Il pinguino di Trieste

Nazarena Furlan amava i bagni d’aria, aveva iniziato poco più che maggiorenne, quando davanti la sua finestra c’era solo il mare. All’età di diciotto anni era andata controvoglia dal medico di famiglia, per la prima e unica volta nella sua vita, affranta da terribili problemi epidermici. La sua pelle era così sensibile da non poter sopportare il tocco delle lenzuola: né in lino né tantomeno di cotone. La ragazza lo aveva supplicato di trovare una soluzione per questa terribile condizione, che le rendeva la vita così solitaria. Il dottore, per rispondere alle sue preghiere, le aveva imposto la seguente terapia:
«Di giorno o di notte, questo non è un problema.» Aveva detto il medico. «Apra porte e finestre, di modo da far entrare la maggior quantità d’aria. Poi con discrezione controlli che non vi sia nessuno nei dintorni, si spogli completamente dei suoi abiti e passeggi con deciso garbo per l’appartamento, facendo bene attenzione che il suo corpo sia costantemente immerso nella corrente.» Per concludere il dottore aveva aggiunto. «Ripeta questa operazione ogni qual volta sente il suo copro sensibile al tatto. Quando la pelle si sarà abituata al tocco dell’aria, allora potrà interrompere la terapia.»
Nazarena era tonata a casa quella sera, e dopo una breve titubanza sull’opportunità di mantenere la biancheria intima, aveva fatto ciò che le era stato prescritto. Ogni sera dopo il lavoro, apriva porte e finestre, si spogliava completamente e camminava a piedi scalzi sulle mattonelle: lo faceva d’estate, quando era più gradevole, e lo ripeteva anche durante le altre stagioni. Di settimana solo dopo il tramonto, nei giorni festivi anche al mattino, prima che la luce diretta filtrasse dalle imposte. Non aveva mai più smesso.
La giovane ragazza viveva nelle correnti d’aria, e c’è da dire che aveva gioco facile, abitando la città dove il vento dell’Est soffia constante. Per il bene suo e di chi la circondava Nazarena non provava alcun imbarazzo a girovagare nuda per casa, neanche nei giorni che avevano seguito il suo accasamento, o in quelli ancor più delicati delle faccende materne si era mai sentita a disagio. Fu durante uno di questi momenti che lo vide per la prima volta: lei nuda affacciata alla finestra; lui ciondolante, in attesa a un incrocio che portava verso il mare.
Marco aspettava che il semaforo si facesse verde, aveva un’aria buffa ed elegante mentre dondolava con lo sguardo fisso verso l’alto. Tozzo e dal colore inconsueto, il suo aspetto esotico non toglieva nulla al naturale senso di familiarità che lo rendeva così speciale. Marco aspettava con disciplina che il semaforo gli permettesse il passaggio. Lei si era spostata sul balcone per avere una visuale migliore sulla strada, lo fissava coperta dal ferro battuto della balaustra. Quando il semaforo scattò sul verde, lui corse goffamente verso il mare e si lanciò senza esitazioni nell’acqua scura del porto. La donna lo vide ancora per qualche secondo, nuotava veloce lasciando una leggera scia bianca dietro di sé, si sporse ancora un poco preoccupata, poi con sollievo lo intravide salire a piccoli balzi le scale di pietra del Molo Audace.
Nazarena amava raccontare la storia di Marco durante i suoi bagni d’aria, quando era completamente nuda. Negli ultimi sessantaquattro anni la versione era cambiata più volte, la modificava a suo piacimento, e ognuno ne conservava una versione diversa. Probabilmente non ricordava più neanche quale fosse quella originale, e fino a che punto la trama fosse stata cambiata da lei oppure dal tempo. Al figlio maggiore aveva raccontato di essere corsa in fretta giù per le scale, tutta nuda e coi piedi scalzi, di aver attraversato l’incrocio senza aspettare il verde, e di essersi buttata nell’acqua del porto. Secondo questa versione della storia, i due sarebbero arrivati a nuoto fino alle coste del Sud Africa, paese natale del giovane Marco, e qui, dopo aver passato alcune delle più incredibili avventure della loro vita, sarebbero stati ripescati dal cargo Europa della compagnia Lloyd di Trieste, che li avrebbe riportati entrambi a casa.
