Militant men in peaceful times attack themselves.
[Mayhem, The Vortex Void of Humanity]
1.
Mimì pensa che li ammazza tutti, se non se ne vanno, tutti, se non se ne vanno da lì, se non lo lasciano da solo in quella sala, li ammazza tutti, in quella sala, in quella sala dove è tutto umido, in quella sala, tutto umido, i vestiti, la pelle, i mobili pure, umidi, in quella sala, tutto umido, in quella sala dove c’erano stati momenti belli, solo momenti belli, serate di carte e vino, gli amici, i parenti, discorsi, progetti, risate, le donne di là a dormire, decine di serate, in quella sala, in quella sala che la si apriva solamente per le serate, quella sala, e ora, invece, ora, in quella sala, tutto umido, e una bara chiusa, sedie attorno, tutto umido, tutti sudano, tutte le donne sedute, tutte che si fanno aria con i ventagli, i maschi in piedi vanno e vengono, tutti sudano, le tazze di caffè, un odore insopportabile, in quella sala, lo bevono solo i maschi, il caffè, c’è un odore in quella sala, un odore insopportabile di caffè corretto con l’anice, solo i maschi bevono il caffè, lo correggono con l’anice, un odore insopportabile, in quella sala, le donne sedute, alcune piangono, alcune guardano il pavimento, i maschi non stanno mai fermi, escono fuori a fumare, corone di fiori a circondare la bara, c’è un odore in quella sala, un odore insopportabile, fiori, fiori ovunque, tutto umido, tutti sudano, e poi c’è uno stendardo, accanto alla bara, uno stendardo enorme, con una stampa enorme di un Cristo, un Cristo con gli occhi che sembra che ti guardano, il viso rivolto un poco verso sinistra, in quella sala, una bara al centro, una bara chiusa, piena, piena di un corpo, in quella bara, in quella sala, in quella bara, un corpo, un ragazzo di quindici anni, un metro e sessanta circa, centotrenta chili, capelli neri, ricci, occhi neri, piccoli, guance rosse, ma non si vede, non si vede il ragazzo, non si vede niente, la bara è chiusa, è piena, ma è chiusa, la bara, e Cristo, nello stendardo, il viso rivolto un poco verso sinistra, con gli occhi che sembra che ti guardano, tutto umido, in quella sala.
La bara è chiusa perché il corpo che la riempie è in uno stato che è meglio lasciare la bara chiusa, nessuno l’ha detta questa cosa, ma tutti la sanno, questa cosa, è così, in quella sala tutti sanno, e tutti guardano la bara, decine di sedie attorno, tutte le donne sedute, i maschi in piedi, tutti guardano una bara, il legno, il legno chiaro, Mimì ci gira attorno, attorno alla bara, ci gira attorno da ore, sudando, attorno alla bara, passando tra le corone di fiori, scalciandone una ogni tanto, una corona di fiori che ogni tanto gli intralcia i piedi, la scalcia, Mimì, che gira così, attorno alla bara, da ore, gira, Mimì, un dito tra i denti, una mano a stringere l’altro braccio, gira attorno, in quella sala, gira attorno alla bara, pensa che la dovrebbe aprire, la bara, vederlo, suo figlio, comunque sia combinato, comu ete ete, basta vederlo, comunque sia combinato, a lui non gliene frega nu cazzu, lo dovrebbe vedere, suo figlio, ci pensa, Mimì, sudando, ci pensa, vederlo quel corpo, quel corpo che riempie quella bara, in quella sala, poi però, mentre sta lì che gira e pensa, Mimì, con il dito tra i denti, mentre sta lì così che pensa, lo distraggono, e non ci pensa, per un attimo, non ci può pensare, per un attimo, perché Mimì si deve un attimo voltare, un amico, un’amica, un cugino, uno zio, una zia, vengono lì, lo abbracciano forte, abbracci forti, lunghi, silenziosi, lo abbracciano e non dicono niente, pensano di poter dire qualcosa, dare qualcosa, con quell’abbraccio forte e lungo e silenzioso, ma no, non dicono niente, non danno niente.
