Un nuovo racconto di fantascienza selezionato dal grande Cylon Prof, aka Massimo De Santo.
Frederic Brown è stato un maestro del racconto “corto e potente come un colpo di Karate”, per dirla alla De Crescenzo. Tra l’altro, ha scritto la «Prolegomeni ad ogni futuro racconto che voglia dirsi di fantascienza», il glorioso Assurdo Universo (e se non l’avete letto, correte a procurarvene una copia!).
In questo «I doni dei Terrestri», ci mostra ancora una volta che la Legge di Murphy è una delle costanti dell’Universo…
Dhar Ry se ne stava seduto da solo nella sua stanza, meditando. Avvertì un’onda di pensiero provenire dall’esterno, l’equivalente di una bussata, e gettando un’occhiata alla porta, volle che si aprisse.
La porta si aprì. «Entra, amico mio» disse. Avrebbe potuto comunicare l’idea telepaticamente, ma con due sole persone presenti, parlare era più cortese.
Ejon Khee entrò. «Stanotte sei ancora sveglio così tardi, mia guida» disse.
«Sì, Khee. Il razzo dei terrestri dovrebbe atterrare tra un’ora, e voglio vederlo. Sì, so che atterrerà a mille miglia da qui, se i loro calcoli sono corretti. Oltre l’orizzonte. Anche se dovesse atterrare lontano due volte la distanza stimata, il lampo dell’esplosione atomica dovrebbe comunque essere visibile. E ho aspettato a lungo il primo contatto. Perché, anche se non ci sarà nessun terrestre a bordo, si tratta comunque del primo contatto – per loro. Certo, sono secoli ormai che la nostra squadra telepatica legge le loro menti, ma questo sarà il primo contatto fisico tra Marte e la Terra.»
Khee si mise comodo su una delle sedie basse. «È vero» disse. «Non ho letto i rapporti più recenti con molta attenzione, però. Perché stanno utilizzando una testata atomica? So che ritengono il nostro pianeta disabitato, ma…»
«Osserveranno il lampo attraverso i loro telescopi lunari per ottenere una… com’è che la chiamano? Un’analisi spettroscopica. Da quella ricaveranno qualche indicazione in più rispetto a quanto sanno ora (o credono di sapere, dato che in maggioranza è erroneo) riguardo l’atmosfera del nostro pianeta e la composizione della sua superficie. Si tratta di… potremmo chiamarlo un lancio di prova, Khee. Verranno qui di persona, trascorsa qualche opposizione. E dopo…»
Marte resisteva, aspettava l’arrivo della Terra. Ciò che restava di Marte, semmai, una piccola cittadina di circa novecento abitanti. La civiltà di Marte era più antica di quella terrestre, eppure era una civiltà morente. Ecco che cosa ne restava: una città, novecento persone. Stavano aspettando che la Terra si mettesse in contatto con loro, per due ragioni, una egoista ed una che non lo era.
La civiltà marziana si era evoluta seguendo una direzione piuttosto diversa da quella che aveva preso la Terra. Non aveva sviluppato una grande conoscenza delle scienze fisiche, né aveva prodotto tecnologia. Ma aveva approfondito le scienze sociali ad un punto tale che non c’era stato un solo crimine, figurarsi guerre, su Marte per cinquantamila anni. E aveva ricercato a fondo le neuroscienze parapsicologiche, che la Terra aveva appena iniziato a scoprire.
Marte aveva molto da insegnare alla Terra. A cominciare da come evitare guerre e crimini. E oltre quelle cose semplici c’erano la telepatia, la telecinesi, l’empatia…
E la Terra, Marte sperava, avrebbe potuto insegnare loro qualcosa di ancora più prezioso: come – mediante la scienza e la tecnologia che ormai era tardi per sviluppare, pur possedendo menti in grado di farlo – risanare e riabilitare un pianeta morente, così che una società altrimenti quasi estinta potesse vivere e tornare a crescere.
Ciascuno dei due pianeti ne avrebbe tratto grande beneficio, nessuno ci avrebbe rimesso.
E quella era la notte in cui la Terra avrebbe completato il suo primo lancio di prova. Il lancio successivo, un razzo con a bordo dei terrestri, o perlomeno un terrestre, sarebbe arrivato alla prossima opposizione, tra due anni terrestri, all’incirca quattro anni per Marte. I marziani questo lo sapevano, poiché la loro squadra telepatica era in grado di cogliere almeno alcuni dei pensieri dei terrestri, abbastanza da poter seguire i loro piani. Sfortunatamente, a quella distanza, la connessione era a senso unico. Marte non poteva chiedere alla Terra di accelerare il proprio programma. Né comunicare agli scienziati terrestri i dati riguardo la composizione di Marte e la sua atmosfera che avrebbero reso questo lancio preliminare superfluo.
Quella notte Ry, la guida (ciò a cui più si avvicina la traduzione della parola marziana) e Khee, assistente amministrativo e suo più caro amico, sedettero e meditarono insieme finché non giunse l’ora. Quindi brindarono al futuro – con una bevanda a base di mentolo, che sui marziani aveva lo stesso effetto dell’alcool sui terrestri – e salirono sul tetto dell’edificio nel quale erano rimasti fino a poco prima. Guardarono verso nord, dove era previsto l’atterraggio del razzo. Le stelle splendevano, fisse e brillanti nell’atmosfera.
Nell’Osservatorio n. 1 sulla luna della Terra, Rog Everett, l’occhio alla lente del telescopio, disse trionfante «Ecco la luce, Willie. E ora, non appena sviluppate le pellicole, scopriremo come stanno le cose sul vecchio pianeta Marte.» Si raddrizzò – non era rimasto molto altro da vedere ormai – e strinse solenne la mano a Willie Sanger. Era un avvenimento storico.
«Speriamo non abbia ucciso nessuno. Nessun marziano, cioè. Rog, ha colpito il centro esatto di Syrtis Major?»
«Ci è andato molto vicino. Direi che saranno state forse mille miglia più in là, verso sud. Che è davvero vicino per un lancio da cinquanta milioni di miglia. Willie, pensi davvero che ci siano marziani?»
Willie ci pensò su un attimo, poi disse «No.»
Aveva ragione.
Traduzione di Francesca Miola