Al college


La prima volta che Jared è venuto a prendere Tabitha, stavo facendo i compiti di inglese.
Ho provato a non alzare lo sguardo e ho pigiato la punta della matita sulla carta mentre sentivo la sua Kia sferragliare nel parcheggio del teatro. Avevo pensato di aspettare il bus da qualche altra parte, ma faceva freddo e non avevo voglia di farmi tutta la strada a piedi fino alla fermata successiva. Dopotutto, non pensavo che l’intera faccenda mi avrebbe scosso granché. Dopotutto, Jared e Tabitha stavano insieme e io ero lì ad aspettare il bus. Dovevo solo tenere lo sguardo basso e farmi i fatti miei.
Ho sentito i passi di Tabitha mentre lasciava l’edificio. Dopo le prove di recitazione non mi ero fermata in corridoio a chiacchierare con l’insegnante o coi nostri compagni – la situazione era un po’ troppo strana adesso. O almeno lo era per Tabitha e me.
La Kia di Jared si è fermata e mi sono accorta che lui stava ascoltando una canzone dei The Darkness, I Believe In a Thing Called Love, una delle sue preferite. Davvero uno schifo, ma mi erano persino cominciati a piacere un po’, quando uscivo con Jared.
La punta della mia matita ha lasciato dei segni sulla scheda di inglese che stavo completando, anche se non stavo facendo alcuno sforzo per scrivere. Le mie mani tremavano. Ho aspettato pazientemente.
La musica dalla macchina tuonava nel parcheggio. Jared aveva aperto uno dei finestrini. L’ho immaginato protendersi verso Tabitha, col gomito che spuntava fuori e la sigaretta tra le labbra anche se fumare vicino a scuola era proibito. Le avrebbe fatto l’occhiolino. «È sempre splendido vederla, signorina» mi diceva sempre. Era una frase così stupida da dire che faceva sempre ridere. Mi sono domandata se usasse esattamente le stesse parole con Tabitha.
Ho provato a concentrarmi sulla scheda.
It is – it’s – its’
You are – you’re – your…

Ho sentito uno degli sportelli della Kia aprirsi e chiudersi subito dopo, e per un secondo ho pensato che la tortura fosse finita. Stavano per ripartire e andarsene per sempre e avrei potuto finalmente alzare lo sguardo e comportarmi normalmente e avrei smesso di sentirmi come se qualcuno avesse preso il mio cuore e l’avesse ficcato nella lavatrice.
Invece ho sentito la voce di Jared, forte e chiara e sabbiosa, rivolta a Tabitha, proprio dietro la fermata del bus dove ero seduta. «Bambolina! Non vedevo l’ora di vederti!»
Beh, almeno la battuta che usava con me era più divertente, ma Jared non era mai sceso di macchina per accogliermi nel parcheggio del teatro.
Smetti, smetti, smetti, mi sono detta, e ho fissato la pagina di fronte a me. Non era facile tenere la matita saldamente, quando indossavo i guanti. Ti stai ossessionando sul nulla. Tu non vuoi essere come papà. Partirai per il college presto. Andrà tutto bene.
Qualcosa era successo quando ero andata a Stillwater a visitare il campus dell’università. Ero rimasta solo un paio di giorni, giusto per incontrare la squadra femminile di baseball. Era il weekend della festa di fine semestre, tenuta come al solito a casa di Tabitha, ed era roba grossa. Ero partita per Stillwater perché la Oklahoma State University mi aveva offerto una borsa di studio come atleta.
Jared mi aveva detto di divertirmi e mi aveva baciata sulle labbra e strizzato il sedere e mi aveva dato la sua barretta al caramello perché avevo fame. Quindi avevo pensato che andasse tutto bene.
Ora, due settimane dopo, stava con Tabitha. E per favore non fatemi iniziare a parlare della patetica scena della rottura e di come ho passato il giorno seguente a piangere e a desiderare che mio padre semplicemente stesse zitto, e a urlare negli asciugamani o nel cuscino. Stai zitto, cazzo, ho urlato. Poi mi sono sentita in colpa, quindi ho pianto anche di più.
Mio padre è bipolare, ma se la sta cavando piuttosto bene con la terapia eccetera. Mia madre l’ha lasciato quando avevo due anni, e qualche volta penso che lui veda altre donne quando mi dice che va a fare viaggi di lavoro e mi lascia sola. Penso che le incontri in qualche motel sulla statale o posti del genere. Lavora per un’agenzia di marketing a Denver, quindi magari le conosce lì. Non ne ho idea.
Ho sentito Tabitha mettersi a ridere e le suole di gomma delle sue scarpe da ginnastica stridere sul cemento del parcheggio. Poi, un tonfo contro uno degli sportelli della macchina, come succedeva sempre con me – era il suo marchio di fabbrica: Jared ti spingeva contro un fianco della Kia, piano abbastanza per non farti male, ma forte abbastanza per darti l’impressione che non potesse resisterti. Poi ti baciava.
Quando ho sentito quel tonfo familiare, mi è sembrato di prudere ovunque. Su tutto il corpo. Come se non potessi fare a meno di grattarmi, per qualche ragione; come se avessi i pidocchi su ogni arto, e sul petto, e tra le tette, e sulle orecchie, da tutte le parti.