Tutto umido, Mimì ha caldo, suda, caldo di scirocco, è umido, tutto è umido, i vestiti umidi, la pelle umida, i mobili umidi, è fine settembre ma fa caldo come se fosse agosto, la casa è piena di gente, in quella sala si è in troppi, Mimì guarda la bara, tutto umido, i vestiti umidi, la pelle umida, i mobili umidi, la bara pure è umida, Mimì la tocca, la bara, ci trascina sopra il dito, il dito si bagna, tutto umido, i mobili umidi, pure la bara umida, la bara, la vorrebbe aprire, Mimì, la bara, vorrebbe vedere quel corpo che riempie quella bara, lui ne ha diritto, lui è sirasa, è suo padre, il padre del corpo che riempie la bara, e ci pensa, Mimì, se lo chiede, si chiede se si può dire che lui è padre di un corpo, non più di un figlio vivo, vivo, vero, vivo, ma padre di un corpo, solamente di un corpo, che riempie una bara, poi Mimì a un certo punto sente una delle donne sedute, la sente che emette un urlo, una cosa dolorosa, dovrebbe essere, una cosa dolorosa, ma Mimì no, si volta verso quella gente, li guarda tutti, no, non c’è niente di doloroso se una di quelle donne urla, Mimì ci pensa, non lo sanno, loro, non lo sanno cosa sono le cose dolorose, e li guarda, tutti quelli, tutti in quella sala, tutto umido, tutta quella gente, la gente, la gente in quella sala a cosa pensa?, pensa al da farsi?, pensa a come poter aiutare Mimì?, pensa a come poter aiutare la famiglia di Mimì?, a cosa pensa?, a quanto sia tremendo, in quella sala, essere lì tutti insieme, ammassati in un dolore?, che poi dolore non è, Mimì ci pensa, non è per tutti dolore, e nemmeno per lui, per Mimì, no, non è dolore, è un’altra cosa, è marciume, se deve scegliere la parola, ci pensa, decide che è marciume, la parola giusta, marcio come il corpo che riempie quella bara, in quella sala, Mimì prende e va via, dopo ore di cammino attorno a quella bara, prende e va di là, in camera da letto, la moglie stesa sul letto, con gli occhi chiusi, gonfia di farmaci, due cugine sedute sul letto, Mimì fa il giro attorno al letto, va verso il suo comodino, apre il cassetto, prende la pistola, le cugine non se ne accorgono, le cugine piagnucolano a occhi chiusi, Mimì torna in quella sala, urla, con la pistola in mano, urla che se non se ne vanno li ammazza tutti, poi spara.
Mimì spara al centro della bara, la bara che è al centro di quella sala, Mimì ci spara un colpo al centro, schizzano via pezzi di legno, uno lo colpisce nell’occhio destro, lo colpisce forte, un pezzo di legno nell’occhio destro, Mimì quasi non lo sente, soltanto l’urto, ma lascia perdere, posa la pistola sul primo mobile che trova, va verso la bara, scardina via travi, strappa via pezzi di legno, si strappa via la pelle dalle mani, ma poi passa poco, in molti lo prendono, lo fermano, gli stringono le braccia, gli parlano, gli mettono un fazzoletto sull’occhio destro, lo allontanano dalla bara, Mimì fa in tempo a vedere qualcosa, mentre a denti stretti dice di lassarlu stare, dice che li ammazza tutti, Mimì vede qualcosa, qualcosa del corpo che riempie quella bara, vede un telo bianco, lucido, pulito, di raso, sotto il telo bianco una sagoma scomposta, poi Mimì è già a terra, ha già perso i sensi, lo adagiano a terra, accanto alla bara, in quella sala, al centro.
Quando Mimì si sveglia ha appetito, chiede della Marta, gli dicono di stare calmo, che la Marta è di là, che mo’ viene, la Marta, poi Mimì chiede che cos’ha, chiede com’è che gli fa tanto male la faccia, gli dicono che per poco proprio perde l’occhio, che menomale che il pezzo di legno non lo ha preso bene dentro all’occhio, che mo’ comunque è ferito, ma niente, niente proprio, mo’ gli passa, nu paru di giorni, quelli che gli parlano sono suo nipote Carmine e suo cognato Vincenzo, hanno entrambi la fronte bagnata, le camicie chiazzate di sudore, Mimì è steso sul suo letto, Vincenzo gli dice che era meglio che non lo portavano all’ospedale, che lo sanno che poi lui molte spiegazioni non le voleva dare, e allora è venuto il dottore a casa, correndo è venuto, mo’ è andato un attimo via, che però mo’ torna, il dottore, Mimì ha dolore, ha pure appetito però, chiede di nuovo della Marta, la chiama forte, la Marta arriva, coi passi veloci suoi soliti, gli chiede come sta, Mimì le dice che ha fame, la Marta lo guarda un attimo e va via, dalla sala arrivano voci, molte, in quella sala con la bara al centro, in quella sala è ancora pieno di gente, Mimì dice a Vincenzo che non vuole tutta quella gente, che gli scoppia la testa, che li ammazza tutti se non se ne vanno, Vincenzo gli dice che non può essere, non si possono mandare via tutti, che quella tutta gente che gli vuole bene è, che quella gente voleva bene allu Michele, che lu Michele come se era un figlio loro era, un figlio di tutta quella gente, dice Vincenzo, che non si possono mandare via quelle persone, che stanno lì per aiutare, per stare accanto, che Mimì deve avere pazienza, dice Vincenzo, che allu Michele tutti gli volevano bene, che lu Michele come se era figlio loro era, Mimì dice che la prossima volta che dice questa cosa, che era come se era figlio loro, la prossima volta che lo dice gli spara in faccia, dice Mimì a Vincenzo, che Michele non era figlio di nessuno se non figlio suo, di Mimì, e basta, e mo’ vuole che lo lasciano riposare, che gli fa male tutta la faccia, vuole che lo lasciano in pace, che chiudono la porta, che non vuole nemmeno più mangiare, Mimì vuole che lo lasciano in pace, e nella testa gli rimbomba una parola, a Mimì, una parola sola, la parola “basta”, in testa Mimì, e vuole che lo lasciano solo, basta.
