pensando che la parola era degenerare, «vedremo. In ogni caso, non devi preoccuparti.»
«Non sono preoccupata.»
Ho strizzato il costume e la cuffia e li ho messi sul calorifero. Poi ho tirato fuori quello che avevo in tasca e ho districato dieci euro da una pallottola di scontrini.
«Bastano?» ho detto.
Olivia ha preso la banconota, l’ha distesa sul tavolo, eliminando le pieghe con il dorso della mano, e, quando le è sembrato che fosse tornata di una forma accettabile, l’ha messa in una busta bianca, tra i pezzi da cinque e quelli da venti.
«Non ce l’hai un fidanzato?»
«Al momento, no. Tu?»
«Non ancora, ma c’è uno che mi piace.»
«Oh. Bene. È un tuo compagno?»
Olivia ha annuito.
«Si chiama Luca. È il più bravo dei maschi, ma non di tutta la classe.»
Ho sospirato. «Sì, immagino che quella sia tu.»
Olivia mi ha guardato, come se fosse inopportuno da parte mia obbligarla a confermare.
«Però oggi l’ho spinto» ha detto, facendo finta di controllare di nuovo i soldi nella busta.
«Ah. E perché?»
Olivia ha alzato le spalle.
«E lui?» ho chiesto ancora.
«Si è messo a piangere.»
«Oh. E poi?»
«Mi sono messa a piangere anche io. È arrivato il maestro e ha detto che non lo avevo fatto apposta. Invece sì. Perché non mi guardava.»
«Hmm. Non puoi forzare le persone a volerti bene.»
«Perché no?»
«Non è così che funziona.»
«E come allora?»
«Stai chiedendo alla persona sbagliata.»
Qualche giorno dopo, tornando a casa dalla piscina, ho trovato Patti in piedi su uno sgabello che smontava le decorazioni di Natale.
Con la punta delle forbici ha cominciato a scollare una stella marina dal soffitto. «Il funerale è domani pomeriggio» ha detto, senza distogliere lo sguardo dal soffitto.
«Ti aiuto» ho risposto, e ho cominciato a togliere lo scotch che fissava le alghe alle vetrate. Si sono afflosciate a terra una dopo l’altra, lasciandomi dei brillantini viola appiccicati alle dita, come se volessero restare aggrappate fino all’ultimo.
Mentre salivo con l’ascensore, ho preso il telefono e ho scritto un messaggio a Tommaso.
“Devo annullare la lezione di domani mi spiace.”
Poi l’ho cancellato e ho scritto: “Ciao Tommaso, domani non posso venire a nuotare, mi spiace. Alla prossima?”
L’ho cancellato di nuovo.
“Domani non posso venire, mi spiace. Devo andare a un funerale. Mi spiace.”
Appena ho schiacciato Invia mi sono accorta di aver scritto mi spiace due volte. La ragazza del sincro, ho pensato, non avrebbe scritto “mi spiace” neanche una volta. Per la verità, a lei neanche servivano le lezioni di nuoto.
Dopo un po’ il telefono ha vibrato e il suo nome si è illuminato, accendendo, qua e là sullo schermo, dei brillantini viola.
“Ciao, nessun problema. Mi spiace.”
“Grazie” ho scritto. Poi l’ho cancellato e ho riletto il suo messaggio. Dovevo rispondere o no? Non sapevo decidermi. Ho lasciato perdere.
Mentre posavo il telefono è arrivato un altro messaggio.
“Se vuoi vengo a prenderti a Dubai e ce la facciamo insieme fino a Sidney. Pensaci.”
Per un momento ho creduto che Tommaso mi stesse dando appuntamento al primo scalo sulla rotta per Sidney.
“Ok. Ci penso” ho scritto a mio fratello.
Una mezz’ora prima del funerale sono scesa nell’atrio. Ho aperto la porta dell’ascensore e, per un attimo, mi è sembrato di non sapere dove mi trovavo, come se, mentre ero di sopra a cambiarmi, qualcuno avesse tolto il nostro piano terra per sostituirlo con quello di un altro palazzo. Appesi alle vetrate, al posto dei festoni di Patti, c’erano dei paramenti neri e grigi, di un velluto che la luce al neon del soffitto rendeva traslucido. Mi sono avvicinata a una delle vetrate. Il drappo arrivava fino a terra, ripiegandosi su stesso e formando, sul pavimento, una pozzanghera di tessuto nero. L’ho sollevato e mi è venuta in mente Rossella O’Hara nella scena in cui strappa le tende di casa per farsi un vestito nuovo. Mi è sembrato di essere tutta sudata. Ho lasciato ricadere la stoffa e ho bussato alla finestrella di Patti. Dopo un attimo, la tendina si è sollevata. Patti ha tirato indietro il vetro e mi ha guardato interrogativa.