Al marito aveva raccontato più o meno la stessa versione, ma in quel caso lei prima di scendere avrebbe avuto l’accortezza di indossare degli abiti appropriati. La figlia più piccola invece era stata l’unica a conoscere Marco di persona, e questo le aveva permesso di ascoltare anche la sua versione dei fatti. A quanto gli disse lui, sua madre l’aveva effettivamente seguito in acqua, ma dall’acqua era poi anche uscita dopo pochi minuti, giusto il tempo di raggiungerlo sul molo davanti casa. Lì avevano passato l’intera giornata a raccontarsi la storia delle loro vite, e sempre lì si erano incontrati tutti i lunedì per i successivi quindici anni, fino al giorno del trasloco.
La versione più realistica Nazarena l’aveva riservata per il nipote, aveva scelto lui per raccontare la vera storia di Marco, almeno così lei assicurava, ma solo dopo essersi fatta promettere solennemente che non ne avrebbe parlato mai con nessuno, soprattutto ai suoi genitori. Secondo quest’ultima variante, l’ultima in ordine cronologico, i fatti si svolsero per quanto segue:
«Immagino tu sappia meglio di me che non sono mai stata in Sud Africa.» Gli disse lei prendendo una caramella all’eucalipto. «Ora che pende dalle braccia come un sipario, la pelle non mi duole più, eppure mi piacerebbe sentire il vento del Sud, così come me ne parlava Marco.» Si fermò un istante per riflettere, fece sbattere la caramella tra i denti, quindi proseguì. «Io credo, anzi sono convinta, che se fossi nata laggiù, non avrei mai dovuto bagnarmi d’aria, e ti dirò che questo mi sarebbe dispiaciuto. Perché alla fine, se anche oggi che son così come l’uvetta, non ho vergogna di ciò che vedo, questo lo devo al tempo passato da svestita.»
Mentre parlava Nazarena snocciolava caramelle, raccogliendole da una contenitore in argento che teneva sul tavolo della cucina. Non le offriva mai, aspettava che gliele chiedessero, e quando succedeva rispondeva solo col gesto della mano. Sapeva che quella sarebbe stata l’ultima versione della sua storia, ma non era affatto preoccupata per questo, anzi. «Sai perché gli andai dietro quel giorno?» Disse lei a un certo punto. «Non ero affatto annoiata; solo mi divertiva il pensiero di vedere da vicino qualcuno costretto in un frac per sua natura.» Finita questa frase scoppiò a ridere fragorosamente, e così fece anche suo nipote, fin quando non fu lui a prendere parola:
«Ero venuto a trovarti per parlare d’altro nonna, ma speravo di ascoltare la mia storia di Marco.» Le disse asciugandosi le ultime lacrime del riso dagli occhi. Poi riprendendo fiato si fece più serio e proseguì. «Sai nonna, mi hanno di nuovo chiamato dall’ufficio dell’amministratore.» Seguitò il ragazzo, ora visibilmente imbarazzato. «I vicini continuano a lamentarsi dei tuoi bagni, dicono che non…insomma se continui così sai…potrebbero anche chiamare l’ospedale.» Si era sporto sul tavolo, per avvicinarsi alla vecchia donna, cercando si scrutare nel suo viso un accenno di comprensione, che in fondo sperava di non trovare.
Il ragazzo era arrivato in quell’appartamento convinto del fatto suo. Le avrebbe detto tutto: che da più di quarant’anni davanti la sua finestra non c’era più il mare, che viveva dentro un cortile, e che adesso che era rimasta sola non poteva occuparsi di lei tanto quanto faceva il nonno. Se mai ci fossero state recriminazioni, le avrebbe anche detto che così non si poteva andare avanti, che più nessuno credeva alla storia dei bagni d’aria.
Ma non disse nulla di tutto ciò, perché fu lei a parlare: «Capisco, e credo che tu abbia ragione» disse. «Tutto qua?» rispose lui. «Si, tutto qua» replicò tranquilla lei, mentre si alzava per accompagnarlo alla porta. «Anzi no un’ultima cosa» fece lei mentre si trovavano sull’uscio. «Marco era un pinguino e questo tu lo sai, quello che non sai però, è che era una femmina.»
Nazarena salutò il nipote e chiuse la porta dietro le sue spalle. Rimasta sola aprì tutti gli scuri delle finestre, che aveva chiuso in previsione della visita, quindi spostò le tende bianche, aprì le ante, e uscì nuda sul balcone che affacciava nel piccolo cortile del palazzo. Il ferro non riusciva più a coprirle i seni, che ora scendevano sul suo copro fin sotto la balaustra. Si appoggiò con entrambe le mani al sostegno di metallo, sorrise alla giovane donna che stendeva i panni dall’altro lato della corte, mosse la mano come cenno di saluto e alzando la voce per farsi sentire meglio disse: «Sto facendo il bagno, ordine del medico.»