Gli sbirri a casa sua, Mimì, non li avrebbe mai voluti, gli sbirri, e invece eccoli là, tre carabinieri, ne bastava uno, e invece sono venuti in tre, che vogliono vedere, vogliono vedere com’è la casa di Mimì, Mimì lo sa, mica sono venuti solamente per dirgli le minchiate che gli stanno dicendo, che hanno attestato il suicidio, che sono in dovere di comunicarglielo, che le indagini sono concluse, che Michele era solo in casa, che si è lanciato dal balcone, ha fatto un volo dal settimo piano, un volo, le minchiate che gli dicono, bravi, indagine conclusa, come se non lo sapesse, Mimì, che quei tre stanno lì per indagare, indagare sui fatti suoi, che è anni che ci provano, ma no, non trovate niente, pensa Mimì, non trovate niente qua, e vuole che se ne vadano, lo dice, che vuole che vanno via, che ha capito, che mo’ vuole stare da solo con la famiglia sua, uno di loro gli dice che va bene, un altro però, il maresciallo, quello tutto bardato di gradi sulla divisa, gli chiede cos’è che ha fatto alla faccia, cos’è la fasciatura, Mimì lo guarda, gli dice che sono cose sue, che lui, il maresciallo, lo sa, lo sa bene, che Mimì delle cose sue non parla, e Mimì pensa che gli piacerebbe tanto, tantissimo gli piacerebbe, lanciarlo dal settimo piano dove stanno, il maresciallo, fargli fare a lui il volo dal settimo piano, ma Mimì fa pure un pensiero che gli fa lacrimare l’occhio libero dalla fasciatura, Mimì pensa che se pure lancia il maresciallo dal settimo piano mica Michele gli ritorna indietro, che l’unico ad averlo fatto, il volo dal settimo piano, è stato Michele, Michele suo, e basta, il volo.
I giorni dopo, dopo che è stato fatto il funerale, sono giorni che Mimì non si ricorda, poi però passano, passano dei giorni, che magari poi sono ore, non sa, non sa bene quanti giorni o quante ore, Mimì, non lo sa, però a un certo punto, di pomeriggio, ha pranzato da poco, Mimì fa una telefonata, chiama Carmine, gli dice di venire, Carmine dopo dieci minuti è lì, seduto davanti a lui, in cucina, gira il caffè nella tazzina, Mimì gli chiede a che stiamo, Carmine gli risponde che a quanto pare si è capito, si è capito cos’è successo, che volevano aspettare, gli dice, volevano aspettare che lui si riprendeva un poco, per poi spiegargli, Mimì gli dice che si è ripreso e vuole che gli spiega, Carmine beve in un sorso il caffè bollente, poi spiega, che in pratica la lettera che hanno trovato non era veramente una lettera, che se vuole ce l’ha lì, se la vuole vedere, Mimì dice che non vuole vederla, no, vederla proprio no, mai, ma vuole sapere cosa c’è scritto, Carmine allora prende dalla tasca un foglio, lo tiene sotto il tavolo e dice che prima ci sono cose scancellate, che non si capisce, e poi invece sotto c’è scritto, legge, Mi fa male tutto. Bella N., ho odiato sempre tutti tranne te, legge, e si ferma, Carmine, Mimì chiede se è finito, Carmine dice che sì, basta, poi c’è solamente la firma, Mimì chiede se si è firmato nome e cognome, Carmine gli dice che no, solamente Michele si è firmato, Mimì chiude gli occhi, gli fa male la ferita, gli pesa la testa, una cosa dentro, nella testa, gli pesa, poi apre gli occhi, chiede di nuovo a che stiamo, Carmine dice che si è scoperto che, roba di un giorno prima del fatto, Michele lo hanno visto che era davanti al liceo, si è avvicinato a una ragazzina, lei era seduta su uno scooter parcheggiato, Michele è andato, lo hanno visto che parlava un attimo con la ragazzina, poi le dava una cosa, una cosa tipo un libro o dei fogli, poi hanno visto che la ragazzina rideva forte, e niente, dicono che Michele dopo questa cosa della risata forte è andato via, è entrato a scuola, che erano le otto di mattina, e niente, poi dicono che è stato nervoso, zitto, senza parlare, tutto il giorno, e niente, Mimì resta zitto un poco, guarda fisso Carmine, poi chiede chi è, Carmine dice che sanno dove sta di casa, che abita sola con la madre, che quando vuole lui vanno, le si fanno un poco di domande, Mimì dice che no, che non c’ha niente da chiedere, Mimì dice che non c’è niente da capire, che si capisce tutto, non c’è niente da capire, e basta.
