La caccia

Ana cerca di parlare più forte che può per non far scomparire il rumore della sua voce in mezzo a quello del vento.
«È alle medie con me. Mi ha detto che viene sempre così nelle foto, come se si muovesse, sfocato. Da allora lo chiamo Lo Sfocato», abbozza una risata.
Nora davanti a lei si ferma, guarda indietro, fissando un punto lontano, e chiama «Debou! Debou, siamo qua.»
Ana si ammutolisce, Nora non la sta ascoltando. È sempre a chiamare quello stupido gatto. La gente non dovrebbe andare a passeggio con gli animali se poi passa tutto il tempo ad aspettarli, pensa.
Si volta, ma non la guarda come a far vedere che non le importa. Un po’ anche per far dimenticare questa sua ultima frase sul compagno di classe, farla cancellare dal vento, come se non l’avesse mai detta, e Nora non l’avesse ignorata.
Fissa la spiaggia e le onde dietro di loro. È diverso dai posti di mare a cui è abituata. Sono in Francia e quello è l’oceano: è freddissimo, e anche se è maggio non si può fare il bagno. Il gelo ti entra nelle ossa e non senti più niente, ti brucia la pelle fino al cuore. Non riesci più nemmeno a nuotare, gliel’ha detto sua madre.
A pochi metri da loro c’è una massa rosa e gommosa, un’altra poco più in là: la corrente porta a riva i cadaveri delle meduse. Sono grandi come la sua gamba, e le teste potrebbero contenere quello stupido gatto tutto intero.
Un’onda rigira la carcassa di una medusa come un pollo allo spiedo, il mare la scuote e ne fa muovere i tentacoli. Sembra ancora viva.
«Eccolo! Siamo qui.»
Il gatto esce dalla sterpaglia ai lati della spiaggia e trotterella verso di loro.
«Dovresti insegnargli a cacciare le anatre, piuttosto.»
«Debou non può, è troppo piccolo,» Nora ride e ci pensa su. «Dovrei prendere una lince. Una lince potrebbe cacciare le anatre per noi, e potremmo farle arrosto.»
«Ucciderebbe qualche bambino.»
«Faremmo arrosto anche i bambini che la lince cattura, saranno tenerissimi, come… come maialini! Sapranno anche di latte, ovvio, perché avranno mangiato latte tutto il giorno, tutti i giorni da quando sono nati. Teneri bambini da latte, e li mangeremo con le patate e la salsa.»
Ana si sforza di ridere: Nora è strana, a volte Ana è convinta che le dica quelle cose apposta per farle paura.
È lì in Bretagna a casa di Nora, in vacanza. Il padre di Ana è un vecchio amore di sua madre, e hanno pensato sarebbe stata una bella idea farle passare l’estate insieme dato che hanno più o meno la stessa età. Invece è una seccatura: sono in mezzo al nulla, laggiù, Ana è in mezzo al nulla con Nora la matta.
Sembra che lei non vada alle medie come le ragazze normali, con dei compagni di classe, con dei ragazzi che le piacciono e che la prendono in giro. Sembra che non abbia nemmeno delle amiche: durante le settimane passate insieme non ne ha nominato neanche una con cui potrebbero incontrarsi.
«Vieni, andiamo su quegli scogli a vedere se ci sono le cozze», Nora la prende per mano.
Continuano ad avanzare sulla spiaggia contro vento. La formazione di scogli neri davanti a loro è bassa e non se ne scorge la fine. Sembrano bestie antiche, in agguato sulla sabbia ad aspettarle.
È un paesaggio marcescente, che sa di sale, battuto continuamente da un vento che non si vuole fermare. Un odore di vita e di morte, pensa Ana, di morte stracolma vita.
Nora ha ormai raggiunto la fine dello scoglio e guarda il panorama come un conquistatore, con le braccia sui fianchi, fiera.
«Hai visto, Ana? Non c’è più il mare.» Sorride soddisfatta, davanti a loro, dove fino a dieci minuti prima c’era l’oceano, ora c’è solo sabbia bagnata, una luna umida che pare estendersi per chilometri.
