Quello fu l’anno in cui il signor Watanabe rivide l’inverno.
Era dalla fine della guerra che l’inverno non faceva la sua comparsa nella grande città: solo i vecchi ricordavano la neve, e nelle loro memorie non riuscivano a scioglierne il suono da quello degli aerei. Poi arrivò l’estate, e con l’estate le bombe, e con le bombe la pace. I morti vennero seppelliti e i grattacieli crebbero sulle macerie, ma i grattacieli si sono spinti tanto in alto, sostiene la signora Masuda, che la neve l’ha vista da ragazza, che il cielo si dev’essere offeso e la neve non è più caduta da allora.
La grande città da allora è sempre stata immersa in un torpore nuvoloso, che da marzo a maggio poteva dirsi primavera giusto per i tre mandorli asfittici che fiorivano ai lati del viale principale. Poi, a giugno, il cielo calava sulla città una cappa d’afa estiva che si allungava infine in un autunno livido ed interminabile.
Il signor Watanabe però diceva che la grande città è il luogo ideale per praticare il mestiere di barbone.
Il signor Watanabe lo ricordo bene anch’io, sebbene fossi tanto giovane all’epoca, che aspettava composto la sua elemosina accanto all’ingresso della trattoria Masuda, bello e pulito come un impiegato.
La signora Masuda gli portava una scodella di soba piccante ogni tanto. Lei continua a ripetere che quello fosse il piatto preferito del signor Watanabe, ma il signor Watanabe stesso più di una volta mi ha confessato in gran segreto che preferiva la soba un po’meno piccante, proprio come la cucinava sua moglie, prima dell’incidente. Però il signor Watanabe moriva di vergogna al solo pensiero che la signora Masuda, così cara e gentile, non si sentisse apprezzata a sufficienza: così, quando la signora Masuda si vantava della sua soba piccante, il piatto preferito del signor Watanabe, mi sono sempre limitata ad annuire.
Meiji-dori, che poi è la nostra via, è una parallela del viale principale, a cui è appoggiata come un bubbone, e in primaveraestateautunnoebasta rimane sempre in ombra, perché è la via a luci rosse della grande città. O forse è la via a luci rosse della grande città perché rimane sempre in ombra: in città a volte è difficile distinguere tra causa ed effetto.
Meiji-dori risucchiava gli scarti del viale principale e tutti gli scarti li accoglievamo noi di Meiji-dori, quando volevano mangiare una soba notturna alla trattoria Masuda, che è aperta dalle dieci di mattina alle quattro di notte, o fare due chiacchere con noi ragazze dopo una giornata in ufficio.
E poi c’era la celebrità di Meiji-dori, che era il signor Watanabe, e il signor Watanabe era la celebrità di Meiji-dori perché col suo completo e il suo aspetto sempre lindo e ordinato era proprio un bel barbone. Ad ogni modo, c’è da dire che era famoso anche prima di trasferirsi in Meiji-dori, perché nell’ottantanove era finito in televisione per aver ammazzato la moglie.
La signora Masuda vuole un gran bene al signor Watanabe e sostiene che la moglie sia volata giù dal balcone di sua sponte.
La Corte Distrettuale della grande città invece ha dichiarato che si trattava di omicidio colposo e l’ha condannato a cinque anni.
Il signor Watanabe, dal canto suo, parlava di “incidente” e dopo i suoi cinque anni di carcere si è trasferito in Meiji-dori, cominciando così la sua carriera di barbone. Sono abbastanza sicura che si sentisse in colpa per l’incidente, anche se lo chiamava sempre così e non, ad esempio “omicidio”, perché quando uscì di prigione scelse di trasferirsi in Meiji-dori e su Meiji-dori non si affaccia nessun balcone.
Mi capitava di scambiare qualche parola con il signor Watanabe quando, per ingannare l’attesa tra un cliente e l’altro, prendevo un ramen da asporto alla trattoria Masuda (la soba piccante no, perché era davvero troppo piccante, checché ne dicesse la signora Masuda). Non ci ho mai discusso dei massimi sistemi, anche perché non avevo tutto questo tempo tra un cliente e l’altro, per mia fortuna, ma ci capitava spesso di parlare dell’inverno, e soprattutto della neve.
Io la neve non l’avevo mai vista, perché non avevo mai lasciato la città, e comunque ero troppo giovane per aver visto la guerra, e con la guerra la neve. Il signor Watanabe invece, quando aveva ancora le bambine, le portava ogni inverno in montagna ad Hakone, dove la neve pare sia così tanta che ci puoi fare i pupazzi e la guerra di palle di neve. La neve gli ricordava le bambine, credo, e mi capitava spesso di sorprenderlo, soprattutto verso fine Dicembre, con lo sguardo piantato nella nebbia, a cercare una qualche crepa bianca nel cielo immutabilmente scuro e tiepido.