2.
Mi fa male tutto. Quella bestia mi ha reso una bestia. Sì. Anche io sono bestia ora. Ora che mi è dentro, quella bestia. Ora anche io sono bestia. Mi fa male. Mi fa male un padre in tutto il corpo.
Mi fa male tutto.
Bella N.,
ho odiato tutti tranne te.
Michele
3.
In macchina la radio passa una canzone te merda dei Matia Bazar, che a Mimì non sono mai piaciuti più di tanto, i Matia Bazar, con quella voce lì, tutta acuti e cose strane, dice a Carmine di togliere quella voce lì, che gli sembra ‘na cazzu te ‘oce te papara strozzata, Carmine senza dire niente spegne la radio, Mimì lo guarda, Carmine continua a guardare la strada, Mimì gli dice che non voleva che spegneva lo stereo, che gli ha detto di cambiare, non di spegnere, Carmine, sempre guardando avanti, dice che tanto sono arrivati, e rallenta, accosta a destra davanti a una casa, bianca, una casa come tutte le altre case della strada, anzi, come tutte le case del paese, solamente che questa casa ha le tapparelle rosse, le altre case hanno tutte le tapparelle verdi, Mimì la guarda bene, la casa, non ci bazzica molto lui in queste zone, stradine di paese che a lui mettono una tristezza, un’ansia, ci pensa, Mimì, quante volte la Marta gli ha detto di prendersi una casa in qualche paese dell’entroterra, piantare un poco di alberi attorno, ma lui, no, no, immaginarsi lui in una casa come quella che sta davanti agli occhi, una cosa così, rettangolare, lui lì dentro, in una casa di un piano solo, con la moglie, i figli, in una casa uguale a tutte le altre case di tutte le altre strade di tutti gli altri paesi dell’entroterra, no, Mimì ci pensa, ci ha pensato per anni, Mimì, no, non esiste proprio, che mo’ sono le tre di pomeriggio, nemmeno una macchina che gira, e loro con il rumore del motore avranno svegliato tutta la strada, svegliato, sì, proprio svegliato, che mo’ a quest’ora qua dormono tutti, che quelli che stanno in casa a quest’ora, qua, sono o contadini in pensione o mogli di contadini che aspettano che il marito torni dalle campagne, ‘na cosa di una tristezza, un’ansia, ci pensa Mimì, che lì, mo’, dentro a quella casa che ha davanti agli occhi, dentro, ci sono due donne, una è una donna adulta, un’altra è l’assassina di suo figlio, in quella casa, parcheggiano davanti, Mimì vede un’ombra passare da dietro una tapparella verde abbassata a metà, chiama Vincenzo che dorme seduto sul sedile posteriore, gli dice a Vincenzo che siamo pronti, poi guarda Carmine, Carmine guarda ancora avanti, Mimì lo sa che Carmine ‘ste cose le vive male, male proprio, che è ragazzo ancora, ancora si sente agitato, poi c’è pure che da un paio di mesi Mimì gli ha proibito di pippare prima di fare qualche cosa importante, che Carmine, prima, era sciolto, sempre sciolto, perché pippava e andava ovunque, pippava e faceva tutto, prima, ma Mimì ‘sta cosa non la sopporta, lo ha minacciato, gli ha messo una pistola alla gola un paio di mesi fa, che con ‘sta cosa della cocaina si stava sputtanando soldi in un modo che tra poco i figli gli morivano di fame, Mimì un paio di mesi fa gli ha detto che se vuole pippare lo può fare solo due sere alla settimana, non a casa coi figli, e mai, mai, mai prima di fare qualche cosa importante, perché Mimì lo vuole lucido, sempre, perché se uno non è lucido non è niente, secondo Mimì, e se uno non è niente, allora, è chiaro, Mimì ci pensa, se uno non è niente a lui non gli serve, e Carmine poi lo aveva capito, era da due mesi che pippava poco, mai prima delle cose importanti, e lui, Mimì, lo vedeva, finalmente, il Carmine vero, teso, con gli occhi tesi, e gli piaceva così, lo voleva così, teso, come ora, che con gli occhi ancora verso la strada gli chiede che facciamo, Mimì gli dice che ora vanno, di starsi calmo, che ora vanno.