«Posso stare un po’ qui?» ho detto.
Patti mi ha fatto segno di fare il giro. Sono entrata, ho chiuso la porta e mi sono avvicinata alla sua postazione. Aveva messo il telefono sulla scrivania e ogni tanto pigiava in qualche punto sullo schermo.
Mi sono seduta di fianco a lei, sulla scaletta che usava per fare le pulizie.
«Mettono sempre così tanta stoffa» ho detto.
Patti mi ha guardato, poi si è rimessa a fissare lo schermo.
«Sto finendo di prendere le fragole» ha risposto. Ho annuito, come se fosse esattamente la risposta che stavo aspettando.
Per un po’, l’unico rumore nella stanza è stato il picchiettare del suo polpastrello.
Poco dopo abbiamo visto arrivare la mamma di Olivia. Era una donna piccola e minuta, con i capelli raccolti e un cappotto nero, elegante, che la faceva sembrare Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany.
Patti ha appoggiato il telefono e siamo rimaste tutte e due a guardarla.
«Poveretta» ha detto Patti dopo un po’, «non so se ha le spalle abbastanza larghe per quello che le è capitato.»
«Larghe come?» mi sono chiesta, ma non ero sicura di volere andare a fondo del suo pensiero.
Poco dopo sono scesi anche Olivia e suo fratello. Adesso che erano insieme, la somiglianza era impressionante. Avevano gli stessi occhi e lo stesso taglio del mento, e tutti e due avevano l’aria di chi ha appena rischiato di essere investito.
Olivia si è fermata di colpo e suo fratello si è girato a guardarla. Poi si è inginocchiato e le ha allacciato la scarpa. Magari in disegno era davvero una mezzasega, ho pensato, ma come fratello sembrava a posto.
«Accidenti, è rimasta su qualche stella marina» ha detto Patti. Mi sono girata: si era alzata in piedi, e, sporgendosi in avanti, stava guardando il soffitto dell’atrio.
«Stanno bene» ho detto, senza vedere nulla.
Patti si è seduta, sospirando.
«Lo so.»
«Peccato per il concorso.»
«Ah, non importa. Avevo già postato il video su Instagram.»
«Oh.»
«Ha già 150 like» mi ha detto.
Il frigo nuovo è arrivato mentre portavano fuori la bara. Stavo già per chiamare e dire di portarlo ovunque ma non lì, quando Patti ha preso in mano la situazione.
«Ci penso io, che tu oggi stai scompensata.»
È uscita e li ha fatti passare dal retro.
Dopo un quarto d’ora è scesa e ha tirato fuori le chiavi dalla tasca del grembiule. «Mi devi un favore» ha detto.
Era metà pomeriggio quando mi sono decisa a scendere al primo piano. La porta era aperta, ma ho suonato comunque e, dopo un momento, è apparsa la madre di Olivia.
«Salve. Volevo dirle che mi dispiace molto.»
«La ringrazio.»
Senza volerlo mi sono ritrovata a guardarle le spalle, e ho cercato di smettere. C’era un tavolino con degli animaletti di cristallo su una tovaglietta di pizzo e mi sono messa a fissarli. «Olivia li adora» ha detto. Con due dita ha lisciato l’angolo della tovaglietta. Un elefantino con la zampa alzata è caduto. La mamma di Olivia lo ha rimesso in piedi, ed è caduto di nuovo. Adesso si arrabbia lo rompe, ho pensato. Invece lei lo ha rimesso com’era. Le sue dita si sono ritirate lentamente, come se, allontanandosi più in fretta, avesse paura di spaventarlo. Se fossi stata al suo posto, lo avrei scaraventato sul pavimento, oppure avrei tirato via la tovaglietta di pizzo facendo cadere tutto quanto, solo per sentire qualcosa andare in frantumi.
Ma nessuno, in quel momento, avrebbe voluto essere al suo posto.
Stavo per andarmene quando è comparsa Olivia.
Aveva uno scamiciato di velluto nero su cui portava un golfino corto, pure nero, con due taschine quadrate sul davanti. Assomigliava tantissimo a sua madre e mi sono chiesta chi assomigliasse al padre.
«Olli, guarda c’è la vicina» ha detto sua madre accarezzandole i capelli.
Olivia ha annuito, grave.
«Mi spiace molto per il tuo papà, Olivia.»
Olivia ha annuito di nuovo, e mi sono pentita di averlo detto, perché avevo paura che si mettesse a piangere.
«Io vi lascio un momento» ha detto sua madre, stringendo la spalla di Olivia.
