E allora nuota, Pinna

Se lo guardassi da lontano, vedresti un punto rosso su un fondo bianco. Come qualcuno che se n’è andato da un pezzo verso una meta di foschia, o di luce cieca.
La baia di Puck è ghiacciata e Bart Piotrowski la sta fissando.
Respira lungamente e la sua mole di quercia si muove piano. Lo senti mentre si schiarisce la voce dentro quella bocca minuta, stretta tra le guance larghe e gonfie, sempre rosse come dopo una corsa. I suoi occhi piccoli adesso guardano il molo.
È nato a Wiele, nella Pomerania centrale, ma ogni estate, sul sedile posteriore della Syrena dei suoi, attraversava tutta la voivodatale per Kowale più la superstrada fino a Puck, e passava un mese al mare.

Quando compì undici anni, suo padre Andrej Piotrowski spese gli ultimi 1700 zloty per comprare un francobollo con la faccia baffuta del presidente Lech Wałesa stampata sopra. Seguiva quell’uomo fin dai tempi dei Solidarność, con la giacca da marinaio e il crocifisso al collo, agitando in aria l’indice e il medio in segno di vittoria; pianse quando lo arrestarono nell’ottantuno e pianse quando vinse le elezioni libere, nove anni dopo. Ma quel giovedì di settembre non seppe che farsene della sua democrazia se gli restavano 1700 zloty nel portafogli.
Scrisse sul retro di una busta bianca il nome di Aniela Piotrowski, via Fratelli Cervi 3, Rozzano, Italia. La faccia di Wałesa sparì dentro la cassetta rossa della Poczta e lasciò la Polonia un mese prima di lui, della moglie e di Bart.

Ogni anno, per le feste, tornano a Wiele, nella grande casa a graticcio dei nonni Piotrowski. Non si trattengono mai più di una settimana, è il tempo che basta per andarsene con la voglia di tornare.
Sono giornate calde di sonni digestivi e lunghe chiacchiere, però, questa mattina, la conversazione è durata poco. Quando Bart è uscito, il nonno stava spalando la neve dal viottolo e voleva sapere dove andasse così presto. Lui glielo ha detto.
E che ci vai a fare?
Vado a riprendermi una cosa.

Ora è qui, con la giacca rossa fino alle ginocchia, che guarda il molo. Sta pensando a Pinna, un bambino senza un dito che dodici anni fa era lui.
Pinna perché alla mano destra manca il pollice, non è voluto crescere. Oligodattilia vuol dire che all’estremità del polso hai quattro raggi lunghi e uguali come la ventrale arrotondata di un luccio.
In questo istante Bart ha la sua pinna in tasca e vuole salire sul molo di Puck.
Muove un passo e gli altri a seguire. Sale adagio i gradini in larice del pontile e si ferma, la sinistra sul corrimano levigato.
Proprio al fondo c’è il Restauracja di Piotr, con gli oblò bordarti di verde e i pesci arancioni dipinti sui muri, cucina solo pesce fritto e, anche se è inverno, tiene una finestra sempre aperta. Lo osserva, gli sembra lontanissimo.
Si guarda attorno ed è solo. L’ultima volta che è stato qui era agosto e c’erano molte persone, ognuna con dodici anni meno di adesso.

Senti i suoi passi grandi mentre cammina fino al termine delle assi, di lì in poi solo mare bianco e asciutto, fino alla fine del golfo, dove le onde sono già sveglie.
Si siede sull’orlo del pontile e la sua testa crespa di rame scuro si volta e non vede nessuno. È solo. Punta un piede sulla lastra opaca che ricopre la baia e buca quell’acqua fossile per lasciarla respirare. Sta guardando il suo volto riflesso lì dentro e sa – lo sai – che deve essere più o meno uguale alla sua faccia nell’acqua quel giorno, quando si agitava sgomenta tra le onde grigie.
E allora nuota, Pinna.

Bart alza la testa piano e si volta di nuovo, non c’è nessuno, non c’è nessun bambino, neanche uno tutto biondo pettinato a modo, che lo odia e che ride forte, che china quella conchiglia rigata di capelli chiarissimi sopra un rotolo di corde dure e gli lega le gambe e lo spinge nell’acqua. Che lo guarda con gli altri mentre lui conta le quindici punte della chiesa di San Piotra i Pawła per rimanere a galla e che lo tira fuori dopo troppo non so quanto tempo come una rete rigonfia di spigole che si sfonda a terra umida di occhi e di bocche tradite.

Adesso è qui sul pontile e non accade niente.
Si alza, lo vedi, a fatica. Ritto sulla schiena guarda il mare e la chiesa lontana, conta le quindici punte, guarda i lampioni a campanula verniciati di blu, il pontile, gli oblò, gli scalini, le case pastello con gli infissi bianchi, la statua del generale Josef Haller e la città di Puck e tutta la penisola di Hel. Vuole vedere tutto, di nuovo. E portarselo via così, con dodici anni di più, insieme a questo inverno e al suo viso barbuto, che non è più quello di quando era bambino.
Cammina sulle sue gambe, torna sulla spiaggia ed è asciutto. L’ultimo ricordo del molo sarà questo qui.

Tu sei seduto al tavolo, col cappotto già indosso e i capelli biondi sistemati all’indietro a righe dritte e sottili. Piotr sta riordinando lo scaffale dei liquori, alza lo sguardo e non capisce perché hai lasciato il tuo Makrela a metà. Gli dici Un’attimo, vado e torno, lascio tutto qui. Apri la porta ed esci dal ristorante, Bart c’è ancora. Lo guardi camminare sulla spiaggia, non è lontano, qualche gradino, poi il molo e ancora qualche gradino, ti ci vorrebbe meno di un minuto.
Però spingi la porta e rientri. Quando sfili la sedia dal tavolo fa un rumore troppo acuto; ti sistemi e guardi fuori dalla finestra. Bart cammina lentamente, si volta verso il mare. Lo segui con gli occhi, fin che puoi.

Oggi è l’ultimo giorno dell’anno e Bartosz Piotrowski si è ripreso il molo.