Però succede una cosa, che prima che loro possano uscire dalla macchina la porta della casa si apre, esce una donna, si guarda rapida a destra e sinistra, viene verso il finestrino di Mimì, bussa al finestrino, il finestrino oscurato, Mimì pensa che questa donna ha coraggio, bussare a un finestrino oscurato, lui forse non lo farebbe, non sa bene perché, ma insomma, non lo farebbe, ci pensa Mimì, poi si volta verso Carmine, che ora guarda verso la donna, mascella stretta, Carmine, pronto a fare qualche cosa, Mimì guarda dietro,Vincenzo gli fa capire con gli occhi che non sa proprio che fare, Mimì guarda la donna, che guarda il nero del finestrino provando a sbirciare dentro, ha rughe, ma non è vecchia, è senza trucco, una maglietta verde, una gonna marrone lunga fino alle ginocchia, tiene le braccia conserte, si protegge, ha seni grandi, le braccia le tiene sotto i seni, è formosa, non sfatta, Mimì le guarda gli occhi, castani di quel castano lucido che a lui quel castano non piace tanto, a lui piacciono azzurri, gli occhi, azzurri come quelli della Marta, Michele invece ce li aveva scuri, gli occhi, come i suoi, ma erano belli lo stesso, gli occhi, quelli di Michele, Mimì si rende conto che sta pensando cose che proprio è meglio che non ci pensa, si stropiccia gli occhi, la ferita in faccia non gli fa più molto male, prende un respiro, Mimì, abbassa il finestrino.
La signora lo guarda, una tensione, negli occhi, una tensione che Mimì la conosce, sì, ma non proprio, che insomma, la vede sempre, l’ha vista sempre, quella tensione, che è paura, negli occhi della gente, lui la conosce, questa tensione, questa paura, ma stavolta non bene, che negli occhi di questa donna vede una cosa diversa, non sa bene cos’è, e questa donna parla, spedita, guardandolo negli occhi, tenendo lo sguardo fermo, proprio, fermo, con coraggio, che sì, ha paura, la signora, Mimì lo sa, ma ha coraggio, la signora, con gli occhi fissi, che sembrano gli occhi di una bestia, di un animale, uno di quelli feroci, sembrano occhi di animale feroce, mentre parla, dice che li stava aspettando, ma che hanno proprio capito male, che sua figlia non ha fatto niente, niente, e che se loro se la vogliono prendere con una povera figlia, una bambina, lei proprio non ci può credere, che lei lo può solamente immaginare il male, il dolore che una famiglia prova davanti a quello che è successo, ma che sua figlia, veramente, sua figlia non ha fatto niente, non riesce proprio, no, non riesce a credere che loro, veramente, che loro vogliono fare del male a sua figlia, e Mimì la ascolta con attenzione, perché vuole capire, capire come viene visto lui ora, ora che non è soltanto uno di quelli da temere, ma ora è anche uno di quelli che soffre, che è stato colpito da un dolore, diciamo, che è stato colpito da un male, diciamo, e vuole capire Mimì, e ascolta questa donna, e capisce che ora che lui è anche uno di quelli che soffre, lui, Mimì, ora fa ancora più paura, lui, lo capisce, e Mimì sorride, sorride alla signora, poi si volta verso Carmine, gli si avvicina all’orecchio, gli dice di andare a casa del padre della ragazza, che la ragazza non sta lì, sicuramente sta scappando, e sicuramente passa o è passata da lì, dalla casa del padre, poi si volta verso Vincenzo, gli fa cenno di seguirlo, e apre la portiera, la signora si allontana, fa due passi indietro, la signora, ha paura, la signora, Mimì continua ad avere un sorriso, esce dalla macchina, pure Vincenzo, Mimì porge la mano alla signora, le dice che è un piacere, che lui si chiama Domenico Trevi, che quello invece è Vincenzo, un caro parente, la signora porge debolmente la mano, un poco sorpresa, Carmine intanto rimette in moto, va via, sulla strada prende sempre più velocità, la signora guarda la macchina con occhi allarmati, chiede a Mimì dov’è che sta andando la macchina, Mimì sorride più largo, dice che hanno un sacco di cose da fare, loro, ‘sti giorni, dovrebbe immaginare, anche se, no, non può neanche immaginare, no, e sorride ancora, chiede se si possono accomodare, la signora si guarda attorno, la strada deserta, guarda poi la faccia sempre nervosa e truce di Vincenzo, si guarda ancora a destra e a sinistra, Mimì, le dice a voce bassa che è meglio se vanno dentro, che non succede niente, e che se qualcosa doveva succedere sarebbe già successa, che è meglio se vanno tutti insieme dentro, in casa, per parlare, solo per parlare, la signora fa strada, allora, ed entrano.
