Abitando a Zurigo avevo imparato che gli orologiai hanno ferie in luglio, così, guardando l’autostrada, potevo riconoscerli dalla targa; se era luglio.
Da bambino facevo molta attenzione ai dettagli e a scuola avevo un rendimento notevole. Quando c’era del tempo libero, costruivo paracadute coi sacchetti di plastica e eliche con i cartoni. Se andavo in campagna creavo biosfere dentro vecchie pentole, imprigionavo lucertole e sezionavo girini. Al mare facevo lo stesso, ma con animali diversi e dentro secchi o bacinelle. Per questo, e alcuni altri motivi, spesso mi dicevano che da adulto potevo essere uno scienziato, e magari diventare come Jaques Cousteau, che andava anche in televisione.
Poco più grande, quand’ero ragazzo, la scuola continuava mica male. Mi interessavo di chimica e di storia soprattutto; traducevo bene dal latino e avevo imparato a memoria la tavola periodica. Ero poi abbastanza bravo con la musica, sapevo leggere le note e inventavo qualche campionatura. In quegli anni frequentavo anche i collettivi degli studenti, e per questo mi avevano eletto rappresentante. Così alcuni mi dicevano che potevo diventare un giornalista o anche un politico, se fosse stato il caso.
Qualche tempo dopo ero ancora ragazzo, e di studiare non mi dispiacevo. Avevo un buon intuito per la logica e le discipline economiche, ricordavo bene a memoria e apprezzavo gli enunciati dimostrativi. Scrivevo e continuavo a suonare, di tanto in tanto mi esibivo nei bar e avevo allora un discreto seguito. Era poi quello il periodo in cui vivevo in Svizzera, e tenevo in affitto una camera a Zurigo per qualche merito di studio. Perciò alcuni dicevano che stavo diventando un imprenditore o un professore più probabilmente, e che presto potevo vincere qualche premio, forse.
Più tardi, quando ero già adulto, continuavo a studiare. Lavoravo bene in gruppo e avevo buone capacità di sintesi, raccoglievo statistiche e sapevo interpretare i dati. Quando potevo suonavo il contrabbasso, ma ottenevo poche soddisfazioni. Sapevo però che anche Čaijkovskij era stato rifiutato dal Maestro Rubinŝtejn, più di una volta. Sapevo poi che nell’ambiente gli dicevano che era banale e irrimediabilmente goffo, mentre il pubblico, a Pietroburgo, amava i suoi concerti. Per questo pensavo che nonostante tutto, potevo diventare musicista, o artista, anche.
Ma a trentuno anni presi casa, e bisognava vivere: e per vivere imparai a vendere assicurazioni. Ero bravo a parlare e ricordavo bene nomi e cognomi, avevo studiato coi numeri, e già da ragazzo possedevo un buon intuito. Così presi a lavorare nella filiale in piazza, dietro i giardinetti. All’inizio ci andavo a piedi perché era vicino, poi mi convinsi a prendere l’auto; e quando era l’ora di pranzo andavo a mangiare nel giardino. Se era bel tempo sedevo sulla panchina in fondo, ad ascoltare le lucertole uscire dal cemento, mentre col brutto stavo nell’auto, per sentire l’acqua sul tettuccio. Pensando, pensando, pensando – non ai premi insoluti o alle analisi dei rischi, ma ai rumori.
Pensavo ai rumori che sentivo per la strada, a quelli nell’ufficio e quelli in casa. Pensavo alla musica che volevo suonare, e ai testi che volevo scrivere. Facevo calcoli, studiavo melodie, creavo storie e brani. E quelli intorno mi domandavano a cosa pensassi, e stavano attenti a ciò che dicevo e a quello che facevo. E intanto io continuavo a pensare. Pensavo che da bambino ero bravo coi dettagli, e la scuola andava molto bene. Che da ragazzo ci sapevo fare con i numeri e ricordavo le cose. Che poco più grande vivevo a Zurigo, suonavo nei bar e studiavo per merito.
Per questo, e per alcuni altri motivi, sapevo di essere un creativo, e che presto qualcosa sarebbe venuto. Ma non venne mai nulla. E così certi dicevano che se fosse stato il caso sarei potuto diventare professore, politico o scienziato; sicuramente artista. Che a Zurigo ero qualcuno. Che in tempi diversi mi sarei occupato di faccende importanti, e invece ora il mio genio era impedito dalle difficoltà del quotidiano. Ma non era vero.
La verità era questa: che non avevo genio.
(Tratto da Water Simmons, scritto da Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River)