«Come è possibile?» chiede Ana
«È la marea.» Nora salta giù dagli scogli sulla nuova spiaggia, molle e instabile. Il mare si è ritirato e ha rivelato tutto quello che stava nascondendo sotto di lui. Vicino ai sassi alcune meduse muovono i tentacoli in fin di vita.
Le alghe, afflosciate su un lato, riposano a terra dopo una danza frenetica.
Un granchio rosso apre e chiude le chele nell’aria, ma quando si avvicinano smette di muoversi, sembra morto.
«Senza acqua i granchi muoiono?» Ana non viene da un posto di mare, non sa tutte quelle cose che Nora le spiega ogni giorno.
«Fa finta», dice Nora
«Come “fa finta”?» Ana cerca di spostarlo con un bastoncino.
«Si finge morto, perché ai suoi predatori piace mangiare cose vive.»
Ana, allora, pensa che è facilissimo sfuggire alla morte. Basta chiudere gli occhi, trattenere il respiro, rimanere immobile. Il bambino con la lince non ce la farebbe mai. I bambini ancora piccoli sono stupidi, piangono sempre e non sanno controllarsi: la lince capirebbe subito che è vivo.
Nora la chiama: «Guarda! Queste sono ancora più speciali delle cozze.»
Quello scoglio in particolare è decorato da un’infinità di conchiglie bianche, ben incollate alla roccia.
«Sono ostriche. Ascolta.»
Entrambe si avvicinano per sentire il gorgoglio, un canto sottile. Ana sente un fremito lungo la schiena, somigliano ai sassi, ma sono vive. Un impasto di alghe e melma, come mastice, le tiene ancorate tra loro e alla pietra, ma dentro qualcosa si muove, e respira.
Nora si sposta i capelli color pece da un lato e le narici di Ana si riempiono del suo odore, ancora più forte di quello del mare.
«Ti sfido a mangiarne una.»

Il gatto non sembra a suo agio con le zampe nell’acqua, continua a miagolare lamentandosi.
Nora lo prende in braccio e lui affonda le unghie nei suoi vestiti e nella pelle arrampicandosi fino alle spalle. Ecco perché è sempre piena di graffi, pensa Ana.
«Non rispondi? Lo so che sei una principessina e mangi solo al ristorante o quello che ti cucina tua mamma.» Nora la incalza.
Ana continua a fissare quella specie di sasso, non immagina cosa ci possa essere dentro e come possa fare quel rumore.
«Non è vero: certo che le mangio.»
Ne afferra una e tira, cercando di staccarla dalla roccia, ma la mano scivola via vuota. L’ostrica non si stacca. Ci riprova mentre la sua amica la guarda divertita.
«Guarda: ti sei tagliata tutte le dita. Sei proprio tonta.» Nora tira fuori dalla tasca un piccolo coltello, fa leva tra la conchiglia e lo scoglio, e lentamente la strappa via dalla roccia. I suoi occhi diventano piccoli come due fessure, con la lama trova la ferita sottile in cui le due valve si incontrano e le fa schiudere come un fiore.
Porge ad Ana la metà piena sul palmo aperto.
Petali di carne stanca, bianca e bagnata.
«Che schifo.» Ana non riesce a crederci che quella cosa si mangi. Nora la sta prendendo in giro anche questa volta.
Nora la guarda sorridendo e mangia tutta quella roba molle e umida.
Si asciuga la bocca con la manica del maglione, e stacca con lo stesso coltello un’altra ostrica per Ana.
«Sei principessina oppure no?»
Ana appoggia le labbra sulla conchiglia, sa di marcio e di sale. Si fa scivolare in bocca il frutto del mare grigio pallido, come un cadavere. Non si ricorda di aver mai mangiato qualcosa di più morbido e viscido. Cantava quando era ancora attaccato allo scoglio, ora non emette nessun suono, è inerme e Ana lo mastica e lo ingoia, poi risucchia l’acqua salata che è rimasta.