La puzza di roba cucinata se l’aspettava, Mimì, che ogni volta che entrano in una di queste case di questi paesi c’è sempre la stessa puzza, la stessa, è gente, questa, che mangia cose raccolte dalla campagna, e per dare un senso a queste cose le devono cucinare condite, condite, condite, olio, aglio, porro, cipolla, Mimì ha la nausea, come sempre quando entra in una di queste case, si siede senza chiedere permesso, in questa cucina tutta di legno verniciato bianco, uno scandalo il legno così, ci pensa Mimì, uno schifo, il legno tutto verniciato bianco, ma comunque anche questa cucina è mantenuta pulita in modo ossessivo, come tutte queste case, Mimì ne ha viste, di queste case, tutte pulitissime e puzzolenti, Mimì però ha questa cosa che quando sente questi odori qui, queste puzze, poi non ce la fa, e gli passa tutta la fantasia, tutta la voglia di fare il signore, tutta la voglia di comportarsi con classe, e anche stavolta è così, si siede e senza giri né niente chiede alla signora dov’è che sta la ragazza, che loro, non lo può immaginare proprio, ma loro hanno tantissimo da fare e con questa ragazza ci devono parlare, lui, lui proprio ci deve parlare, ed è inutile stare lì a precisare che non le vogliono fare niente di male, ma lui ci deve parlare, deve capire alcune cose, che lei, la signora, non può nemmeno immaginare, no, non può, il male, il dolore, non lo può immaginare, la signora, che lui, lui ha perso un figlio, e non può stare lì col male e col dolore senza sapere il perché, senza sapere per cosa lo ha perso, ‘sto figlio, e la signora ora si altera, lo interrompe, alza la voce, dice che lei lo sa come fanno loro, tutti lo sanno come fanno loro, dice, ma Vincenzo le si avvicina, tanto vicino da farla tacere, con quella faccia nervosa e truce che c’ha, Vincenzo, le dice che lo sa che mo’ con ‘sta cosa del gridare vuole attirare i vicini, ma che se grida di nuovo le scascia tutta la casa, a pezzi di fiammifero la riduce, la casa, se grida di nuovo, e la signora allora lo guarda, ha solo paura, niente coraggio, ora, solo paura, niente coraggio, e si siede, la signora, davanti a Mimì, e guarda Mimì, gli parla a voce bassa, gli dice che lei ha paura per la piccinna sua, perché, lui non può non capirla, e che insomma, lo sanno tutti lui chi è, che non è solamente Domenico Trevi, lui è Mimì, lo sanno, lei lo sa, e ha paura che lui, Mimì, vuole vendicarsi, lo dicono tutti, lei li stava aspettando, lo dicono tutti che mo’ Mimì si vuole vendicare, che il figlio di Mimì è morto per colpa della piccinna sua, ma non è vero, non è vero, lei lo può giurare, la piccinna sua non ha fatto niente, Vincenzo intanto va di là, la signora lo guarda, gli dice che non è lì, non è lì in casa, la piccinna sua, ma Vincenzo va di là, la signora guarda Mimì, gli dice che non è lì, la piccinna sua, che è a casa del padre, Mimì si stropiccia gli occhi, stanco, stanchissimo, vuole andare via da quella puzza, le dice che lo sa, lo sa che la figlia è dal padre, riguarda la signora, sta piangendo, gli chiede e allora che cosa vogliono lì, cosa vogliono da lei, Mimì si alza in piedi, va ad aprire l’unica finestra che c’è in cucina, è una finestra grande, innervosito chiede alla signora perché la tiene chiusa, la signora alle sue spalle non risponde, piange, la signora, lui resta lì alla finestra, la vista della campagna è bella, lo rilassa, gli alberi e la terra rossa gli ricordano la casa di quando era piccolo, ma specialmente ora respira aria buona, sente la signora che prova a muoversi alle sue spalle, la sente che si alza dal tavolo, che va verso il lavandino, probabilmente vuole prendere un coltello, qualcosa del genere, provare a ucciderlo, lui sente tutto, Mimì, sente sempre tutto, come quando era bambino, al mare di notte sulla paranza di suo padre, sentiva i pesci muoversi nel mare nero, li sentiva, e senza di lui suo padre non pescava mai un cazzo, e intanto sente anche Vincenzo che torna in cucina, si scaglia con due passi rapidi sulla donna, le tappa la bocca, le spezza il braccio con quel suono che Mimì sa, conosce, bene, ma che ora, quel suono, gli sta facendo un male, a Mimì, un dolore, un male, un dolore, quel suono, quel suono che sente alle spalle, Michele, che cade, sette piani, quel suono, tutto il corpo di Michele, rotto, quel suono, Mimì guarda gli alberi, tossisce, si stropiccia gli occhi.