«Ti è arrivato il frigo?» mi ha chiesto Olivia dopo che sua mamma si era allontanata.
«Sì, oggi.»
«Funziona?»
«Così pare.»
«Non si sa mai. È sempre meglio controllare.»
«Puoi venire a vederlo se vuoi.»
«Adesso no, devo stare qui.»
«Sì, certo.»
«Possiamo metterci un attimo qui, così se la mamma ha bisogno mi vede.»
Mi sono seduta accanto a Olivia sui gradini del pianerottolo.
«C’erano i tuoi compagni oggi. È venuto anche Luca?»
Olivia ha annuito e si è tirata la gonna sulle ginocchia, lisciandola bene. «Ma tanto non mi piace più.»
«Oh. C’è un motivo?»
Olivia ha scrollato le spalle.
«A lui non è successo niente di brutto.»
«No. Forse no.»
Siamo rimaste in silenzio per un po’, poi Olivia ha infilato una mano nella tasca del golfino.
«Tutto ok?»
«Ho un buco. Da stamattina.»
«Si è scucita.»
«Non so come è successo. Non l’ho fatto apposta.»
«Le cose si rompono da sole, a volte.»
«Sono andata in giro tutto il giorno con un buco.»
L’ho guardata spingere il dito in fondo alla tasca, cercando di farlo uscire dall’altra parte. Stavo per dirle di fare attenzione, ma mi sono trattenuta.
«I buchi sono una cosa terribile» ho finito per dire.
Sono rimasta con Olivia finché la gente non ha cominciato ad andare via, poi sono tornata nel mio appartamento.
Due ore dopo mi ha chiamato Ernesto.
«Cosa volevi chiedermi?»
«Ti ricordi come eravamo vestiti al funerale?»
«Oddio, Viola, no. È stato più di vent’anni fa. Qualcosa di blu, o di nero. È così che ci si veste, no?»
«Ma secondo te chi ci ha vestiti?»
«Non lo so. La nonna, credo. O la zia Tina? Perché lo vuoi sapere?»
«Magari avevamo su qualcosa di orribile e nessuno ce lo ha detto. La zia non aveva il gusto della mamma.»
«Mica era una sfilata di moda. Vi, ma va tutto bene?»
«Credevo ci fosse qualcosa che mi ricordavo del funerale. Che mi ricordavo nei dettagli. Invece no. Non è strano?»
«È stato tempo fa.»
«Se mi ricordassi qualcosa nei dettagli, forse mi ricorderei come mi sentivo.»
«È successo tutto in fretta. Forse non sentivamo niente, ancora.»
Ho aspettato, per vedere se avrebbe detto qualcos’altro.
«Allora, che hai deciso per il viaggio? Pensi di venire?»
«Non lo so. Credo di sì. Ci penso ancora un attimo.»
«Vi. L’aereo non cadrà.»
«Questo non puoi saperlo.»
«È altamente improbabile.»
«Ma non impossibile.»
«Vi. Devi smetterla. Non puoi vivere così.»
«Così come?»
«Come se non ci fosse nient’altro. Come se fossi affondata e non volessi nemmeno provare a risalire per vedere cosa c’è dall’altra parte.»
Sono andata in cucina e ho aperto il frigo nuovo. Si è accesa la luce e ho sentito il fresco del suo interno venirmi incontro. Sui contenitori interni c’erano ancora le strisce adesive dell’imballaggio. Le ho staccate e le ho appallottolate una per una, lasciandole cadere sul pavimento. Poi ho allungato una mano e l’ho appoggiata sul ripiano più basso. Aspettavo di vedere, tra tutte le cose che possono succedere a un corpo, l’effetto che il freddo avrebbe avuto sulla mia mano.
Il telefono sul tavolo ha vibrato. Mio fratello ha problemi seri di insonnia, ho pensato.
Ho aperto la notifica.
Tommaso: «Come è andata?»
Sono rimasta lì un momento a fissare lo schermo, con la sensazione di non capire cosa c’era scritto.
«È andata. Grazie» ho scritto. Prima di schiacciare invia, ho provato a immaginarmi Tommaso in un posto che non fosse la piscina dove andavo a nuotare. Ci ho provato per cinque minuti.
Poi ho chiuso il frigo e ho messo entrambe le mani in tasca, insieme al telefono.
Mentre tiravo fuori le valige dall’ascensore, ho visto Patti che, nel suo stanzino, si ritoccava le unghie con la limetta.
Quando si è accorta di me, mi ha fatto segno di avvicinarmi.
«Allora siamo in partenza» ha detto.
«Oggi pomeriggio. Prima faccio un salto in piscina.»
«Beata. Qui tra poco nevica, altro che bagni in mare.»