La conchiglia è stretta e puntuta, e mentre cerca di afferrare con le labbra l’ultimo pezzo di carne si taglia un dito. Un taglio piccolissimo, una goccia di sangue che si diluisce nell’acqua ancora rimasta sulla madreperla e ne colora tutta la superficie. In quel paesaggio grigio e verde scuro quel rosso sembra l’unico dettaglio a colori in un film d’epoca, ed entrambe sgranano gli occhi per poterlo vedere meglio.
«Devi disinfettare il dito.»
Nora prende delicatamente il dito di Ana e se lo porta alla bocca, succhia il sangue e Ana può sentire la punta della sua lingua, morbida come l’ostrica, e i suoi denti sulla pelle. Sente la falange diventare caldissima.
«Va bene, sto bene.» Ana tira via la mano e il dito continua a scottare.
«Come vuoi. Schiaccialo, così il sangue smetterà di uscire», le risponde Nora.
Ana rimane un attimo a guardarla, senza sapere cosa dire: i capelli di Nora volano dappertutto, i suoi occhi sono talmente neri che non riesce a scorgerne la pupilla, all’interno. Forse è per questo che non capisce mai a cosa sta pensando.
«Ma…» Ana vorrebbe chiederle qualcosa, ma il gatto è saltato giù dalle spalle di Nora e si è andato a nascondere dietro uno scoglio, e lei non la sta più guardando: se parla non la ascolterà.
Il cielo ha iniziato a gorgogliare.
Ana inizia a sentir pizzicare il sale sulle caviglie e sulle cosce. L’acqua è entrata anche dentro le scarpe, ha superato i calzettoni e ora le inizia a darle fastidio alle punte dei piedi.
Entrambe hanno freddo, ma lei non vuole dirlo. Si copre la pelle d’oca sulle braccia, cingendosi le spalle, ma con le mani bagnate è ancora peggio.
Nora parla per prima. «Torniamo indietro, sta arrivando la tempesta. Debou ha paura dei tuoni, e se rimane fuori potrebbe scappare e perdersi.»

***
Il vento soffia fortissimo, entra dentro, sotto il tetto, tra le ossa della casa. Un midollo ululante che, lo sanno entrambe, sentiranno per tutta la notte.
Ana e Nora dormono in due letti di legno gemelli, nella stessa stanza al piano di sopra, in quella casa che scricchiola tutta e odora di muffa.
Ana sogna di essere mangiata dai capelli di Nora.
Muovendosi la aggrovigliano come radici infestanti, e strisciano come i tentacoli delle meduse, a cercare la parte più nutriente di lei.
Non è spaventata, gioca loro, muove lentamente le braccia e le gambe a cui si stanno aggrappando: le avvolgono il corpo nudo, occupano ogni centimetro di pelle che ancora si vede.
Eh no, gli dice. Di lì non si passa. Arrivano alle orecchie ed ecco che uno ci si infila dentro. Bello, vero? Si sente un bel suono lì dentro. Credo che siano le mie canzoni preferite. Ana cerca di urlarglielo, ma i capelli di Nora non la sentono: in realtà non può più parlare, altre ciocche la stanno strozzando.
Le canzoni. Le mie preferite, avete capito?
I capelli non rispondono, ma se prima sembravano piccole radici avventizie, ora sul timpano c’è il tronco di un albero.
No, in bocca no, grazie.
L’hanno trovata, sì sì. D’altronde trovi delle piccole orecchie (perché quelle di Ana sono piccole orecchie) e non vuoi trovare quella bocca gigante? Già spalancata perché credeva di riuscire a parlare. Grazie tante.
Quelle sono le cose che ho mangiato, i baci che vorrei dare, quelli che mi sono data sul braccio per allenarmi, immaginando che fosse qualcun altro, le parole che ho detto e che lì ancora risuonano. Hanno lasciato un buon sapore?
Lenti, i capelli la prendono tutta.
Ecco gli occhi e voilà. E senti come stringono intorno alle mani…lì non ci sono buchi, come volete entrare? Volete raccogliere sulla mia pelle i resti di ogni pelle che ho toccato? I fantasmi delle croste di tutte le cadute che sono riuscita a parare?
L’unica cosa che pensa, è che in fondo, le conviene fingersi morta.

***

È pomeriggio, entrambe indossano un costume intero e sono sedute sulla spiaggia.