Ho sperato che finissero presto. Ho sperato che se ne andassero e potessi finalmente concentrarmi sui compiti ed evitare di immaginarli andare da Taco Bell e infilarsi nachos in bocca a vicenda e baciarsi sul portico di Tabitha. Lì, invece che un padre completamente andato che sproloquiava su Mark Zuckerberg in quanto rovina della società moderna, Jared avrebbe visto le coinquiline di Tabitha, tre favolose bionde che giocavano a pallavolo in cortile indossando pantaloncini corti e cose del genere. Tabitha non voleva andare al college, ma si comportava già come una sorella super popolare di una confraternita.
Ho smesso di grattarmi. Non volevo attirare la loro attenzione in nessun modo. Poi ho sentito gli sportelli della macchina chiudersi dopo tre terribili minuti di silenzio (li ho contati). Senza alzare gli occhi dalla scheda di inglese, ho sentito la Kia ripartire dal parcheggio. Hanno rallentato un secondo, pericolosamente vicini a me, e per un istante terrificante ho pensato che abbassassero il finestrino per dirmi quanto fossi patetica o anche solo per salutarmi, cosa che mi avrebbe probabilmente ucciso lo stesso.
Invece mi sono resa conto che la fermata dell’autobus era proprio di fianco alla curva dove Jared doveva rallentare per entrare in Husband Street.
Mentre se ne andavano, mi sono imposta di non alzare lo sguardo. Alle fine ce l’ho fatta, e forse era stata tutta la pressione, forse era solo il freddo e il vento che mi frustava le guance, ma ho cominciato a piangere immediatamente, come se qualcuno avesse premuto un bottone del pianto che avevo sotto il mento o roba così. Ho pianto sulla scheda di inglese e non ho smesso finché non è arrivato il bus. Quando ho visto le luci avvicinarsi, mi sono passata le dita dei guanti sugli occhi e sulle guance e sono salita. «Buonasera» ho detto al guidatore, tutta contenta. Gli ho fatto un bel sorriso a trentadue denti e mi sono seduta, poi ho provato ad asciugare il quaderno con la punta delle dita.
Quando sono arrivata a casa, papà stava scavando una buca in giardino. Aveva i guanti e una grossa pala, e indossava solo una maglietta di cotone fradicia di sudore e terriccio.
«Papà» ho cominciato con calma. «Cosa stai facendo?»
«Friedman mi ha detto che hanno trovato qualcosa sul retro del suo cortile» ha risposto, poi ha grugnito, calciando la pala dentro il terreno.
«Tipo cosa?»
«Non lo so. Oro? Petrolio, forse?»
L’ho osservato sbuffare per una manciata di secondi. «Papà, fa freddo.»
«Friedman è ricco adesso. Ho pensato valesse la pena provare.»
Ha lanciato un po’ di terriccio su una pila accanto alla buca.
Non ho risposto. Poi ho sospirato. «C’è qualcosa per cena o…»
«Ordina dal cinese… o un po’ di pizza, forse?» Finalmente ha alzato lo sguardo su di me. «Sono certo che ci sia qualcosa sotto tutto questo schifo.»
Partirai per il college presto, ho pensato. Andrà tutto bene. Partirai presto.
Ho ordinato una pizza margherita grande, per due. Stava ancora scavando quando ho tirato fuori la scheda dallo zaino e mi sono seduta a fare i compiti in camera mia. Una volta finito, mi sono seduta sul letto, con lo stomaco che brontolava dalla fame, e ho immaginato la mozzarella e la salsa al pomodoro sciogliersi in bocca. Poi si è fatto tardi, quindi sono andata alla finestra per vedere se mio padre stesse ancora lavorando in giardino. Non volevo che il ragazzo della pizza lo vedesse così.
Sono andata in camera sua per prendergli un maglione o qualcosa per coprirsi. Non volevo che prendesse freddo e si ammalasse. Quando ho aperto la porta della sua stanza, però, mi sono fermata bruscamente. Il letto, il pavimento, tutto era coperto di fotografie di mia madre. Ho deglutito, cercando di non guardarle, poi ho aperto uno dei cassetti e tirato fuori una felpa. Ho pensato a Jared e al fatto che fossi ossessionata da lui e dalle sue fotografie con Tabitha e che contassi quanto a lungo si baciassero e li immaginassi imboccarsi di nachos a vicenda. Ero pazza anch’io.
Sono scesa giù per portare la felpa a papà e ho di nuovo cominciato a prudere ovunque. Ma prima che potessi arrivare in giardino, mio padre è entrato con il cartone della pizza tra le mani.
«Il tipo della pizza era strano» ha cominciato. «Ha detto che c’è sicuramente un cadavere nel nostro giardino. Come ti viene in mente di dire una cosa del genere?»
L’ho fissato e per un secondo ho desiderarlo picchiarlo a morte e abbracciarlo strettissimo allo stesso tempo. Aveva del terriccio sul labbro e aveva tutta la pelle arrossata dal vento.
Partirai presto per il college.
«Assaggiamo la pizza» ho cominciato, prendendogli il cartone dalle mani. «Sono sicura che sarà buonissima.»