Sentono il clacson, Mimì e Vincenzo escono, Carmine è lì, salgono in macchina, Carmine riparte subito, dice che è successo un casino, parla come se sta raccontando cose di un altro, che la ragazzina è nel bagagliaio, sedata, ma che il padre della ragazzina, niente, gli ha dovuto sparare, che aveva preso un coltello, e allora Carmine gli ha dovuto sparare, che lo ha colpito in faccia, col proiettile, che sicuramente è morto, e quindi, mo’ non sa, Carmine, non sa, chiede a Mimì che facciamo, Mimì si stropiccia gli occhi, Mimì sa che quella è una di quelle situazioni in cui non può pensare, non c’ha il tempo di pensare, deve fare le cose nel modo più veloce che può, in quelle situazioni di merda, proprio, di merda, Mimì non pensa nemmeno, dice di andare al nascondiglio, lasciare lì la ragazzina, ora fare questo, subito, prima di tutto il resto, e Carmine guida veloce, la mascella stretta, Mimì gli chiede se ha pippato, Carmine dice no, Mimì dice che non gli crede, Carmine dice che giura, che giura sui figli suoi, Mimì sospira, dice che non gliene frega un cazzo, e pensa, pensa che questo coglione ha dei figli vivi su cui giurare, che se Dio c’è, se c’è, mo’ dovrebbe farlo morire, Carmine, per ‘sti giuramenti di merda, pensa Mimì, e pensa che forse sarebbe beato lui, Carmine, morto, sarebbe beato lui, che se proprio doveva decidere, Mimì, preferiva morire lui, e che Michele invece viveva, se proprio doveva, ma è meglio lasciare perdere, pensa Mimì, pensa che questo fatto del padre della ragazzina non ci voleva, bestemmia i Santi, Mimì, ad alta voce, bestemmia San Sebastiano e i Santi Medici, Mimì, quelli che bestemmia sempre, gli stessi che bestemmiava suo nonno, e ora deve pensare, Mimì, bestemmia un’altra volta, che mentre bestemmia intanto pensa, pensa che questo fatto del padre della ragazzina non ci voleva, chiede a Carmine dove ha messo il corpo del padre della ragazzina, Carmine dice che niente, lo ha lasciato lì, Mimì sente Vincenzo bestemmiare, urlare contro Carmine, Mimì si stropiccia gli occhi, ha un attacco di tosse, e pensa, Mimì, pensa che basta, ecco, basta.
Arrivano, Mimì dice che lui nel nascondiglio mo’ non vuole entrare, che portino la ragazzina dentro, che lui resta in macchina, anzi, no, Carmine resta con lui, la ragazzina va bene se la porta solo Vincenzo, Vincenzo esce veloce dalla macchina, prende la ragazzina dal bagagliaio, la tiene in braccio come una sposa, e va, Mimì intanto apre il cruscotto, prende il telefono, lo accende, estende l’antenna, digita il numero di casa, accanto a lui Carmine ha il respiro pesante, tutto col naso, il respiro di Carmine, la mascella serrata, Carmine, respira tutto col naso, la Marta risponde dopo uno squillo, ha la voce stanca, stanchissima, Mimì le dice che Carmine ha fatto un casino, che ha sparato al padre della ragazzina, che questa cosa mo’ li mette tutti nella merda, perché Carmine nemmeno il corpo ha nascosto, sta ancora lì, il corpo del padre della ragazzina, e Mimì dice alla Marta che allora mo’ lei deve andare, con le altre signore loro, chiamarle tutte quante, che devono pulire tutto, subito, la Marta dice che va bene, e chiude, Mimì si stropiccia gli occhi, ha un bruciore allo stomaco e una specie di conato di vomito, chiude gli occhi, tossisce, si slaccia la cintura dei pantaloni e prova a respirare piano, Carmine inizia a parlare, in un tono che Mimì si sente lo stomaco sottosopra solamente a sentire quel tono lì di voce, tutto lamento, Carmine dice, con quel tono, dice che lui no, per favore, che non poteva fare altro, dice, che quel pezzu te merda aveva un coltello, dice, che lui quindi non poteva non sparare, Mimì, con gli occhi chiusi ancora, dice che va bene, va bene, ma Carmine continua, e Mimì chiude più forte gli occhi, mette una mano sulla fronte, una sulla pancia, sente il vomito, sente che arriva, e immagina, Mimì, nella testa gli camminano le immagini, è come se lo avesse già fatto, Mimì, ha in testa e negli occhi lui che esce dalla macchina, si inginocchia, il getto di vomito è fortissimo, gli arrivano schizzi in faccia, polvere in faccia, tossisce