«Questa caletta i turisti non la conoscono.»
Nora indossa di occhiali da sole, si butta indietro sulla sabbia, senza asciugamano, passando le dita tra i granelli che scottano.
Il gatto quella mattina non l’hanno trovato e sono sole.
Ana si spalma la crema solare. Guarda Nora distesa: una murena velenosa con il costume nero che, bagnato, sembra la pelle di un serpente al sole.
Ana guarda l’oceano all’orizzonte: oggi è argenteo e mille scaglie di luce si muovono all’impazzata sulla superficie, come banchi di pesci sott’acqua.
«Tu hai mai baciato qualcuno?» Mentre lo dice Ana trattiene il fiato, appena finito le sfugge un respiro profondo e pesante.
«Sì.» Argomento chiuso. Nora non si toglie gli occhiali da sole e non si volta a guardarla.
«Sì?» Ana sgrana gli occhi.
«Ti ho detto di sì, non ci senti?»
«E chi?»
«Chi non te lo dico»
Ana ridacchia, e rilassa i muscoli del viso, Forse non è vero che ha già baciato qualcuno, è solo una bugia.
«Andiamo a nuotare» Nora si alza in piedi.
«L’acqua è gelata», ma Ana sa già che tanto lo farà, nuoterà con lei fino a quella maledetta boa anche se non ne ha nessuna voglia.
«Se nuoti non è fredda, tonta. Nuoteremo velocissimo perché è una gara. Sai nuotare?»
«Sì, so nuotare.»
«Bene, allora sbrigati.»
Si tuffano insieme, al tre di Nora. L’acqua è ghiacciata e trasparente, Ana vede le alghe che danzano, e quasi nessun pesce. Teme di incontrare le meduse giganti che vede sempre sciogliersi sulla spiaggia, ma Nora le ha assicurato che a sfiorarle sentirebbe solo la puntura di un’ortica.
Dopo poco non riesce più a vedere il fondale di pietre e sabbia sotto di loro, se guarda giù è tutto nero.
A ogni respiro fuori dall’acqua gli occhi bruciano per la luce e l’azzurro del cielo, e il suo sguardo ritorna subito nell’abisso.
Non vede più Nora, ma solo la boa gialla e bianca che oscilla sulla superficie. Mancano solo dieci metri e muove i piedi più veloce che può, non per arrivare prima, ma per non farseli afferrare dalle meduse.
Tocca la boa, cerca le maniglie per aggrapparsi.
Una stretta le afferra la caviglia e la tira giù, Ana urla, ma in pochi secondi finisce sott’acqua. Nora sale sopra di lei, con i piedi le spinge le spalle verso il basso cercando di bloccare i suoi movimenti.
Ana sott’acqua apre gli occhi e guarda in alto: il sole attraverso le onde sembra un fiore. Non riesce a sentire nessun rumore, deve respirare. Morde una caviglia a Nora più forte che può e l’acqua salata le brucia la lingua e la gola.
Finalmente riesce a risalire e a spuntare in superficie all’altro lato della boa.
Si stropiccia gli occhi per cercare di togliere il sale e la risata di Nora la assorda e la acceca.
«Non riuscivo a respirare!»
La spintona, le tira un calcio, le mette una mano sulla testa per spingerla giù, sente i suoi capelli neri sotto le dita, liquidi come l’acqua. Nora ride, continuano a spintonarsi, e Ana può respirare l’odore del suo alito affannato.
«Piantala!»
Nora ride. «Sei stata bravissima», le dice mentre sorride.

***

Il tempo cambia spesso in Bretagna, ha iniziato a piovere quando ancora erano sul bagnasciuga a recuperare le loro cose.
Ora sono riuscite a rientrare in casa, crisalidi a piedi nudi, avvolte negli asciugamani di spugna.
Dalle grondaie scendono cascate d’acqua.
«Non ho mai visto piovere così forte», Ana si asciuga i capelli.
«È una tempesta, mio padre sta cercando Debou», Nora è visivamente preoccupata, è la prima volta che Ana la vede così da quando è arrivata a casa sua.