Ovviamente la storia del signor Watanabe la conoscevamo tutti perché tutti guardavamo la televisione, anche noi di Meiji-dori, che sarà pure una via un po’ equivoca, ma non è certo isolata dal resto della città. A fine anni Ottanta la trattoria Masuda aveva una televisione, e noi di Meiji-dori spesso ci aggiornavamo sulle notizie della grande città proprio là, magari davanti ad una tazza fumante di ramen. Ci piaceva commentare tra noi i casi di cronaca più scabrosi, e la storia del signor Watanabe per noi fu una manna dal cielo. Aveva tutto quello che una notizia di cronaca ben confezionata richiede: lei spinge le figlie giù dal balcone, lui la aggredisce, lei cade dal balcone, se spinta volontariamente o no non si è ancora capito, si butta dal balcone pure lui, ma sopravvive e finisce in carcere. C’erano quelli che fra noi davano ragione a lui e pensavano che non avrebbe dovuto fare un giorno di prigione (e la signora Masuda era fra questi), altri che si appellavano alla razionalità e sostenevano che, siccome dal balcone la moglie ce l’aveva buttata lui, avrebbe dovuto scontare una giusta pena.
Io all’epoca ero solo una ragazzina all’inizio della carriera e le questioni legali m’interessavano poco. Piuttosto, ero avida di dettagli sulla figura di lei, questa donna che prende e butta le figlie così, dal balcone: pareva che dietro alla sua follia ci fosse un amante che le aveva fatto il lavaggio del cervello e questo mi mandava in brodo di giuggiole, come tutte le storie di tradimenti.
Fatto sta, comunque, che quando il signor Watanabe si trasferì da noi, anche se ormai erano passati anni dal suo momento d’oro di celebrità, facevamo tutti la fila per vederlo, e la signora Masuda iniziò da subito a coccolarselo come un figlio.
Il signor Watanabe diceva spesso che la grande città è il posto ideale per fare il barbone perché è calda, tutta nuova e funzionale, ma io aggiungerei che non è male neanche per la carriera di accompagnatrice. In primo luogo, noi ragazze possiamo mettere la minigonna tutto l’anno, e questo trova riscontri molto positivi in termini di afflusso di clientela. Inoltre, la grande città ribolle ogni sera di impiegati puliti e frustrati, tutti con tredici ore di lavoro sul groppone da dimenticare.
Quelli sì che sono pane per i miei denti. Quelli che hanno una moglie che li aspetta a casa non hanno voglia di rivederla prima che si sia addormentata, quelli che sono da soli a casa ci tornano solo dopo essersi ubriacati talmente tanto da non accorgersi che le loro camere da letto sono vuote.
A volte mi chiedo se anche il signor Watanabe fosse uno di loro, e se prima di fare l’assassino, e poi il barbone, tornasse a casa ogni sera dopo che moglie e bambine si erano addormentate.
Ad ogni modo, alla fine l’inverno arrivò anche nella grande città.
La signora Masuda crede sia successo perché a dicembre di quell’anno avevano smantellato il vecchio cimitero per far posto ad altri palazzi, e il vecchio cimitero era l’ultima cosa in città rimasta così com’era da prima delle bombe, oltre, forse, alla signora Masuda stessa – ma se è per questo la signora Masuda, che man mano che invecchia è sempre più incline alle farneticazioni, è anche convinta che alla sua morte la grande città verrà inghiottita da un terremoto. Secondo tutti noi di Meiji-dori lo dice solo perché vuole che le auguriamo lunga vita.
Io la ricordo bene quella giornata, perché avevo il vestitino di ciniglia fine fine che mi faceva un sedere bellissimo e perché fu la prima volta in vita mia che sentii freddo. Mi accorsi che mi faceva freddo perché entrare in macchina con un cliente e farmi accarezzare dappertutto non era mai stato così bello e la soba della signora Masuda (proprio quella piccante che di solito non mi piaceva) non era mai stata così buona.
Sono quindi arrivata alla deduzione che al freddo ci si arriva per sottrazione, mentre avvertivo ogni fiocco di neve cadermi sulla pelle e toglierle un grado, poi due, poi tre.
Mi facevo nevicare addosso e mi chiedevo se tutti coloro che non erano nati nella grande città fossero in grado di capire il freddo come noi, loro che non accumulavano che qualche mese d’estate da farsi sottrarre, e noi tutta una vita di cielo buio e caldo.
Anche al signor Watanabe il freddo, per sottrazione, deve aver ricordato la bellezza delle cose calde e buone. Io non c’ero perché, come ho già detto, quel giorno stare coi clienti era proprio una goduria e ho avuto un sacco di lavoro, ma mi hanno raccontato che, appena scorse il primo fiocco di neve, e fu il primo a farlo perché come al solito essendo dicembre se ne stava tutto il giorno a guardare il cielo, Watanabe saltò in piedi come una molla e corse via da Meiji-dori per non farsi più rivedere.
Solo qualche giorno dopo alla televisione dissero che aveva corso fino al viale principale per cercare un balcone.