German Plaza Work

Chiamò quell’arte tedeschia. Le chiesi cosa significasse. Rispose: «Tedesca, ma con la i». Rompemmo le cornici, strappammo i dipinti dai loro telai. Lei raschiò via il colore e io lo mangiai. Bruciò quel che ne era rimasto e tenne la testa sospesa sopra al fuoco. La cenere le incrostava la faccia.
Facemmo a pezzi il museo nazionale. Le statue con le braccia? Gliele rompemmo. Le statue senza braccia? Gliene incollammo di nuove. Una Madonna con le braccia gonfie di Ercole, un nudo di Elena con i polsi sottili di Cristo. Strillammo avanti e indietro per i corridoi, urlammo ad ogni passo.
Quella notte, i dipinti rimasti divennero bianchi. Le sculture tornarono a essere blocchi di marmo. Nelle cantine trovammo una pila di dipinti a olio alta un metro. Il dipinto in cima stava cominciando ad asciugarsi. Lei infilò un dito nel colore, bucando la crosta, e lo estrasse imbiancato, con una punta di blu. La pila sembrava un mostro. Quando ci mettemmo sopra le mani emise un ronzio.
Lo prendemmo per un rifiuto e scappammo.

Marciò nuda nella piazza. Dico marciò per via dell’altezza delle sue ginocchia. Si arrampicò sulla statua al centro della piazza e ruppe le saldature del suo elmo. Con le dita insanguinate, lo tolse come una corona. Io l’applaudii. Tracciò un cerchio di sangue attorno al suo ombelico. Nessuno ci guardava. Al tramonto, sparammo fuochi d’artificio uno contro l’altro da due caffè opposti.
Quella notte parlammo di quanto ancora saremmo durati. Fisicamente, intendo. Eravamo abbastanza vecchi da percepire la spinta del decadimento. Dalle sue tempie spuntavano capelli bianchi che si arricciavano nell’incavo delle clavicole. Confrontammo i nostri acciacchi. Il suo gomito dolorante batteva le mie sopracciglia bianche. La mia caviglia gonfia aveva la meglio sul suo tunnel carpale. Dormimmo in piazza, accendemmo un fuoco immenso nella vasca della fontana.
Il giorno seguente le nostre parole cominciarono a venir meno. Disse: «Dovremmo vedere che XXXX hanno fatto gli svizzeri» e io risposi «Che cosa?»
Provò a ripetere la parola, ma rimase vuota. Ne perdette altre, XXXXXXXXXXX e XXXXXXXXX. Poco dopo io persi XXXXXXXX e XXXX. La mattina XXXXXXXXX la città.

Sparirono anche XXXXXXXX, XXXXX e XX. L’autostrada era deserta. Le macchine XXXXXXXX sul ciglio della strada. Una vacca incastrata all’XXXXXXX masticava i sedili. Della schiuma gialla XX si era rappresa fra i denti. «Cos’ha che non va il XXXX?» mi chiese. XX dissi che non lo sapevo. Continuammo a camminare. Raggiungemmo un’area di servizio. La campagna francese si apriva XXXXXXX a noi. Nel bagno degli XXXXXX trovai un baratro XXXXX XXXXX. Nel XXX lei XXXXXX una bara vuota. «La fattura è stupefacente» commentai. Lei mi cacciò XXXXX. «Questo è il XXXXX delle donne» disse schiaffeggiandomi il XXXX. Gettai XXXXXX XXXXXX al baratro mentre aspettavo.
La situazione cominciò a XXXXXXXXXX. XXXXXXXXX meno. Evitavamo le parole XXXXXXXX ma ne XXXXXXXXX di nuove. Il nostro vocabolario XXXXXXX. XXXXXX periodi XXXXX neanche una parola. «Quand’è stata l’XXXXXX volta che hai XXXXX il XXXX?» XXXXXXX una lista delle XXXXXX che ci erano XXXXXXX. Lei si XXXXXX XXXXXXXX i capelli. Io li facevo XXXXXXXX XXX i miei denti.

