Notte di terra

[Anticamera della morte, nascita: quarto capitolo. Leggi gli altri]

La legna ardeva nella stufa e Chiara stringeva fra le dita gelate una tazza di tè caldo. Era tè scaduto, l’aveva trovato per caso in fondo a un ripiano della credenza. Rosa non beveva tè e nemmeno tisane, li considerava rimedi buoni giusto per il mal di pancia. Aveva comprato quelle bustine chissà quando, forse proprio in occasione di una convalescenza. Ma Chiara aveva voglia di tè caldo, cosa poteva farle di male, dopotutto. Rosa armeggiava fra le pentole della cucina. Il vicino le aveva portato un pezzo di manzo abbastanza grosso e alcune cartilagini.
Chiara continuava a tenere lo sguardo fisso sulla stufa. Non sapeva cosa fare, se parlare di ciò che aveva visto a qualcuno oppure no. Forse avrebbe dovuto dirlo alla polizia, poteva servire per le indagini sul fatto. Certo, quell’ammasso di pezzi di bambole non era normale, e non c’era nessuna spiegazione logica al fatto che si trovasse in quel posto. Chissà da quanto tempo era lì. Il fetore di quel luogo le aveva impregnato le narici al punto da imprimersi nel suo ricordo. Le sembrava di sentirlo ancora. Socchiuse gli occhi e infilò il naso nella tazza, per annusare il vapore caldo e profumato. C’era anche un altro fatto che avrebbe faticato a spiegare a chiunque. Perché si trovava lì, perché ci era andata? Non ne era sicura, ma sospettava che avrebbero potuto quantomeno accusarla di effrazione o qualcosa del genere, violazione di proprietà privata. Immaginò che l’avrebbero intervistata, che Rosa l’avrebbe vista di nuovo sul canale locale e le avrebbe chiesto spiegazioni, spaventata e confusa. Il suo nome sarebbe stato nuovamente ricollegato al fatto e allora la polizia forse avrebbe voluto sapere di più, l’avrebbe interrogata. Cosa c’entrava lei, dopotutto, con quella storia?

La notte fu invasa dagli incubi. Correva, in un campo, con accanto il cane. A un certo punto lui spariva nel canale. Chiara lo chiamava, gridava, ma non riusciva a ritrovarlo. Poi eccolo ricomparire, ricoperto di terra. Aveva una voce umana, vagiva come un neonato, poi tra il pelo arruffato del suo muso cresceva il volto di un bambino, con i denti e gli occhi scuri, neri, marcescenti. E Chiara si trovava d’un tratto coperta di sangue, il suo ventre squarciato in orizzontale buttava fuori flutti di liquido rossastro, appiccicoso e caldo, impossibile da contenere.

Il giorno arrivò presto. Chiara si risvegliò sudata, con la pelle irritata dal contatto con la coperta di lana fatta a mano da Rosa. Andò in bagno, si lavò la faccia con l’acqua fredda. Aveva le palpebre gonfie e la bocca secca, come se durante il sonno avesse pianto. Era lunedì. Sarebbe dovuta tornare in città. I colleghi d’ufficio, i faldoni impilati sulla scrivania, il computer vomitante e-mail e notifiche le apparivano come immagini stonate provenienti da un’altra dimensione. Scese al piano terra, Rosa dormiva ancora. Mise sul fuoco la vecchia caffettiera e bevve due tazze di caffè nero nel silenzio della cucina. Quindi raccolse la sua borsa da terra e si avviò verso la Panda parcheggiata in cortile. Tutto intorno era silenzio e nebbia. Mettendo in moto, si sentì definitivamente strappata a un sogno. Iniziò a guidare verso la realtà, verso il rumore, verso il mondo degli umani, abbandonando quelle terre dimenticate, affossate dietro l’argine del fiume, inghiottite dalla foschia.

Tutti i giorni, in ufficio, erano uguali fra loro. Come impiegata, Chiara non si distingueva né poteva essere giudicata peggiore degli altri. Semplicemente, quello che faceva non le interessava. Si trattava di commutare il tempo in denaro. Tanto tempo per poco denaro, a rifletterci. Ma aveva uno stipendio regolare e il venerdì di solito poteva staccare a metà pomeriggio e fingere che il suo piccolo e buio ufficio pieno di computer e polvere non esistesse più, almeno per un po’. E questo era esattamente ciò che stava iniziando a fare in quel momento, guidando verso la Bassa, con la sua sacca buttata sul sedile del passeggero, tornando finalmente alla casa di via Matteotti.
Si andava ora verso la metà di dicembre e le giornate si estinguevano in fretta. Al suo passaggio, i campi, la strada e le case che punteggiavano la pianura erano immersi nell’oscurità.