forte, immagina Mimì, immagina, nella testa e negli occhi, che si rialza piano, e che intanto Carmine viene verso di lui, e che Vincenzo torna, e immagina che Carmine e Vincenzo gli chiedono allarmati cosa c’è, che è successo, cos’ha, Mimì si pulisce i pantaloni, prende dalla tasca il fazzoletto di stoffa, si pulisce le labbra e il viso, immagina, nella testa e negli occhi, Mimì immagina che dice a Vincenzo di entrare in macchina, di mettersi lui a guidare, e immagina che poi dice a Carmine che deve inginocchiarsi, e che Carmine lo guarda, chiede in che senso, Mimì gli indica la pozza di vomito, gli dice che vuole che si inginocchia e lecca, la faccia di Carmine si accartoccia tutta in una lamentela, che lui no, per favore, che non poteva fare altro, che quel pezzu te merda aveva un coltello, che non poteva non sparare, Mimì dice che va bene, va bene, ma che ora si deve inginocchiare, che lui, Carmine, lo dovrebbe sapere, proprio lui, lo sa che ha sbagliato, e che con Mimì, Carmine lo dovrebbe sapere, lo sa che con Mimì se sbagli mica finisce lì, che con Mimì se sbagli paghi, Carmine dice che sì, ma che lui non ha sbagliato, non poteva fare altro, e Mimì ora si sente stanco, e nervoso, e allora fa un respiro, e smette di immaginare.
Mimì riapre gli occhi, va meglio, un po’, un po’ meglio, sente che i pantaloni gli stringono ancora troppo la vita, si sfila la cintura, respira a fondo, si abbandona sul sedile, Carmine ancora, seduto in macchina accanto a lui, guarda la strada, ancora parla, con pause regolari, ancora parla, si scusa, snocciola le cose buone che ha fatto negli anni, che alla fine gli è sempre stato fedele, no?, mai fatto niente di proprio grave, no?, dice sempre quel “No” interrogativo, si ferma, ricomincia a parlare, a Mimì gli fa tenerezza, si volta verso di lui, lo guarda, pensa che ma guarda te ‘stu bonu minchia, tutto si ricorda, lo guarda, lu bonu minchia Carmine, e quella faccia spaventata, quella faccia che tra un poco sembra che piange, gli fa una tenerezza, gli sembra proprio lui, quella volta che suo padre lo portò allo stadio, e la sera poi lui aveva la febbre altissima, suo padre venne in camera, e lui, Mimì, aveva una faccia come quella di Carmine, ne è sicuro che la faccia sua quella sera era come quella che ha mo’ Carmine, e chiese scusa a suo padre, lui, Mimì, quella sera, chiese scusa, scusa se mi sono ammalato, scusa se non sono buono nemmeno per andare a vedere una partita di pallone, e suo padre, aveva gli occhi arrabbiati, gli disse che però così andava bene, che aveva capito quanto poco valeva, e che quello era buono, che era importante, e suo padre poi andò via e lo lasciò lì, Mimì, con la faccia e l’animo contenti, che Mimì aveva capito, e mo’ guarda Carmine, Mimì, e pensa, pensa che Carmine, Carmine mica lo sta dicendo che lui non è buono nemmeno per andare a prendere una ragazzina a casa senza fare casini, Carmine non lo sta capendo mica quanto poco vale, Carmine, Carmine non lo capirà mai, mai, e lo guarda, Mimì lo guarda Carmine, e gli fa tenerezza, poi Mimì si stropiccia gli occhi, sospira, srotola la cintura che ha in mano, con un gesto rapido la mette attorno al collo di Carmine, che quasi non se ne accorge, Carmine, e stringe, Mimì, stringe forte la cintura attorno al collo di Carmine, stringe Mimì, stringe chiudendo gli occhi, che lui, Mimì, la gente che muore non la guarda in faccia, mentre muore, la gente, va lasciata sola, mentre muore, non va guardata in faccia, chiude gli occhi, Mimì, e stringe forte, sente le mani di Carmine che gli stringono forte i polsi, ma Mimì stringe, stringe forte, e le mani di Carmine stringono sempre più piano, sempre più piano fino a non stringergli più i polsi, Mimì, continua a stringere il collo di Carmine, forte, Carmine non si muove più, Mimì resta con gli occhi chiusi ancora un po’, continua a stringere forte, ancora un po’, Mimì, poi riapre gli occhi, attorno c’è silenzio, nella testa, Mimì, nella testa, una canzone te merda dei Matia Bazar, nella testa, Mimì, una parola, sola, la parola “basta”, nella testa, Mimì, che riapre gli occhi.