XXX XXXXXXXXXX a XXXXXXXXX una XXXXXXXXXXXXX. XX XXX XXXXXXXX. XX sforzammo XX XXXXXXX XXXXXX XXX XXXXXXXXXXXX XX XX XX fottevano XXXXXX. XXXXXX XXXXXXXX XX XXXX XXX XX XXX labbra. XXX XXXXXXXX XXX settimane. XX XXXXXX XXX X’amavo X XXXXX XXXXX X XXXXX XXX XXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXXXX XX XXXXXXX. XXXXXXX XXXXXXXX, X XXXX traccia XX XXX XXXX XXXXXXXXX. X XX XXXX XXXXXX. XXX XXXXXX XXX XXXXX XXXXXXX XXX XXXXXXXXX. XXX XXXXXX XX riviste, XXXXXXXXX, XXXXXXXXXX XXXXXX – XXXXXXXX XXXXX XXXX prezioso. XXXXXXXXXX XX riviste XXX XXXXX XXXXXXXX XX XX XXX XXXXXXXXXXX XXXXXXXXXXX assemblarli. XXXXXXXX XXXX XX XXXXXXXXX. XXXXXX XXXXXXX, XX toccavo XXX XXXXXXXXXXX XXXX. XXX XXXXXX XXXXXXXXX.

XXXXXXXX XXXXX XXXXXXX. XX XXXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXX XXX XXXXXXXX. XXX XXXXXXXXXX X XXXXXXX XXXXXX XXX XXXXXXXXXXXX. XXXXXX XXXXXXXXX, XX XXXXXX XXXX XX XXXXXXX XXXXXX. XXXXX XXXXXXX XXXXXX XXXX’XXXXXX XXXXX XXX XX XXXXXX XXXXXX XXXXXXX XXXXX XX XXXXXXX XXXXXXX XXXXX XXXXXXXX. XXXXXXXXX XX XXXXX. XXXXXXXXX XX XXXXXXX. XXXXXXXX XX XXXXXX XXXXXXXXXXX XXXXXXXXX XXX’XXXXXXXXXX. XXX XX XXXXX. XX XXX XXXXXXXXXXX, XXXX X XXXXX XX XXXXXXX X XXXXXX XX XXX XXXXX XX XXXXXXXX. XX XXXX XXXXX XXX XXXX XX XXXXXX XXX XXXXXXXX XXXXX XXXXX XX XXX XXXXXX. XXX XX XXXXX XX XXXXXXXX XXXXXXXX: XXXX XX XXXXXXX XXXXXXXX, XXXXXXXX XXX XXXXX XXXXXXXXXXXXXX XXXXXXX. XX XXXXXXX XX XXXXXXXXX XXXXXX XXXXX. XXX, XXX XXXX, XX XXXXXXXXXX XX XXX XXXXXX XXX XXXXXXXXXXX XXXXXXX XXXXXXXXX. XX XXXXXXX XXXXX XX XXXXXXX XXXXX. XX XXXXXX XXXXXX: colpito, rimasto.

XXX XXXXXX XXXXX XXXXXXXXXXXXXXX XXXXX. XXXXX XXXXXX XXX XXXXX XX XXXXX XXXXXXXXXX X XXXXX XXXXXXX XXXXXX XXX XXXXXXXXXX, XXXX XXXXXX XXXXX XXXXXXXX XXX XX rimanevano. XXXXXXXXXX XXXXX XX XXXXXX XXXX’XXXXXXXXXX. XXXXX’XXX XXXXXXX, XX XXXXXXX XXXXX XXX XXXXXX XXXXXXXXXX XX XXXXX XXX XX XXXXXX XXXX’XXXXXXXXXXX X XX XXXX XXXXX XXX XXXXXXX XXX XXXX. XXXXXX XXX XXXXX XXXX XXXXXXX XXXX. XXX XX XXXXXXX. XX X’XXXX XXXXXXXX XXXX. XX XX XXXXX XXXXX XX XXXXX XXXXXX XX XXXXX XXXXXX. XX XXXXXXXXXX XXX XXXXXX XXXX’XXXXXXXXXXX. XXX XX X’XXX XXXXX XXXXXXX. XX XXXX XXXXX XX XXX XXXXXXXXX XXXXXX XXXX XXXXX X XXX XXX XXX XXXXX XXXXXX XXX XXXXXX XXXXXXX. XX XXXXXXXX XXXXXXX X XXXXXXXXXXXXX XXXXXXXXXX. XXXXXXXX XX puledro XXXXXXXXX XX XX fienile. XXX ruppe XX XXXXXXXXX XXX XXX XXXXXX XXXXXX. XXXXXXX XX XXXXXX XX XXXX XXXXX XX XXX XXXXX, X XXXXXXX XXXXX XXX XXXXXXX XXXX XXXXXXXX XXXX’XXXX. XX puledro XX XXXXXXXXX XXXXX. XX XXX XXXXXX XXXXX XXX XXX XXXX XXXXX XXXXXX. XXXXX XXXXXXXXX XX XXXXXX. XXX XXXXXXX. XX XXXXX XXXXXXXX XX XXXXXX. XXXXXXX XXX XXXXXX XXXXXXX XXXX’XXXXXXXXXXX. XX puledro XXXXX XXXXX XX XX. XXXXXXXXXXXXX. XXXXX X XXXXX. XXXX XX XX XXX XXXXXXX XXX X XXXXXXXXXX XX XXXXXX XXX XX XXXXX XXXXXXX. XXXXXXXXXX XX XXX XXXXXXX. XXXXXX XXX XXXXXXX XXXX’XXXXXXX XX XXXXXXXXXXXX, XXXXXXXXX X XXXXXXX XX XXXXX XXXXX XXXXX. X XXX XXXXXXX XXXXXX.

