All’improvviso, un tè – Cover 3

Il Balordo non voleva andare in Florida. Gli ricordava troppe cose brutte, quel posto. Non era scappato dalla fogna di penitenziario federale di Atlanta per andarsi a cacciare nel caldo umido di quelle paludi. Anche se a pensarci bene a Christal River conosceva qualcuno che poteva essergli d’aiuto. O forse no.
Non voleva andare in Florida ma nelle sue condizioni le decisioni andavano prese in fretta e quindi decise di andare comunque verso Sud. E poi c’erano quei due da portarsi dietro, almeno per ora. Lo seguivano come due cani rognosi ma gli servivano se c’era da fare del lavoro sporco.
Come quando avevano dovuto procurarsi della roba da mettersi addosso e seppellire gli abiti con cui erano evasi. Era toccato a due uomini la sera prima vicino a Toommsboro e adesso Hiram e Bobby Lee lo facevano vomitare con quei vestitucci da turisti in gita. Il Balordo aveva preso per sé solo un cappello nero e i jeans perché non voleva tenersi addosso la maglietta con il puzzo di qualcun altro. I soldi quelli sì invece se li era presi lui e sarebbero serviti presto a meno che non li beccassero prima.
Fatto sta che i proprietari di quei vestiti vomitevoli erano finiti in fondo al lago e il Balordo si era messo al volante della loro grossa macchina, nera come un carro funebre, tanto nera e funebre che al Balordo venne da ridere. È curioso il destino a volte.
Svoltarono in una strada sterrata per togliersi da quella principale. Hiram diceva che da lì avrebbero tagliato per la vecchia piantagione e sarebbero arrivati a Dublin facendo un giro più lungo ma senza incontrare un’anima. Passarono sulle colline, tra paludi improvvise e curve brusche, a filo di scarpate pericolose e il Balordo si divertiva come un pazzo a sballottare quei due poveri imbecilli anche se pensava che presto avrebbero avuto bisogno di un’altra macchina. Come previsto non incontrarono anima viva né case o costruzioni se non una vecchia villa abbandonata e cadente con tanto di colonnato e tutto il resto che al Balordo fece venire i brividi solo a vederla da lontano, là in fondo a quel viale di querce. E quello scemo di Hiram che voleva fermarsi a dare un’occhiata, come se fosse una gita scolastica.
Poi vide quello che vide. Poco sotto di loro, nella collina di fronte, viaggiava una familiare, una di quelle macchine che usano le famigliole quando si spostano tutte insieme e cantano canzoncine per far stare buoni i bambini. Il Balordo pensò che cavolo ci faceva da quelle parti una famigliola quando all’improvviso con una sbandata la macchina uscì di strada e si ribaltò in un fosso parallelo alla strada cadendo con il fianco destro all’insù, come una grossa tartaruga maldestra. Poco dopo qualcosa (si seppe dopo che era un gatto) fu lanciato fuori da un finestrino e andò a sbattere contro un fusto d’abete.
“Bizzarro davvero” pensò il Balordo.
In pochi minuti raggiunsero il gruppo, fermarono il carro funebre e scesero.
La scena era piuttosto bizzarra davvero anche per chi, come il Balordo, ne aveva viste tante. Nessuno sembrava ferito in modo grave. La donna più giovane, con un pupo urlante ancora in braccio, stava seduta contro una sponda del fosso di terra rossa. L’uomo le stava vicino ed aveva un aspetto orribile ma non più orribile della camicia che indossava che era gialla con dei pappagalli azzurro vivo. Il Balordo rabbrividì.
Sempre seduta contro la sponda del fosso c’era anche lei, la nonna. Una signora proprio ammodo, si vedeva subito. Indossava un abitino blu a piccoli pois bianchi rifinito di merletti (bianchi anche loro) e un cappellino di paglia con mazzetto di fiori che penzolava tutto da una parte. Mentre scendeva per la scarpata il Balordo pensò perfino di conoscerla quella signora, ma ti pare possibile.
Purtroppo c’erano anche due bimbetti brutti e antipatici a completare il quadro.
Dunque, a questo punto quale era il piano…? Bisognava decidere in fretta.
«Hiram. Controlla la macchina vedi se va» disse tanto per cominciare da qualcosa e poi per caso voltandosi incrociò lo sguardo della nonna. Lei lo guardò dritta negli occhi e fu allora che lo riconobbe: «Lei è il Balord!!» gridò.
L’uomo dalla camicia orribile si girò di scatto e le disse una parolaccia tremenda, tanto tremenda che la vecchia si mise a piangere.
Il Balordo ebbe una visione. Vide sé stesso bambino, con un vestitino blu, che andava verso la chiesa per mano a sua madre Lily. Lei, tutta in ghingheri, sculettava di più la domenica ed era a suo modo deliziosa, tanto deliziosa che una di quelle domeniche non tornò a casa con lui. No, a metà funzione uscì e nessuno ne seppe più niente. Il Balordo, bambino, si ricordava di averla aspettata un po’ seduto sulla panca, e di essere stato accompagnato a casa dal reverendo Peterson. Lì c’era suo padre: un gran brav’uomo, la domenica. Dal venerdì al sabato invece spesso picchiava sua madre, le urlava contro ogni genere di oscenità, anche di fronte a lui. E Lily piangeva, buttava fuori tante lacrime che il Balordo, bambino, si chiedeva dove tenesse tutta quell’acqua prima di piangerla fuori.
Furono sei colpi assordanti e sei schizzi di rosso, quattro per la famigliola (il primo lo sparò addosso ai pappagalli azzurro vivo) e due per i suoi ex-compagni di fuga. Tutti finiti a terra seduti contro il terrapieno del fosso o piegati in forme strane come pupazzi di peluche radunati per un tè immaginario.
La vecchia no. Lei aveva smesso di piangere e teneva le mani sulle orecchie.
«Gesù Gesù» stava dicendo proprio così e il Balordo pensò di tagliare corto:
«Andiamo» e si avviò verso il carro funebre lasciato sul ciglio della strada ma la sentì bene:
«Lo sapevo che lei non avrebbe mai ucciso una signora, si vede che è di buona famiglia.»
Il cielo era luminoso e l’aria apriva i polmoni. Il gatto che era volato fuori dal finestrino poco prima sbucò da un cespuglio e si strofinò contro una gamba del Balordo che lo tirò su afferrandolo per la collottola.

(Tratto da Un brav’uomo è difficile da trovare, scritto da Flannery O'Connor.)