«Tu cosa fai a Natale?»
Patti ha puntato il dito indice verso l’alto e l’ho guardata senza capire.
«La mamma di Olivia mi ha invitato.»
«Davvero?»
«Sì, beh, non proprio. Faccio una prova come baby-sitter. A gennaio la signora ricomincia a lavorare.»
«Pensavo i bambini ti stessero antipatici.»
Patti ha fatto una smorfia.
«Non sono poi così terribili. Anche se lei è un po’ saccentella e lui è fissato con le esplosioni. Sta facendo una ricerca sul disastro aereo del novantotto. Quello dove sono morti tutti, hai presente?»
Ho annuito.
«A scuola mia c’era un ragazzo che aveva una cugina che usciva con uno degli assistenti di volo. Ti immagini conoscere qualcuno che era su quell’aereo?» mi ha detto Patti, con aria incredula.
«I miei genitori erano su quell’aereo.»
«Erano sull’aereo?» ha ripetuto Patti.
Poi, accorgendosi che quella non era una cosa su cui avrei potuto sbagliarmi, si è portata una mano alla fronte. «Oh, merda. Ho fatto una cazzata.»
«No, niente.»
Mi ha guardato fisso, come se si aspettasse che quello che avevo appena detto mi cambiasse la faccia in qualche modo sostanziale e definitivo.
«Vuoi vedere cosa regalo a Olivia?» ha detto alla fine, tirando fuori il telefono dalla tasca del grembiule.
L’ho preso. Sullo schermo c’erano delle foto di uccelli esotici.
«Quello grasso, nella seconda foto» ha detto Patti.
«Vuoi regalarle il pappagallo della Nuova Zelanda?» ho chiesto.
«E perché no? Le piaceva. Così almeno avrà un po’ di compagnia.»
«È una specie protetta. Anche se fosse legale, non credo che riusciresti a procurartelo.»
«Su eBay secondo me si trova. Magari non uno nuovo, ma non è che uno se ne accorge.»
«Scusa ma non puoi fare una donazione? Sarebbe contenta uguale.»
«Mica è la stessa cosa. A me questa moda che paghi e ti arriva solo un pezzo di carta non mi è mai piaciuta.»
Ho sospirato. «Come vuoi. Buon Natale, Patti.»
«A presto.»
«E tu che ci fai qui? Non eri partita?» mi ha detto Tommaso quando mi ha visto arrivare. Era appena uscito dalla vasca e stava gocciolando.
Non avevo mai risposto al suo messaggio. Il giorno dopo il funerale, prima di andare al lavoro, avevo chiamato la piscina per dire che non sarei venuta alle ultime due lezioni. Andavo in vacanza. Non era né vero né falso.
«Una nuotata rapida. Visto che poi mi aspettano venti ore di volo.»
«Ah, ecco. Pensavo…»
«Tu invece?» ho detto, prima che potesse continuare. Stavo cominciando a sentirmi in colpa.
«Sabato. Ho fatto lezione ai bambini.»
«Giusto.»
Si è avvicinato alle gradinate per prendere un asciugamano. Io sono rimasta dov’ero.
Tommaso è tornato verso di me e mi ha sfiorato il braccio con due dita.
«E questa cos’è?» ha detto.
Ho piegato il braccio e ho guardato il punto in cui mi aveva toccato, proprio sotto la spalla.
«Oh. Erano gli adesivi di Natale. Li abbiamo tirati giù e me ne sono messa una. Così per gioco.»
Tommaso ha sorriso. «Allora bisogna provarla in acqua.»
Ho sentito un calore improvviso sotto allo sterno e ho passato il dito sui bordi della stella marina, fingendo di controllare che aderisse bene alla pelle. Per un attimo mi è venuto il dubbio di aver sbagliato tutto.
«Mi spiace di non aver risposto.»
Tommaso si è passato l’asciugamano tra i capelli.
«Sono successe troppe cose insieme.»
«Almeno per conto tuo continui a nuotare» mi ha detto, alzando le spalle.
«Ogni tanto. È una cosa diversa.»
«In che senso?»
«Sono più rilassata.»
«Perché, quando facevamo lezione eri tesa?»
«No. Sì, ma non è come pensi tu.»
Tommaso ha sorriso di nuovo. «E come lo sai quello che penso io?»
«Hai ragione. Era quello che pensavo io.»
Tommaso si è messo a ridere.
«Beh, se un giorno ti viene voglia magari me lo spieghi. Ti lascio nuotare.»
Ho guardato Tommaso allontanarsi e salire le scale degli spogliatoi. L’ho guardato attentamente, per cercare di capire che effetto mi faceva quando era lontano dall’acqua.
Non avevo bisogno di saperlo subito.