Attraversare l’Acheronte

Adesso non è neppure sicuro di essere sveglio. È difficile, certe volte la veglia e il sogno finiscono per confondersi, e lui non capisce più quale lato sia la realtà. Comunque quella scena è la stessa del racconto di José Emilio Pacheco, questo gli è chiaro. Sono le cinque di una domenica pomeriggio ed è seduto al tavolo di un bar. Ha appena smesso di piovere, l’aria è ancora gravida di umidità e qualche raggio di sole attraversa le nuvole.

È seduto fuori, ha appena ordinato un caffè. Solo una vetrata lo separa dall’interno del locale, gli avventori sono pochi, due coppie di anziani e un padre con quattro bambini piccoli, una ragazza. Dalla sua posizione segue con gli occhi il cameriere che porta un vassoio con una bibita paglierina proprio a questa ragazza. Rimane incantato dai movimenti del cucchiaio di peltro con cui lei sta sciogliendo lo zucchero nella bevanda. La trova molto bella, ha un corpo snello e armonioso, è castana e i suoi occhi hanno un taglio leggermente a mandorla. Sorseggia la bevanda mentre sta scrivendo qualcosa su un quaderno con una biro rossa. Lui vorrebbe sapere cosa sta scrivendo. E vorrebbe sapere qualsiasi altra cosa sul suo conto: Chi è? Cosa fa nella vita? Da dove viene? Cosa sta scrivendo su quel quaderno? Perché sul suo volto l’amarezza di chi ha un segreto? La ragazza sorride quando si accorge che lui la sta osservando da dietro la vetrina, poi ritorna a scrivere sul quaderno. È in quel momento che si è accorto della congruenza, della coincidenza di quella scena con il racconto di Pacheco che stava leggendo ieri sera. E perché si domanda, perché sta vivendo quel racconto? Non lo sa, adesso non lo sa. Non può fare altro che accontentarsi di trascorrere del tempo in compagnia della letteratura. Poi si ricorda del titolo: la storia che sta vivendo si chiama Acheronte. E solo adesso gli è chiaro: l’Acheronte è il vetro che lo separa dalla ragazza, da quella prospettiva è evidente. Allora pensa a tutti gli Acheronti della sua vita. Pensa a quella volta che avrebbe voluto iscriversi alla facoltà di Lettere, ma aveva rinunciato per un futuro più solido; pensa a quella volta che avrebbe dovuto chiamare Irene, ma era rimasto tutto il pomeriggio a fissare il telefono senza trovare il coraggio di chiederle scusa; pensa al matrimonio con Carla che aveva mandato in fallimento pochi giorni prima della cerimonia scomparendo dalla sua vita come un fantasma; pensa alla fronte dell’ambasciatore nel mirino del fucile, quella volta che il suo indice ha scatenato una guerra; a quella volta che era scampato per un pelo alla polizia e si era ritrovato da solo in cima alla Torre di Pisa, e alla vertigine che gli aveva solleticato le piante dei piedi, alla balaustra che aveva fermato il pensiero notturno. Le immagini di centinaia di Acheronti, vasti come il Rio delle Amazzoni o infimi come un torrente di montagna, scorrono davanti ai suoi occhi. Pensa a tutte le rinunce per viltà, a quelle dettate dal caso, a quelle imposte dal suo lavoro; a tutte le volte che si era ritrovato sulle sponde del fiume ed era rimasto semplicemente fermo a guardare le figure che si allontanavano dall’altra parte; alle volte che lo aveva attraversato con tutto il dolore di non poter tornare indietro. Ogni giorno un Acheronte. Anche l’indomani. Sa che appena supererà il confine tra il sogno e la veglia si ritroverà nel letto della camera d’albergo che ha prenotato con un nome falso, si dovrà vestire come previsto dalla missione, scenderà le scale e pagherà il conto. Nessuno sospetterà di un uomo così elegante e posato: con quegli occhialetti dalla montatura tonda e quell’aria affabile sembra proprio un professorino. Sorriderà ironico: nessuno riuscirà mai a svelare le sue intenzioni, nessuno risalirà a lui. Per tutti quelli con cui ha avuto un dialogo è il Professor Márquez, ed è in città per il convegno sulla letteratura messicana. Del resto si è preparato a dovere, sono mesi che studia a fondo, e deve ammetterlo quest’ultima volta è stato un piacere, documentarsi è stato un po’ realizzare un vecchio sogno. Al convegno è accreditato per davvero, il suo italiano claudicherà impeccabilmente sotto una patina di spagnolo centramericano quando parlerà di Rulfo, Pacheco, Arreola. Certo, sarà davvero un peccato che il convegno salterà, ma questo è un segreto che sa solo lui e pochi altri. Nelle vesti del professorino messicano arriverà con la valigetta nell’atrio dell’università. Cercherà il posto concordato e quando l’avrà individuato, ecco, avrà di fronte l’Acheronte. Sa già quello che accadrà, ma non ha più alcuna intenzione di accettarlo. Perché il racconto di Pacheco è stato il viatico, adesso l’ha capito. Allora aspetta che la ragazza richiami l’attenzione del cameriere, che gli porga il biglietto che ha scritto per lui. Non aspetta la successiva scenata del cameriere e la fuga precipitosa della ragazza per la vergogna. Si alza, entra nel locale, la guarda ancora una volta: è molto più bella da questa parte del vetro. Paga il suo caffè, paga anche la limonata della ragazza, la invita ad alzarsi a venire via con lui. Questa volta attraversare l’Acheronte è stato una liberazione. Sta iniziando a piovere, ma non gliene importa niente. Lasciano che le gocce gli inzuppino i capelli mentre svaniscono insieme tra le vie della città, mentre scende la notte che li nasconderà per sempre.