X XXXXX XX XXXXXXX. Un po’ alla volta XXXX la sua morte, le parole XXXXX XXXXXXXXXX a ritornare. Credo di XXXXXX XXXXXXXX da qualche parte XX Belgio. I cartelli XX XXXXXX XXXXX sono XXXXX. XXXXX di stare meglio XXXXXX. Ho XXXXX un paio di stivali da un cadavere un po’ di tempo fa. A giudicare dalla XXXXXX di flanella, credo che XXXXX un uomo. Sono XXXXXX grandi per me. Mi arrivano XXXXX le caviglie spellate e mi grattano i piedi scorticati.
Non c’è modo di girarci intorno. Il puledro arrivò e lo schiacciò. Sentii le ossa spezzarsi e gli zoccoli calpestarlo. Lo sentii supplicare. Dopo averlo ridotto in poltiglia, il cavallo mi fissò, il ventre macchiato di sangue. Lo fissai a mia volta. Cercai di far uscire una vocale. Dopo aver contorto le labbra, uscì un debole suono. Intonai una flebile A. Il puledro nitrì una minaccia, una promessa. Poi galoppò via.
Senti, l’uomo con cui parlavi prima è morto. Sono io quella con l’elmo. Ho ereditato il suo racconto.
I denti del puledro sarebbero splendidi attorno al mio collo. Posso giustificare il tutto come vendetta o sopravvivenza. Forse gli negherò il lusso del contesto. Mi sono fatta delle scorte: trappole per orsi, lanciafiamme, lance, candele romane, schegge, antidolorifici, machete, guanti neri di pelle di vitello. Ho un piccolo vicolo cieco nel bosco pronto all’uso. Temo che la bestia possa avere la sua faccia. L’attesa mi sta uccidendo.

La notte seguente, il puledro caricò. Balzò sopra alla prima serie di cavi per le trappole. Gli zoccoli colpirono il suolo, scavarono dei profondi solchi nel terreno. Osservai le narici dilatarsi. La foresta non era stata delicata con il suo manto. Era pieno di lacerazioni. M’inginocchiai. Il puledro non aveva che il suo muso. L’armamentario giaceva tutt’intorno a me. Afferrai una lancia, la punta come un diamante butterato. Quando il puledro fu sufficientemente vicino, mi piegai in avanti. La lancia gli trapassò il petto, uscendo a metà della sua groppa. Rotolai via appena in tempo. Il puledro sbandò a terra, spezzando entrambe le estremità della lancia. Tentò di alzarsi. Tentò e ritentò. Il sangue grondava dai suoi grossi denti gialli. La sua lingua tentava di leccarlo indietro. Morse e scalciò verso di me. Mi tenni a debita distanza mentre il suo respiro rallentava. Aspettai. Passò un minuto senza che il suo enorme petto si alzasse. Poi arrivarono le parole. Erano le labbra del puledro a pronunciarle. Tutte quelle che io e il mio amore avevamo perso. Le nostre parole nelle nostre voci. Il puledro ripeté il nostro racconto senza vuoti. Poi l’animale chiuse gli occhi. Durante quella lunga notte, tutto il sangue uscì dal suo corpo e impregnò il suolo. Lasciai la foresta. Strinsi forte le nostre parole, andai verso ovest.

Traduzione di Irene Brighenti