Il vigile urbano


Sandro era arrivato da venti minuti e aveva ancora le scarpe scure di pioggia. Pattinava intorno alla tavola apparecchiando al meglio delle sue possibilità: non ricordava mai se il coltello andava col seghettato fuori o in dentro. Le suole gli facevano skieek! a ogni giravolta per schivare Pina che schizzava dietro al multi-timer del cellulare, che la teneva informata sul procedere della carne, delle patate all’aglio e rosmarino nel forno e del paté di fagioli che brontolava in un tegamino. Dal salotto veniva il blu della tv, in muto; fuori diluviava ma non si sentiva. La finestra pareva soltanto un altro schermo. Sandro posizionò i bicchieri; da sinistra: calice da rosso, del bianco, bicchiere per l’acqua. Non era uno che sapeva cucinare-cucinare, massimo una pasta col pesto in barattolo. Le insalate però gli uscivano bene, per via di un trucco che sua nonna gl’aveva svelato da piccino: oltre sale, pepe ed olio, due gocce di limone; gl’aveva insegnato pure che per non piangere tagliando la cipolla basta cantare, così non respiri dal naso; che vale anche col piangere in generale. Assolte le sue funzioni, Sandro si mise a fare ciò che gli riusciva meglio: guardare Pina spignattare; cosa che la mandava in bestia. Così sentendoselo ciondolare dietro – skieek, skieek, aprì il forno, prese due patate, ci versò una mestolata di spezzatino e gli cacciò il piatto sul tavolo; Sandro si sedette con cautela, gli occhiali annebbiati.
«..»
«Allora?»
«Da paura.»
«E le patate?»
«Buone, e conta che a me non piacerebbero.»
«Bene, sono contenta.»
«Sono contento anch’io.»
Con una rotazione di centottanta gradi Pina tornò ai fornelli e prese a menare due mestoli, uno nel paté e l’altro nello spezzatino. Dalle spalle le partivano delle fitte che salivano come liane su per la nuca; aveva speso la giornata a sfacchinare dietro al tiramisù; ma non voleva chiedere una mano a Sandro. Da quando si era licenziata si sentiva una palla al piede; non era riuscita a trovarci uno scopo in quel lavoro, gestire commesse, riunioni, persone, se non portare a casa la paga, dare una soddisfazione a mamma e papà; solo che stando a casa lì vedeva tutti i giorni, tutto il giorno, i suoi, che dopo trent’anni nello stesso capannone uscivano col gruppo del liscio sei sere a settimana, guardavano la tv, facevano l’orto; loro la compativano, lei li compativa e allora litigavano, e s’incazzava, e s’incazzava perché s’incazzava. Era sudata fino alle dita dei piedi, appiccicate alle piastrelle sporche di farina e peli di Jack. Correre era servito solo ad accumulare massa, stress; i jeans le parevano un guanto dalla caviglia all’ombelico. Si voltò a guardare Sandro: mescolava l’insalata, bovino; finché una sguizzatina d’olio gli finì sulla camicia azzurra, ma più che arrabbiarsi lui parve sbalordirsi. Gli venne da dire qualcosa, ma rimase a bocca schiusa. A lavoro era stata una palla, a parte una telefonata in Iran per un guasto ad un impianto; l’unica cosa che la interessava in prima persona, voleva tenersela, per non rovinarle l’appetito; ammesso si potesse dire una brutta notizia. I gong del timer suonarono all’unisono come in un templio zen. Pina divise ogni portata in due porzioni e le pesò sulla bilancia: il settanta percento del tutto era nel piatto di Sandro, che le versò nel calice quattro dita del nebbiolo sacrificato per lo spezzatino; poi iniziarono a mangiare. La cappa aspirava silenzio.
«..»
«‘Scolta cos’è che stavi dicendo prima, quando sei entrato? Che stavi venendo qua e?»
«Ah si, è successa na roba che boh. Hai presente l’incrocio del Tamoil, sulla statale?»
«Se.»
«Ok immaginati il desfo delle sette, con quella curva del cazzo in fondo, che non ci vedi a girare.»
«E la pioggia.»
«Esatto. Insomma siamo fermi da cinque minuti: davanti ho un fiorino e sta vecchia co na Twingo blu elettrico; de quee col rosario sol cambio; e questa varda ma no a passa, e noialtri vanti spetare.»
«Dai poretta.»
«Ciò voleva girare a sinistra, ma come faceva, o che arrivavano da na parte o dall’altra. Finché il tipo dietro col fiorino s’incazza. Fa i fanali, sgasa Vooooom! ‘tacca manovrare per passarle davanti.»
«Classico imbecille.»
«Ma speta, perché prova a venire anche in retro, ma non riesce, dietro ci sono io più na colonna che ciao. Allora cosa fa, sgomma e si butta nella corsia di destra. Ha schivato uno in scooter di niente.»
«Per andare a girarsi al Tamoil.»
«Brava. Si gira al Tamoil e poi via, dentro l’altra corsia come un caccia; torna verso l’incrocio dove siamo noi, e là inchioda, mette la freccia…»
«Che coglione.»
«Conta che drio el gaveva no so quante macchine e camion. Robe che nol fa un tamponamento. Solo che l’altra careggiata è un fiume in piena, sai quanto corrono a quell’ora.»
«È morto più di un tizio su quell’incrocio.»