Guardano dalla finestra: la fronda dell’albero in giardino si muove senza sosta, l’oceano poco più indietro è arrivato fino all’argine dell’alta marea, la spuma delle onde schizza fino al loro prato.
Dopo ore il padre di Nora torna a casa bagnato fradicio. Non ha trovato il gatto da nessuna parte. Nora non parla. Prova a scorgere col binocolo dai vetri delle finestre, a uscire fuori in balcone, a scappare di casa, ma suo padre non glielo permette, e si assicura di stare sempre accanto a lei per impedirle di uscire sotto la pioggia.
La afferra per un braccio e Nora tira fortissimo per riappropriarsene. Muove i piedi per terra senza riuscire né a spostarsi, né a divincolarsi dalla sua stretta.
«Andate a farvi la doccia. Per quando avrete finito Debou sarà tornato.»
Nora protesta, lo insulta. Poi prende Ana per mano e la porta di sopra, non riuscirebbe mai a superare suo padre e ad arrivare alla porta.
Le scale scricchiolano sotto i passi pesanti di Nora. «Lo odio quando fa così»
Entrano nel bagno, la puzza di muffa lì per Ana è insopportabile e ogni volta che può usa il bagno al piano di sotto, ma ora non può dirlo.
La parte in basso della porta è marcia, e in alto, sopra lo specchio del lavandino ci sono fantasmi verdi che hanno infestato tutto l’intonaco e che sembrano voler corrodere la casa.
Niente si asciuga, e l’umidità della doccia resta nella stanza anche per giorni, finché il padre di Nora non si ricorda di asciugare con uno straccio.
«Tieni», Nora le porge un asciugamano, «fatti la doccia solo tu.»
«Tu non ti lavi?» Ana prende in mano l’asciugamano pulito ma rimane lì a fissarla.
«No. Lo odio, e so che non gli piace quando mi siedo a tavola con i capelli che sanno di sale»
Prende una lunga ciocca e se la mette in bocca. Ana la guarda, e pensa che l’unica cosa che vorrebbe è che Nora uscisse da lì per stare da sola, sotto l’acqua calda.
«Vuoi assaggiarli?»
Le porge una ciocca dei suoi capelli.
«No.»
Nora le mette i suoi capelli proprio sotto il naso, e Ana lo sente, l’odore della salsedine e del marcio delle alghe. Vorrebbe morderli fortissimo fino a farli sanguinare, mangiarli come loro hanno mangiato lei nel suo sogno. Succhiare il sale fino a farsi venire sete.
Invece le chiede: «Vuoi venire a trovarmi in Italia?»
Nora la guarda stranita.
«Cioè?»
«Cioè venire in vacanza dove vivo io.»
Nora le sorride.
«Viene anche Debou?»
Ana si prende un attimo per risponderle.
«Sì certo.»
Nora sembra felice, ma non aggiunge altro. Se ne esce dal bagno e chiude la porta dietro di lei, Ana può sentirla saltellare sulle scale.

Più tardi Ana scende al piano di sotto con la tuta e i capelli ancora bagnati.
Si sporge in cucina e vede Nora e suo padre intenti a pelare le carote. Entrambi hanno gli stessi occhi concentrati, che ora sono due fessure, la stessa espressione che Nora aveva sulla spiaggia mentre faceva schiudere le ostriche con il suo coltello.
La luce del lampadario brutto, che dondola su di loro, ne evidenzia ancora di più i lineamenti. In quelle ombre marcate sul viso dei due Ana si accorge che hanno lo stesso naso, gli stessi vuoti di carne e di pelle sulle guance che definiscono gli zigomi di entrambi.
Decide di non disturbarli, e va verso il salotto. Vicino all’entrata sente miagolare e il rumore di unghie sullo stipite.
Si volta e scorge in cucina Nora e suo padre ancora di spalle, ora lui ha detto qualcosa e Nora sta ridendo.
Ana apre e vede Debou davanti a lei.
Il gatto si struscia bagnato sui suoi pantaloni e cerca di infilarsi tra le sue gambe.
Ana lo blocca e lo spinge via.
Richiude la porta lasciandolo fuori.