«Hai capito. Insomma ‘spetta uno, due minuti, dietro gente che suona. Poi passano due tir un attimo staccati, e cosa fa?»
«Cosa?»
«Si butta in mezzo e fa i fanali alla signora.»
«Come i fanali?»
«Ciò per farla passare! Lei fa un salto sul sedile, perché la vedevo dal lunotto, butta dentro la prima e tira una grattonata da paura, Ta tran!, e parte lentissima e tutti intorno allora vai de clacson.»
«Poretta!»
«Però il drago del fiorino dovevi vederlo, sembrava Mosè: non si è mosso di un metro ed è stato là a farle segno col finestrino aperto che gli pioveva dentro.»
«Che grande.»
«E alla fine ha fatto passare anche me e gli altri.»
«Vedi che c’è ancora da sperare nelle persone.»
«Bah. L’eccezione che conferma la regola semmai.»
«Vorrei essere anch’io così.»
«Così come?»
«Dai hai capito.»
«Tipo un vigile urbano?»
Detto ciò Sandro prese un sorso e rise, appannando il calice. Pina masticava, lo guardava; avrebbe voluto avere il fegato dell’uomo col fiorino, andare contro corrente, mettersi di traverso, farsi valere. Negli ultimi mesi aveva pensato al volontariato, un’esperienza da qualche parte, farsi assumere in una cooperativa; ma le sembravano propositi ingenui, insostenibili. Fantasie da mantenuti. Poi parlare di lavoro con Sandro equivaleva a discutere solo di buste paga, benefits: era così prevedibile, a Pina bastava guardarlo: camicia da riunione, pantaloni stirati, le Clark’s di Natale. Lui poggiò le posate e la guardò. Pina versò del vino nel calice e lo fece mulinare; poi contò a mente: meno tre, due, uno…
«Mi danno una promozione.»
«..»
«Mi mandano in America.»
«Bravo.»
«Dai Pina.»
«Cosa devo dirti? Sei stato bravo.»
«Hai capito cosa.»
«Non sembra sia stata una sorpresa.»
«Non era sicuro.»
«Ok.»
«Sei arrabbiata?»
«..»
Pina si alzò, aprì il frigo e trasse una teglia; nel metterla sul tavolo una fitta le traversò la nuca, e strinse le labbra. Le sopracciglia di Sandro sorrisero. Sollevato il foglio d’alluminio tolse la crema appiccicata, poi tagliò un pezzo grande e uno piccolo, con un occhio chiuso. Immaginò vacanze dai suoi due volte l’anno, bambini che crescono, un lavoro part-time, romanzi americani, cene coi vicini, grigliate. Sapeva che vita voleva Sandro, quanto diversa era dalla sua, e lo sapeva lui; era bastata la litigata per pagare il conto la prima sera che erano usciti; per quattro anni si erano promessi di trovare un compromesso, però da quando Sandro aveva iniziato a lavorare, a portare a casa soldi, quella di lui era prevalsa: chiara, palpabile; se poi discutevano o litigavano, lui a una certa sorrideva mentre lei parlava, faceva una battuta, e lei rideva, la fregava; come lui fosse nel giusto, sempre con l’ultima parola pronta. Pina prese da una mensola due piattini verdi smeraldo con fantasie floreali e li pose vicino alla teglia, insieme a due forchettine; ma non servì il tiramisù. Si sedette; le mani le tremavano.
«Perché sei arrabbiata?»
«Perché sei incoerente.»
«Perché?»
«Un mese fa hai detto, vivere in America neanche morto.»
«Pina col contratto che mi fanno paghiamo casa qua in cinque anni, e possiamo restare là, mandare i figli a studiare nelle università serie, cambiare aria da sto paese del cazzo, andare via dai problemi.»
«I problemi te li porti dietro Sandro, l’aria è la stessa dappertutto.»
«Si ho capito ma se vogliamo fare una famiglia…»
«Una famiglia se funziona, funziona ovunque, o da nessuna parte.»
«Quindi secondo te non funzionerebbe.»
«Guarda che sei tu quello negativo, che si lasciano tutti alla fine.»
«Allora saremo l’eccezione che conferma la regola.»
«..»
«Pina guardami.»
Pina gettò un’occhiata al piatto di Sandro: era rimasto un pezzo di carne. Poi lo guardò: con quegli occhiali tondi sembrava un coglione quando diceva qualcosa di dolce. Per coprire un sorriso allora finse uno sforzo: si allungò sul tavolo e con la forchettina fra indice e pollice zac, prese un pezzo di tiramisù dalla teglia. Lui stringeva il tovagliolo in mano come un mazzo di fiori.
«Ti sto ascoltando.»
«Io vorrei solo far filare lisce le cose Pina.»
«Tipo un vigile urbano?»
«Tipo vigile urbano.»
«Finisi chel spesatin vaea.»
In quel momento qualcuno da fuori avrebbe potuto osservarli. Avrebbe visto lei ridere, lui fare il giro del tavolo, prenderla in braccio con la teglia di tiramisù e le forchettine, portarla in salotto, sul divano. Li avrebbe visti accoccolati mangiare, guardare la tv, le loro labbra muoversi ogni tanto; ma non avrebbe sentito che la pioggia scrosciare nella notte. La finestra pareva soltanto un altro schermo.